Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2667 del 04/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 04/02/2021, (ud. 26/06/2020, dep. 04/02/2021), n.2667

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1476-2015 proposto da:

C.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CASTRENSE 8,

presso lo Studio Legale CASACCIA & ASSOCIATI, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIUSEPPE CASACCIA;

– ricorrente –

contro

– MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12,

ope legis;

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati ROSARIA FRANCESCA SATTA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4787/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/06/2014 R.G.N. 7043/2010.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 44787 del 2014, ha accolto l’appello proposto dall’INPS, quale successore dell’INPDAP (ai sensi del D.L. n. 201 del 2011, art. 21, comma 1, conv. in L. n. 214 del 2011), avverso la sentenza emessa dal locale Tribunale nei confronti dell’attuale ricorrente, dipendente di Agensud transitata al Ministero dello Sviluppo Economico a seguito della soppressione dell’Agenzia (L. n. 488 del 1992, art. 2), avente ad oggetto la domanda di condanna dell’ente previdenziale alla restituzione della contribuzione non computata ai fini della ricongiunzione dei periodi previdenziali anche nei confronti dei dipendenti ex Agensud non cessati dal servizio (e, dunque, non collocati in quiescenza dopo il 13 ottobre 1993 e prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 32 del 1995, il 9 febbraio 1999);

2. deve premettersi, per quanto rileva in questa sede, che, nel febbraio del 2000, l’amministrazione di destinazione dell’attuale ricorrente aveva disposto la ricongiunzione della posizione previdenziale negando la restituzione delle maggiori somme versate e il TAR per il Lazio, adito dalla dipendente, con sentenza n. 5524 del 2005, aveva ritenuto fondato il diritto alla restituzione delle somme non utili ai fini della ricongiunzione e condannato le amministrazioni resistenti alla restituzione, riconosciuta la legittimazione passiva dell’INPS e del Ministero delle attività produttive;

3. l’attuale ricorrente assumeva il passaggio in giudicato della decisione del TAR perchè impugnata dall’INPDAP, innanzi al Consiglio di Stato, decorso il termine breve d’impugnazione;

4. il Consiglio di Stato, con sentenza n. 5575 del 2009, dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, l’inammissibilità del ricorso originario e rimetteva le parti davanti al giudice ordinario;

5. nelle more del giudizio di gravame innanzi al Consiglio di Stato, l’attuale ricorrente agiva, con due distinti ricorsi, per l’ottemperanza della sentenza di condanna del TAR e otteneva dal Commissario ad acta quanto dovuto ed assegnato dal giudice amministrativo;

6. il giudice del lavoro, innanzi al quale, all’esito della declinatoria della giurisdizione del Consiglio di Stato, il giudizio veniva riassunto, riteneva fondata l’eccezione di inammissibilità (per tardività) del gravame al Consiglio di Stato, priva di effetti la sentenza del Consiglio di Stato e, previa declaratoria del passaggio in giudicato della sentenza del TAR del Lazio n. 5524 del 2005, accoglieva il ricorso;

7. la Corte territoriale, con la sentenza ora impugnata, decidendo sul gravame dell’INPDAP, riteneva la decisione del primo giudice abnorme, pronunciata in violazione del riparto di giurisdizione, delle norme processuali civili e amministrative, inammissibilmente come giudice di appello del Consiglio di Stato e, per finire, facendo rivivere una sentenza del TAR già annullata dal giudice amministrativo di secondo grado;

8. muovendo dalla premessa che non si era formato alcun giudicato di merito, per avere la sentenza del Consiglio di Stato sostituito la sentenza del TAR, affermando la giurisdizione del giudice ordinario, la Corte di merito riteneva che innanzi al giudice del lavoro potesse porsi solo la questione di merito già incardinata innanzi al TAR, e poi riassunta a seguito della sentenza del Consiglio di Stato, e pur rilevando che dal tenore delle conclusioni svolte si richiedesse ancora la conferma del passaggio in giudicato della sentenza del TAR, rigettava, nel merito, la domanda (per la restituzione dei contributi non utili alla copertura del periodo assicurativo ricongiunto ovvero dei soli contributi a carico del dipendente, con ulteriori domande subordinate dirette al mantenimento dei contributi non utili);

9. l’esclusione del diritto alla restituzione traeva fondamento, per la Corte di merito, dall’accertamento che la dipendente, transitata ad altra pubblica amministrazione pubblica, non era stata collocata a riposo nel periodo compreso tra il 13 ottobre 1993 e il 9 febbraio 1995, e dall’insussistenza del diritto alla restituzione dei contributi non più utili ai fini pensionistici in considerazione della non necessaria corrispettività tra contributi e pensione e del dovere di solidarietà a carico di tutti gli iscritti;

10. avverso tale sentenza ricorre per cassazione C.P., con ricorso affidato ad un unico motivo;

11. l’INPS e il Ministero dello Sviluppo Economico hanno resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

12. con il motivo di ricorso, deducendo violazione degli artt. 37,38,324,329 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 2909 c.c., la parte ricorrente si duole che la Corte di merito abbia omesso di accertare il passaggio in giudicato della sentenza del TAR nonostante siano state prodotte sentenze di ottemperanza che, nella contumacia dell’amministrazione, avevano accertato il passaggio in giudicato della sentenza del Tar con la conseguenza che il giudicato esplicito o implicito formatosi sulla questione inerente alla giurisdizione aveva impedito la pronuncia di qualsiasi soggetto nè era suscettibile di essere modificata da alcun’altra sentenza;

13. il ricorso è da rigettare;

14. l’intero impianto delle doglianze è incentrato sul passaggio in giudicato della sentenza del TAR trascurando di considerare che, all’evidenza, non può parlarsi di giudicato amministrativo con riferimento alla sentenza del giudice amministrativo carente di una espressa potestas iudicandi accertata, in via definitiva, dal Consiglio di Stato con sentenza, questa sì, passata in giudicato (v., Cass., Sez. U. n. 31024 del 2019);

15. del pari il mezzo d’impugnazione trascura di considerare che, in generale, agli atti esecutivi satisfattori e così anche agli atti del commissario ad acta si possono attribuire, per la natura surrogatoria del comportamento omesso che è propria dell’attività esecutiva, effetti corrispondenti all’atto sostanziale omesso cui essi rimediano o al massimo effetti di irretrattabilità di quanto legalmente compiuto (v. Cass. n. 5678 del 2020Cass. n. 20994 del 2018 e Cass. n. 17371 del 2011), ma giammai la portata di giudicato;

16. neanche risultano svolte ulteriori censure volte a confutare la affermata insussistenza del diritto alla restituzione, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, non sussistendone le condizioni soggettive della cessazione dal servizio nel periodo tra il 13 ottobre 1993 e il 9 febbraio 1995, data di entrata in vigore del D.L. n. 32 del 1995;

17. segue, coerente, la condanna al pagamento delle spese di lite, liquidate come in dispositivo;

18. ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2021

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