Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26678 del 10/11/2017


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Civile Sent. Sez. L Num. 26678 Anno 2017
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: DE GREGORIO FEDERICO

SENTENZA

sul ricorso 24428-2015 proposto da:
AUTOSTRADE PER L’ITALIA S.P.A. C.F. , in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo
studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che la rappresenta
e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2017

contro

964

PULTRONE

VINCENZO

C.F.

PLTVCN56A25E239F,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CICERONE N. 44
presso lo studio dell’Avvocato ANDREA SCAFA che lo

Data pubblicazione: 10/11/2017

rappresenta e difende unitamente all’Avvocato MARIO
GORLANI, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 126/2015 della CORTE D’APPELLO
di BRESCIA, depositata il 16/04/2015 R.G.N. 509/2014;

udienza del 02/03/2017 dal Consigliere Dott. FEDERICO
DE GREGORIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato SABRINA D’ALLEVA per delega verbale
Avvocato ENZO MORRICO;
udito l’Avvocato ANDREA SCAFA.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Lid. 02-03-17 / r.g. n. 24428-15

SVOLGIMENTO del PROCESSO
La Corte di Appello di BRESCIA, mediante pronuncia n. 126 pubblicata il 16 aprile 2015,
rigettava il gravame in via principale interposto dalla S.p.a. AUTOSTRADE per l’ITALIA avverso la
sentenza n. 349 in data 22 maggio 2014, con la quale il locale giudice del lavoro aveva
dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato l’undici gennaio 2011 dalla società al suo
dipendente PULTRONE Vincenzo (casellante addetto alla riscossione del pedaggio autostradale),
attore in primo grado, in relazione all’impossessamento e all’indebito uso di una tessera
prepagata a scalare (VIACARD) appartenente al cliente FRETI Giovanni, con conseguente

nonché con la condanna di parte resistente al risarcimento del danno, però limitato a cinque
mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre che al versamento dei relativi contributi
previdenziali.
Con la stessa pronuncia, inoltre, la Corte distrettuale, in parziale riforma della gravata sentenza,
accogliendo l’appello incidentale del lavoratore, condannava la società convenuta al risarcimento
del danno, da licenziamento illegittimo, però liquidato in misura corrispondente ad un’indennità
pari alla retribuzione globale di fatto dal giorno del recesso sino a quello dell’effettiva reintegra
nel posto di lavoro, oltre che al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali riferiti al
suddetto arco temporale, ed al rimborso delle spese relative al secondo grado del giudizio,
sussistendo altresì i presupposti di legge per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.
Ad avviso della Corte di Appello, parte datoriale era onerata della prova relativa al preteso
illecito impossessamento della tessera VIACARD. In particolare, tenuto conto dei fatti descritti
nella contestazione disciplinare, la società era tenuta a dimostrare che il lavoratore -il quale
nell’occorso aveva preso servizio il sei settembre 2010 alle ore 05.56- si era impossessato della
tessera, asseritamente ritirata dall’apparecchiatura automatica alle ore 02.02 dello stesso
giorno, secondo quanto riferito dal cliente escusso come teste sul punto. Tuttavia, parte
resistente nella memoria difensiva di costituzione in primo grado aveva allegato l’impossibilità
dell’inceppamento della tessera all’interno della macchina, quanto piuttosto il suo smarrimento
dal sig. FRETI al momento della sua utilizzazione presso il casello autostradale; ciò che però si
poneva in radicale contrasto con le dichiarazioni rese dal titolare della tessera, comportando
altresì un mutamento del fatto contestato. Infatti, secondo la nuova versione dell’accaduto da
parte convenuta in sede contenziosa, l’impossessamento non era più avvenuto mediante
sottrazione della tessera ritirata dall’apparecchiatura automatica, ma a seguito di ritrovamento
della medesima, però smarrita dal titolare al momento dell’utilizzo presso il casello, perciò mai
inserita nella macchina.
Si trattava, quindi, di nuove circostanze rispetto a quelle contestate, per di più alquanto rilevanti
ai fini della valutazione disciplinare, poiché altro era l’impossessamento mediante illecita
sottrazione dalla cassa automatica, altro era l’impossessamento di una cosa smarrita, condotta
quest’ultima al più rilevante, ricorrendone i presupposti, ex art. 927 c.c. e 647 c.p.. Soltanto la
condotta dell’illecito impossessamento integrava la violazione degli obblighi di diligenza e di
fedeltà riguardo al rapporto di lavoro, mentre la seconda condotta (impossessamento di cosa
1

reintegra nel posto di lavoro ex art. 18 L. n. 300/70 (nel testo ratione temporis applicabile),

112.()3 17 / r.

n. 24428-15

smarrita) costituiva un comportamento solo in via ipotetica e indiretta eventualmente rilevante
sotto il profilo disciplinare.
Pertanto, secondo la Corte territoriale,

la condotta addebitata in giudizio al dipendente era

diversa da quella oggetto della contestazione, con violazione del principio d’immutabilità della
contestazione disciplinare.
In ogni caso, pure se si fosse trattato di illecito prelievo della tessera, trattenuta dalla macchina,
da parte del lavoratore, con successiva cessione al figlio, che l’aveva poi utilizzata, il
licenziamento sarebbe risultato sproporzionato rispetto alla gravità dell’illecito, rispetto al quale,

ad AUTOSTRADE il rimborso di euro 48,60 per la tessera VIACARD), sarebbe stata più che
adeguata una sanzione conservativa, tenuto altresì conto delle previsioni di cui all’art. 36 del
c.c.n.l. in ordine alla possibile sospensione dal servizio e dalla retribuzione sino a dieci giorni.
Né potevano rilevare i precedenti disciplinari a carico del dipendente, poiché l’ultimo di questi,
consistito in un rimprovero scritto, risaliva al 27 novembre 2001.
Risultava, per altro verso, illegittima la decisione impugnata con la limitazione del danno
riconosciuto in ragione di cinque mensilità, non essendo stato specificamente allegato alcun
aliunde perceptum,

né apparendo in concreto possibile il reperimento di altro sbocco

occupazionale.
Avverso l’anzidetta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la società AUTOSTRADE per
l’ITALIA come da atto di cui è stata chiesta la notificazione il 16 ottobre 2015, affidato a cinque
motivi, cui ha resistito il PULTRONE con controricorso in data 23-11-2015.
Entrambe le parti, i cui difensori sono anche comparsi alla pubblica udienza del due marzo 2017,
hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI della DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è stato formulato per violazione e falsa applicazione dell’art. 7 L.
n. 300/70, atteso che, secondo la società, non sussisteva la diversità del fatto, tra
contestazione disciplinare e allegazioni difensive in sede giudiziale da parte convenuta,
tenuto conto di quanto in effetti ascritto all’incolpato come da acclusa missiva di
contestazione disciplinare, ricevuta dall’interessato il tre dicembre 2010, circa
l’impossessamento illecito della tessera in occasione del servizio prestato dal dipendente il
sei settembre 2010 dalle ore 05,56 alle 13,45; quindi, non sussisteva la violazione del
principio dell’immutabilità della contestazione.
Comunque, non vi era stata alcuna violazione dei diritti di difesa dell’incolpato, tutelati dalla
necessità della previa contestazione ex art. 7 St. lav., risultando ad ogni modo accertato il
fatto dell’illecito impossessamento in base agli elementi indicati nella missiva, con la quale
erano stati mossi gli addebiti (v. gli indizi ivi enunciati “in coincidenza temporale con la sua
prestazione resa … si sia illecitamente impossessato della predetta tessera – abbia

anche per la modestia del danno economico arrecato alla società (il titolare FRETI aveva chiesto

lui 02-(3-17 / rg. IL 24428-15

illecitamente autorizzato o permesso che altri illecitamente utilizzassero la predetta tessera
nei giorni 23, 27 e 28 settembre 2010”).
Con il secondo motivo AUTOSTRADE per l’ITALIA ha lamentato violazione e falsa
applicazione dell’art. 2119 c.c., circa la sproporzione in ogni caso ritenuta dalla Corte
d’Appello, violazione dei normali obblighi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del
rapporto di lavoro lesione della fiducia e gravità, stante altresì, come da citata
giurisprudenza, l’irrilevanza del danno patrimoniale, asseritamente di modesta entità,

Con il terzo motivo, è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 c.c.n.I.,
atteso l’erroneo presupposto costituito dal riferimento alle previsioni della contrattazione
collettiva, che però non vincolano il giudice, tenuto invece ad applicare la norma di legge
vigente in materia e di cui all’art. 2119 c.c., per cui nel caso di violazione di fondamentali
obblighi del contratto non occorre nemmeno la pubblicazione delle norme sanzionatorie
attraverso l’affissione del c.d. codice disciplinare. Si doveva, inoltre, considerare il valore
esemplificativo delle elencazioni contenute nel contratto collettivo, sicché la valutazione di
congruità proporzionale da parte del giudicante può anche prescindere dalle ipotesi
contemplate dalla contrattazione collettiva.
Con il quarto motivo, la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 3
L. n. 604/1966: la Corte di merito aveva omesso di valutare se in alternativa alla giusta
causa ricorresse almeno il notevole inadempimento, tale da poter legittimare il
licenziamento per giustificato motivo soggettivo, attesa la non scarsa importanza
dell’inadempimento ex art. 1455 c.c..
Infine, con il quinto motivo la società si è doluta della pretesa violazione e falsa applicazione
dell’art. 112 c.p.c. , per non aver la Corte di Appello limitato la condanna ex art. 18 L. n.
300/70, tenendo conto di quanto percepito dal PULTRONE in seguito al licenziamento (c.d.
aliunde perceptum).

I giudici di secondo grado non avevano considerato quanto pur

espressamente dedotto dalla società in punto di conseguenze economiche, con conseguente
evidente violazione del citato art. 112 (pagine 15 e 16 del ricorso in appello con reiterate
istanze istruttorie, pure ex art. 346 c.p.c., con la richiesta altresì subordinata di conversione
in licenziamento per giustificato motivo soggettivo; richiesta d’interrogatorio formale
finalizzato alla prova dell’aliunde perceptum, nonché di esibizione e d’informazioni scritte
alla p.a. su redditi da lavoro percepiti in seguito al recesso dal dipendente).
Le anzidette doglianze vanno disattese in forza delle seguenti considerazioni.
3

derivato dalla condotta posta in essere dal lavoratore.

uel. 02-07-17 / r.. n. 24428-15

In particolare, appare inconferente la prima e preliminare censura di parte ricorrente, circa
l’ipotizzata violazione dell’art. 7 L. n. 300/70, avendo i giudici di merito compiutamente e
motivatamente accertato in punto di fatto la diversità tra la condotta ascritta al PULTRONE
in sede disciplinare (illecito impossessamento della tessera VIACARD prelevata
dall’apparecchiatura dove si assumeva rimasta inceppata, con conseguente sottrazione,
«in coincidenza» con la prestazione lavorativa resa durante il turno di servizio, iniziato
alle ore 05.56, mentre il rapporto di mancato pagamento del pedaggio a carico del veicolo

mentre il successivo giorno 13 il FRETI aveva poi chiesto il rimborso della tessera,
dichiarando che la medesima non gli era stata restituita dall’apparecchiatura di incasso
automatizzato) e quanto invece sostenuto in sede giudiziale (impossessamento di cosa
andata smarrita dal suo immediato detentore, con conseguente indebito utilizzo in danno di
quest’ultimo, soggetto peraltro distinto, ancorché equiparabile ex art. 931 c.c., dalla società
emittente, datrice di lavoro del dipendente, preteso ritrovatore). Ne deriva che, anche per
effetto della c.d. doppia conforme decisione sul punto, per cui nella fattispecie qui in esame
non è nemmeno ammessa in questa sede di legittimità la censura di un vizio di omesso
esame sul punto ex art. 360 co. I n. 5 c.p.c., a norma dell’art. 348-ter, ultimo comma, dello
stesso codice (secondo l’attuale vigente formulazione di tali norme di rito, nella specie
ratione temporis

applicabili, in base al regime transitorio dettato dall’art. 54,

rispettivamente commi 3 e 2, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in I. 7 agosto 2012, n. 134).
Di conseguenza, non risultava provato, da parte dell’onerata parte datoriale, quanto dalla
stessa imputato al dipendente in sede disciplinare. Infatti, costui aveva negato di essersi
impossessato della tessera, sostenendo di aver appreso, in seguito alla ricevuta
contestazione, che la stessa era stata casualmente rinvenuta in un parcheggio dal figlio
RICCARDO (il quale, sentito come teste aveva confermato la circostanza, aggiungendo di
averla poi utilizzata insieme alla madre e al fratello DARIO, questi peraltro anch’egli
dipendente di AUTOSTRADE per l’ITALIA, ed a carico della cui autovettura la VIACARD
risultava finalmente ritirata il 24-09-2010 presso il casello di Brescia ovest, mentre il FRETI,
sentito anch’egli come teste, aveva però confermato la versione del ritiro da parte
dell’apparecchiatura allocata presso il casello di PONTE Oglio, nella notte tra il 5 ed il sei
settembre, ritiro questo invece smentito da successivo indicato pacifico ritiro del 24
settembre, a Brescia ovest).

4

Ji

appartenente a FRETI Giovanni risalva alla precedenti ore 02.02 dello stesso sei settembre,

ud. 112-03- 17 / r.

i. 24428-15

D’altro canto, a parte il dato formale, eppure essenziale, della diversità tra fatto contestato
e quello allegato in giudizio dalla società convenuta, datrice di lavoro (cfr. pag. 6 della
sentenza de qua e lo specifico riferimento ivi contenuto pure alla pagina sette della memoria
di costituzione di primo grado), premesso che l’illecito impossessamento a suo tempo
ascritto non risulta evidentemente provato, visto che quanto dichiarato dal FRETI, circa
l’asserita mancata restituzione della carta alla momento del pagamento, è stato anche
contraddetto dalla pacifica successiva circostanza dell’avvenuto ritiro della stessa carta in

versione, prospettata in sede contenziosa dalla società ricorrente.
Infatti, a ben vedere lo smarrimento della VIACARD presso il casello di PONTE OGLIO il sei
settembre ed il rinvenimento, ivi, in pari data da parte di Pultrone VINCENZO, con
conseguente indebito impossessamento da parte di costui e successivo utilizzo, si fonda
esclusivamente su mere ipotesi ed asserzioni di parte della società ricorrente, prive di ogni
possibile oggettivo riscontro: il teste Freti ha fornito, invero, una versione dell’accaduto
smentita dal successivo ritiro della carta in data 24 settembre, ascrivibile invece a diverso
soggetto (Pultrone DARIO); il ritrovamento della carta in altro luogo, prima del suo ritiro il
24 settembre, è avvenuto da parte di Pultrone RICCARDO, con conseguente
impossessamento da parte di quest’ultimo, come riferito dallo stesso teste, senza che risulti
alcun coinvolgimento, morale e/o materiale, in tale circostanza del lavoratore Pultrone
VINCENZO, invece licenziato, non potendo evidentemente valere sotto il profilo probatorio
in proposito i soli legami di parentela (padre / figli) o coniugali (marito /moglie). Ne deriva
che anche l’ipotesi subordinata, adombrata dalla Corte di Appello, per dichiarare comunque
(“In ogni caso …”) illegittimo l’intimato recesso, per difetto del requisito di proporzionalità,
di cui poi ai vizi denunciati con il 2°, il 3° ed il 4° motivo, con riferimento
all’impossessamento di cosa apparentemente smarrita, ma non sottratta dal dipendente
dalla cassa automatica (dove si assumeva rimasta inceppata ed in ogni caso non restituita
all’utente che legittimamente la deteneva), appare priva anch’essa dell’indispensabile
presupposto probatorio di una consimile condotta, sotto il profilo oggettivo e soggettivo
unitamente all’imprescindibile nesso causale.
J.

Dunque, il primo motivo-riserka di ricorsoYad ogni modo infondato (cfr. altresì Cass. lav. n.
6499 del 22/03/2011, secondo cui in tema di licenziamento disciplinare, il fatto contestato
ben può essere ricondotto ad una diversa ipotesi disciplinare -dato che, in tal caso, non si
verifica una modifica della contestazione, ma solo un diverso apprezzamento dello stesso
5

data 24 settembre 2010 a Brescia ovest, nemmeno sembra appare dimostratcl. l’altra

ud. ()2 IS- 17 / r. n. 24428-15

fatto- ma l’immutabilità della contestazione preclude al datore di lavoro di far poi valere, a
sostegno della legittimità del licenziamento stesso, circostanze nuove rispetto a quelle
contestate, tali da implicare una diversa valutazione dell’infrazione anche diversamente
tipizzata dal codice disciplinare apprestato dalla contrattazione collettiva, dovendosi
garantire l’effettivo diritto di difesa che la normativa sul procedimento disciplinare di cui
all’art. 7 della legge n. 300 del 1970 assicura al lavoratore incolpato.
Conformi: id. n. 17604 del 10/08/2007 e n. 11265 del 2000. Cfr. altresì Cass. lav. n.

contestazione, il passaggio in sede giudiziaria da una contestazione per essere stato il
dipendente “autore di un fatto” a quella di “omesso controllo ovvero insufficiente indagine
per accertare chi fosse stato l’autore del fatto” costituisce ampliamento della contestazione
stessa non consentito, perché argomentare il contrario significherebbe ammettere la
legittimità di contestazioni “in progress” o di contestazioni “allusive”, rimettendo al giudice
un compito che, lungi dal costituire esercizio istituzionale dei poteri di interpretazione della
volontà negoziale, si tradurrebbe in una inammissibile integrazione, o correzione, della
medesima).
Pertanto, dovendosi ritenere nella specie acclarata la violazione dell’indefettibile principio
d’immutabilità della contestazione disciplinare, e comunque non provata la condotta a suo
tempo addebitata all’incolpato, né invero quella diversamente ipotizzata a carico del
medesimo in sede contenziosa, va disatteso il primo motivo e con esso per l’effetto respinte
O

alche le conseguenti censure di cui ai motivi dal secondo al crzo 7 comunque assorbiti per la
mancanza degli anzidetti preliminari indispensabili requisiti.
Infine, deve considerarsi inammissibile il quinto ed ultimo motivo, laddove irritualmente è
stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., però evidentemente ex
art. 360 co. I n. 3 c.p.c., per “erroneità” dell’impugnata sentenza, relativamente al mancato
riconoscimento

dell’aliunde perceptum,

ma non meglio specificato unitamente alle

corrispondenti richieste istruttorie. Per contro, trattandosi di error in procedendo, la censura
andava correttamente denunciata ex cit. art. 360 n. 4, deducendo quindi chiaramente ed
univocamente l’asserita nullità sul punto della pronuncia (v. Cass. sez. un. civ. n. 17931 del
24/07/2013: il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e
tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato
in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque
ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione
6

22752 del 3/12/2004, secondo cui, con riferimento al principio della immutabilità della

tid. 02-03-17 / r.g. n. 2442515

di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi.
Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata
sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che
faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma
dell’art. 360 cod. proc. civ., con riguardo all’art. 112 cod. proc. civ., purché il motivo rechi
univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi,
invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia

conforme v. pure Cass. n. 14026 del 2012, n. 1370 del 2013, nonché Cass. I civ. n. 24553
del 31/10/2013.
Cfr. inoltre Cass. lav. n. 6715 del 18/03/2013, secondo cui il vizio di omessa pronuncia che
determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., rilevante ai
fini di cui all’art. 360, n. 4 dello stesso codice, si configura esclusivamente con riferimento a
domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, e
non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione è denunciabile soltanto
sotto il profilo del vizio di motivazione. In senso conforme, tra le altre, v. anche Cass. sez.
un. civ. n. 15982 del 18/12/2001, nonché più recentemente Cass. VI civ., ordinanza n.
13716 del 5/7/2016.
Per altro verso, v. pure Cass. lav. n. 2499 del 31/01/2017, secondo cui in tema di
licenziamento illegittimo, il datore di lavoro che invochi raliunde perceptum” da detrarre
dal risarcimento dovuto al lavoratore deve allegare circostanze di fatto specifiche e, ai fini
dell’assolvimento del relativo onere della prova su di lui incombente, è tenuto a fornire
indicazioni puntuali, rivelandosi inammissibili richieste probatorie generiche o con finalità
meramente esplorative.
Cass. lav. n. 9616 del 12/05/2015: in tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro
che contesti la richiesta risarcitoria pervenutagli dal lavoratore è onerato, pur con l’ausilio di
presunzioni semplici, della prova dell'”aliunde perceptum” o dell”aliunde percipiendum”, a
nulla rilevando la difficoltà di tale tipo di prova o la mancata collaborazione del dipendente
estromesso dall’azienda, dovendosi escludere che il lavoratore abbia l’onere di farsi carico di
provare una circostanza, quale la nuova assunzione a seguito del licenziamento, riduttiva
del danno patito. Conforme Cass. n. 23226 del 2010).

7

mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge. In senso

ud. 024)3-17 /

n. 2442S-1.5

Con il rigetto del ricorso parte soccombente va condannata al pagamento delle relative
spese, essendo inoltre tenuta al versamento dell’ulteriore contributo unificato, ricorrendone
i presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte RIGETTA il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese,
che liquida a favore di parte controricorrente in euro 200,00 per esborsi ed in euro
4000,00 (quattromila/00) per compensi professionali, oltre spese generali al 15%, i.v.a.

Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del d.P.R. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello
stesso articolo 13.
IL PRESIDENTE

Così deciso in Roma il due marzo 2017
IL CONSIGLIERE estensore

dr. Vittorio Nobile g

dr. Fed rico De Gregorio

TI unzionario Giudízimio
t. Giovani RU1LLO
‘L ‘a
~ci
lummamirem~f….

CORTE SUPREMA DI CAS8AZ1ONE
IV Sezione 111~1.44

e c.p.a. come per legge.

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