Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26674 del 22/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 22/12/2016, (ud. 23/11/2016, dep.22/12/2016),  n. 26674

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20278-2013 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., ((OMISSIS)), – Società con socio unico in

persona del Presidente del Consiglio di amministrazione e legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA P.ZA MAZZINI 27,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE TRIFIRO’, che la

rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.G.A., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEL SUDARIO 18, presso lo studio dell’avvocato PELAGGI

ANTONINO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

VINCENZO BARBARISI giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 636/2012 della CORTE DI APPELLO di MILANO del

2/5/2012, depositata il 5/9/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata alle parti: “Con ricorso al Giudice del lavoro di Milano, R.A.G. chiedeva che fosse dichiarato nullo il termine apposto a quattro contratti a tempo determinato con i quali era stato assunto alle dipendenze di Poste Italiane S.p.A. per l’espletamento dell’attività di recapito, stipulati tutti ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, per i periodi 2/11/2006-31/1/2007, 4/6/2007-31/8/2007, 13/9/200-31/10/2007, 2/11/2007-31/1/2008. Il “Tribunale accoglieva la domanda. La decisione veniva solo parzialmente riformata dalla Corte di appello di Milano. Quest’ultima riteneva che il secondo contratto (e cioè quello decorrente dal 4/6/2007), scaduto prima dell’intervento della tutela apprestata dalla L. n. 247 del 2007 (prevedente il limite temporale dei 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione), ponesse, proprio in quanto successivo al primo, la questione della conformità della disciplina di cui all’art. 2, comma 1 bis citato rispetto alla clausola 5 dell’Accordo quadro di cui alla direttiva 1999/70/CE, e che, pertanto, tale norma speciale fosse in contrasto con i principi espressi in detto Accordo laddove applicata anche alle ipotesi di successione di più contratti. In conseguenza, in adesione ai principi di cui all’Accordo Quadro, specificamente intesi ad evitare l’abusivo utilizzo di una successione di contratti a termine, la norma di cui all’art. 2, comma 1 bis fosse da disapplicare nell’ipotesi in questione, contraddistinta da una reiterazione di contratti a termine e dovesse esaminarsi la legittimità della clausola di cui al secondo contratto (intervenuto in successione rispetto al primo) alla stregua del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 che imponeva la specificazione della causale giustificativa del termine. Evidenziava che nella specie la società non avesse assolto al relativo onere e conseguentemente riteneva che il termine apposto a tale contratto fosse nullo e che tale nullità travolgesse i due contratti stipulati successivamente. Condannava, infine, la società al ripristino del rapporto di lavoro ed al pagamento di 12 mensilità retribuzione globale di fatto.

Avverso questa sentenza Poste Italiane propone ricorso per cassazione con quattro motivi.

Con il primo motivo la società denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, rilevando l’erroneità della sentenza nella parte in cui, con riferimento al contratto successivo al primo, ha escluso la compatibilità della norma rispetto alla direttiva CE 1999/70.

Con il secondo motivo la società denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 247 del 2007, art. 1, commi 40 e 43, in relazione alla clausola 5 dell’Accordo Quadro di cui alla Direttiva n. 1999/70 in relazione alla ritenuta non rilevanza nella fattispecie in esame della disposizione transitoria.

Con il terzo motivo la società deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1419 c.c. in relazione alla erronea individuazione della sanzione di conversione del rapporto di lavoro a termine in lavoro a tempo indeterminato, non prevista, nè analogicamente applicabile, siccome deroga al principio generale espresso dall’art. 1419 c.c., anche a fronte della pattuita essenzialità della clausola del termine tra le parti.

Con il quarto motivo la società si duole della violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del. 2010, art. 32, ritenendo che le circostanze del caso concreto non potevano che essere ritenute idonee a fondare una liquidazione giudiziale dell’indennità omnicomprensiva contenuta nella misura minima.

I primi due motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione, sono fondati nei termini di seguito illustrati e determinano l’assorbimento degli altri.

Come da questa Corte più volte affermato, il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, aggiunto dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 558, ha introdotto, per le imprese operanti nel settore postale, un’ipotesi di valida apposizione del termine autonoma e speciale rispetto a quelle stabilite dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1. E’ stato anche evidenziato che il suddetto D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 2, comma 1 bis, fa riferimento esclusivamente alla tipologia di imprese presso cui avviene l’assunzione – quelle concessionarie di servizi e settori delle poste – e non anche alle mansioni del lavoratore assunto, in coerenza con la “ratio” della disposizione, ritenuta legittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 214 del 2009, individuata nella possibilità di assicurare al meglio lo svolgimento del cd. “servizio universale” postale, ai sensi del D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261, art. 1, comma 1, di attuazione della direttiva 1997/67/CE” mediante il riconoscimento di una certa flessibilità nel ricorso allo strumento del contratto a tempo determinato, pur sempre nel rispetto delle condizioni inderogabilmente fissate dal legislatore. Ne consegue che al fine di valutare la legittimità del termine apposto alla prestazione di lavoro, si deve tenere conto unicamente dei profili temporali, percentuali (sull’organico aziendale) e di comunicazione previsti dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, non operando l’onere di indicare sotto il profilo formale e di rispettare sul piano sostanziale la causale, Oggettiva e di natura temporanea, giustificatrice dell’apposizione di un termine al rapporto (Cass. 26 luglio 2012, n. 13221; Cass. 2 luglio 2015, n. 13609; Cass. 5 febbraio 2016, n. 2324 nonchè la più recente Cass., Sez. un., 31 maggio 2016, n. 11374).

Quanto, poi, alla questione della reiterazione di contratti a termine, stipulati ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, con medesime mansioni e qualifica, va richiamato quanto specificamente affermato da Cass., sez. un., 31 maggio 2016, n. 11374 ai punti da 54 a 61: “il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 bis, introdotto dalla L. n. 247 del 2007, stabilisce che “qualora per effetto di una successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato”.

Tale norma, pertanto: 1) configura una nozione ampia di contratti a termine successivi; 2) prevede una misura clic rientra nella lett. b) della clausola 5 dell’accordo quadro (durata massima complessiva dei contratti in successione) e 3) prevede la trasformazione del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato qualora sia stato superato il limite di durata massima. La nozione di contratti a termine successivi è ampia perchè relativa alla stipulazione di più contratti (quindi anche solo due), tra le medesime parti, per mansioni equivalenti (quindi non necessariamente le stesse mansioni) e, soprattutto, quali che siano gli intervalli di tempo tra un contratto e l’altro (indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro). Rispetto a questa disciplina, il medesimo D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, commi 3 e 4 si occupano di ipotesi di successione di contratti a termine particolarmente ravvicinate, prevedendo la trasformazione del rapporto immediata e non al superamento del tetto dei 36 mesi. Il comma 4 stabilisce che se la successione tra due contratti a termine e “senza soluzione di continuità” il rapporto si considera a tempo indeterminato. Il comma 3 prevede lo stesso effetto sanzionatorio per il caso in cui la riassunzione del medesimo lavoratore avvenga entro 10 giorni o 20 giorni, a seconda che il primo contratto sia stato di durata inferiore o superiore a sei mesi. Riordinando la materia, in relazione alla gravità delle violazioni, si può articolare questa sequenza. Se il contratto successivo viene stipulato senza soluzione di continuità con il primo (o comunque con un contratto precedente) il rapporto si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto (D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4). Se il primo contratto ha durata inferiore a sei mesi e il lavoratore viene riassunto entro dieci giorni dalla scadenza del primo, il contratto si considera a tempo indeterminato (D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 3). Se il primo contratto ha durata superiore a sei mesi e il lavoratore viene riassunto entro venti giorni dalla data di scadenza il contratto si considera a tempo indeterminato (D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 3). Se vengono stipulati due o più contratti a termine in successione tra loro, con intervalli tra l’uno e l’altro, superiori a quelli indicati nelle ipotesi precedenti, la normativa italiana prevede una delle misure di cui alla clausola n. 5 dell’accordo europeo, e cioè il limite massimo dei 36 mesi, da calcolare, come si è visto, “indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro”. Quindi, quel limite opera quale che sia la durata dell’intervallo, anche se i contratti sono distanziati di molti mesi tra loro. Se viene superato il limite complessivo di 36 mesi il contratto si considera a tempo indeterminato. Tale disciplina si applica anche ai contratti a termine stipulati prima dell’introduzione del comma 4 bis aggiunto, come si è visto, dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 40. Ciò perchè il comma 43 del medesimo articolo attrae, nel conteggio finalizzato al rispetto del limite di durata massima complessiva, anche i contratti a termine già conclusi, prevedendo che se, in forza del computo complessivo, il limite massimo viene superato, si avrà la trasformazione del rapporto a termine in un rapporto a tempo indeterminato (sul punto, cfr. ampie, Cass. n. 19998 del 2014 e n. 13609 del 2015). A tutto ciò deve aggiungersi (in questo caso è corretto parlare di restrizioni “aggiuntive”), con riferimento specifico ai contratti di lavoro rientranti nella previsione dell’art. 2, comma 1 (trasporto aereo e servizi aeroportuali) e 1 bis (servizi postali, oggetto della controversia in esame) che l’abuso è perseguito con ulteriori misure, in quanto ciascuno dei contratti in successione non potrà superare i sei mesi, compresi tra aprile e ottobre di ogni anno e i quattro mesi per il restante periodo; la loro stipulazione dovrà essere comunicata alle organizzazioni sindacali provinciali e, infine, e soprattutto, i contratti a termine non potranno essere stipulati in misura superiore alla percentuale del quindici per cento dell’organico aziendale, riferito al i Ogennaio dell’anno in cui le assunzioni si riferiscono”.

La Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi laddove ha ritenuto, con riguardo al secondo dei contratti stipulati tra le parti (e cioè quello relativo al periodo 4/6/200731/8/2007) necessaria la specificazione della causale in base alla disciplina generale di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, mentre invece la legittimità andava verificata alla luce della disposizione di cui all’art. 2, comma 1 bis medesimo D.Lgs., richiamata nel medesimo contratto, norma sufficientemente presidiata, per l’ipotesi di successione rispetto ad altro contratto, dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 bis, introdotto dalla L. n. 247 del 2007, applicabile anche ai contratti a termine stipulati prima dell’introduzione del comma 4 bis aggiunto, come si è visto, dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 40.

Per tutto quanto sopra considerato, si propone l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso con assorbimento degli altri, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio ad altro giudice per un nuovo esame; il tutto, con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5″.

2 – La società ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, (ovviamente adesiva).

3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

4 – In conclusione vanno accolti i primi due motivi di ricorso (con assorbimento degli altri); la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte di appello di Milano che, in diversa composizione, procederà ad una nuova valutazione e provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso (con assorbimento degli altri); cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016

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