Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26685 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. II, 24/11/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 24/11/2020), n.26685

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24333/2019 proposto da:

S.J., rappresentato e difeso dall’Avvocato TERESA VASSALLO,

ed elettivamente domiciliato a Verona, via Cesare Battisti 2, per

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei

Portoghesi 12, domicilia per legge;

– resistente –

avverso il decreto n. 3919/2019 del TRIBUNALE DI VENEZIA, depositato

l’8/5/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata dell’8/9/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, la quale ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il tribunale di Venezia, con il decreto in epigrafe, ha respinto il ricorso con il quale S.J., nato in (OMISSIS), ha impugnato il provvedimento della commissione territoriale che aveva rigettato la sua domanda di protezione internazionale.

S.J., con ricorso notificato l’11/6/2019, ha chiesto, per due motivi, la cassazione del decreto.

Il ministero dell’interno ha depositato atto di costituzione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando l’omessa valutazione completa relativa al fatto decisivo discusso tra le parti, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale, dopo aver ricordato le sanzioni che il codice penale federale nigeriano prevede per i rapporti omosessuali, ha ritenuto che il racconto del richiedente non fosse credibile e soprattutto che il richiedente non avesse l’orientamento sessuale dichiarato.

1.2. Così facendo, tuttavia, ha osservato il ricorrente, il tribunale non ha provveduto ad un esame completo del fatto decisivo costituito dalla condizione di omosessualità del richiedente, limitandosi a valutare alcune circostanze che, al contrario, pure se messe in dubbio, non sono tali da minare la credibilità del racconto e la veridicità degli elementi narrati nel loro complesso e la sua reale condizione soggettiva.

1.3. Del resto, ha proseguito il ricorrente, l’esclusione della condanna a morte non appare tale da incidere dalla sussistenza o meno dei requisiti per la concessione della protezione sussidiaria.

1.4. La motivazione, infine, ha concluso il ricorrente, è censurabile e, comunque, non sufficiente, anche lì dove il tribunale ha respinto la domanda di protezione umanitaria limitandosi ad indicare la precarietà della sua condizione lavorativa ma senza valutare tutti gli elementi offerti dal richiedente.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando il difetto di motivazione e la violazione di legge, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale non ha sufficientemente valutato nella loro specificità i presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale richiesta, che ha escluso con la conseguente violazione della legge per ciò che riguarda i presupposti per il loro riconoscimento.

3.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

3.2. In tema di protezione internazionale, infatti, l’accertamento del giudice del merito deve avere, anzitutto, ad oggetto la credibilità soggettiva del richiedente, che ha l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (cfr. Cass. n. 27503 del 2018).

Nel caso di specie, il giudice di merito ha ritenuto, con apprezzamento non illogico nè apparente, che il racconto svolto dal richiedente non fosse credibile sul rilievo, innanzitutto, che la documentazione prodotta dal ricorrente era evidentemente falsa perchè indica l’applicazione della pena di morte in caso di rapporto omosessuale mentre, al contrario, la legislazione penale vigente all’epoca dei fatti raccontati non prevede in alcun modo la pena di morte ma soltanto la detenzione, ed, in secondo luogo, che il ricorrente non era stato in grado di dire l’età del suo unico compagno, “raccontando dapprima che era più grande di lui e poi che era suo coetaneo ma più avanti negli studi”, ed aveva dichiarato di non vivere la propria sessualità in Italia per mancanza di tempo pur non svolgendo con continuità alcuna attività lavorativa.

Ora, la valutazione d’inattendibilità del richiedente costituisce un apprezzamento di fatto che (a prescindere dalla condivisibilità delle conclusioni esposte in ordine alla ricognizione della fattispecie concreta) può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e cioè per omesso esame di una o più di circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una diversa ricostruzione della vicenda: ciò che, nel caso di specie, non è accaduto, non avendo il ricorrente, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, specificamente indicato i fatti, principali ovvero secondari, il cui esame sia stato omesso dal giudice di merito nonchè il “dato”, testuale o extratestuale, da cui gli stessi risultino esistenti, il “come” e il “quando” tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti ed, infine, la loro “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 20188 del 2017, in motiv.).

Ed è noto che l’inattendibilità del racconto del richiedente, così come (oramai incontestabilmente) accertata dai giudici di merito, costituisce motivo sufficiente per negare la protezione internazionale dallo stesso invocata, anche se si tratta di quella umanitaria (cfr. Cass. n. 31480 del 2018).

3.3. Le stesse conclusioni valgono per la domanda di protezione umanitaria.

Si tratta, com’è noto, di una misura atipica e residuale che copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione personale di particolare vulnerabilità (Cass. n. 13088 del 2019; Cass. n. 28990 del 2018; Cass. n. 23604 del 2017).

I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. n. 113 del 2018, erano accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018).

Nel caso di specie, il decreto impugnato ha ritenuto che non sussistesse alcuna specifica situazione di vulnerabilità che potesse giustificare la protezione umanitaria invocata dal richiedente, non potendosi rinvenire alcun elemento in tal senso nè dal racconto dallo stesso svolto, in ragione della evidenziata non credibilità dello stesso, nè dai traumi subiti dal richiedente nei Paesi in cui lo stesse aveva transitato prima di arrivare in Italia.

Si tratta, com’è evidente, di un accertamento in fatto che, come detto, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e cioè per omesso esame di una o più di circostanze decisive che, però, il ricorrente, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non ha specificamente indicato.

4. I motivi articolati in ricorso si rivelano, quindi, del tutto infondati. Peraltro, poichè il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

5. Nulla per le spese di lite, in mancanza di una effettiva attività difensiva da parte del ministero resistente.

6. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

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