Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2668 del 04/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 04/02/2021, (ud. 26/06/2020, dep. 04/02/2021), n.2668

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2238-2015 proposto da:

C.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 74,

presso lo studio dell’avvocato COSTA LINDA, rappresentato e difeso

dall’avvocato LUIGI OLIVERIO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

80078750587, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati VINCENZO TRIOLO, ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO STUMPO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4530/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 06/06/2014 r.g.n. 8897/2014.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza n. 4530 del 26 giugno 2014, la Corte di Appello di Napoli ha confermato, con diversa motivazione, la decisione di primo grado e, per l’effetto, ha ritenuto improponibile la domanda – proposta con ricorso depositato il 2 ottobre 2007, per il ricalcolo dell’indennità di mobilità, tenuto conto del massimale superiore, per il periodo maggio 2000-maggio 2001 – in conseguenza dell’illegittimo frazionamento del credito in sede giudiziaria,atteso che la riliquidazione della medesima indennità, per le stesse causali ma in riferimento al periodo successivo (gennaio 2002-giugno 2003), era stata richiesta con ricorso, depositato il 15 giugno 2007 (definito con sentenza n. 4279 del 2012 della Corte d’appello di Napoli, in riforma della decisione di rigetto di prime cure);

2. per la Corte di merito erano risultate evidenti la violazione dei canoni di buona fede e correttezza e l’assenza di meritevolezza dell’interesse ad agire, in considerazione del rilievo che alla data del 2 ottobre 2007, epoca di proposizione del ricorso introduttivo, era cessato il periodo di tempo di due anni di durata del diritto ad ottenere l’indennità di mobilità e all’eventuale integrazione dopo una liquidazione ritenuta non corretta, per cui la scelta di proporre due diversi giudizi, in relazione a ciascuno dei due anni di percezione della prestazione, non trovava giustificazione alcuna ma costituiva consapevole violazione degli obblighi sopra enunciati;

3. avverso tale sentenza C.T. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, al quale ha opposto difese l’INPS, con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

4. con i motivi di ricorso si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto controverso e decisivo della sentenza, contraddittorietà che si assume legata ad un presunto abuso del processo (primo motivo); violazione dell’art. 324 c.p.c., vertendosi in ipotesi di rapporto giuridico di durata, connotato da obbligazioni periodiche di pagamento in relazione ad un segmento del quale sia già intervenuta pronuncia giudiziale, divenuta cosa giudicata formale, che ha acclarato un punto essenziale della questione (secondo motivo); violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 3 Cost. alla luce di circa 200 precedenti sulla medesima questione, tutti passati in giudicato, nonchè delle linee giurisprudenziali sancite da Cass. n. 396 del 2012 (terzo motivo);

5. il ricorso è da rigettare;

6. il primo motivo è inammissibile perchè non spendibile, ratione temporis, il paradigma del vecchio vizio di motivazione;

7. alla stregua del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (v. Cass., Sez.U., nn. 8053, 8054 del 2014 e numerose successive conformi);

8. la Corte territoriale, verificato che l’iniziativa giudiziaria intrapresa ineriva alla medesima obbligazione già oggetto di una precedente iniziativa giudiziaria e, in particolare, alla corretta misura dell’indennità percepita, ha fatto seguire, a tale premessa, l’applicazione del principio, consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte a partire da Cass., Sez.U. n. 23726 del 2007, secondo cui non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti durante l’esecuzione del contratto e nell’eventuale azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo;

9. la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria si traduce in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale e, conseguentemente, le domande giudiziali aventi ad oggetto una frazione di un unico credito sono da dichiararsi improcedibili;

10. sul tema della frazionabilità/infrazionabilità del credito le Sezioni Unite della Corte sono nuovamente intervenute con la sentenza n. 4090 del 2017 (sollecitate con ordinanza interlocutoria n. 1251 del 2016), con la quale, ribadito il precedente orientamento e precisato che lo stesso si riferisce alla singola obbligazione, quanto alla diversa ipotesi di una pluralità di crediti facenti capo ad un rapporto complesso, hanno affermato che “le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi; se, tuttavia, i suddetti diritti di credito, oltre a far capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque fondati sul medesimo fatto costitutivo – sì da non poter essere accertati separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale – le relative domande possono essere proposte in separati giudizi solo se risulta in capo al creditore agente un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata” (così Cass., Sez.U., n. 4090 del 2017);

11. il richiamato orientamento fa leva sull’obbligo imposto all’attore di farsi carico di un esercizio consapevole e responsabile del diritto di azione che la Costituzione gli garantisce e, quindi, di evitare di trasformare il processo in un meccanismo potenzialmente destinato ad attivarsi all’infinito, porta ad escludere il frazionamento di una pretesa unitaria, frazionamento che certo non può essere giustificato dall’eventuale errore, asseritamente commesso al momento della quantificazione originaria;

12. come del resto ribadito dalle Sezioni unite della Corte con le già richiamate decisioni, soccorrono al riguardo consolidati principi sul presupposto che il giudicato copre il dedotto ed il deducibile e, quindi, non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto svolte in giudizio, ma anche tutte le possibili questioni proponibili, in via di azione e di eccezione, finalizzate ad evitare che la portata precettiva della decisione venga sminuita o comunque alterata da successive sentenze incidenti sul medesimo oggetto, impedendo di rimettere in discussione l’entità di un unico credito non frazionabile e, quindi, il giudicato sull’ammontare dello stesso coinvolge anche i criteri di computo perchè, diversamente, “la portata precettiva del giudicato che abbia riconosciuto un determinato quantum debeatur potrebbe essere smentita (ridimensionata o comunque alterata) all’infinito (cfr., fra le tante, Cass. nn. 17893, 19898 del 2018; n. 6591 del 2019; n. 337 del 2020);

13. non risultano introdotti, in giudizio, validi argomenti per rimettere in discussione l’illustrato e consolidato orientamento;

14. rimane assorbita ogni ulteriore censura;

15. segue coerente la condanna alle spese, liquidate come in dispositivo;

16. ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2021

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