Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26669 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/11/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 24/11/2020), n.26669

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15122/2014 R.G. proposto da:

S.F., quale titolare della ditta individuale NICE di

S.F., rappresentato e difeso, giusta procura a margine del

ricorso, dall’Avv. Piero Cesare Iametti e dall’Avv. Francesco

Caroleo, elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in

Roma, Piazza della Libertà n. 20;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello

Stato e presso i cui uffici domicilia in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 141/46/2013, depositata il 10 dicembre 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 settembre

2020 dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.L’Agenzia delle entrate emette un avviso di accertamento nei confronti di S.F., titolare della ditta individuale Nice, con riferimento all’anno 2008, ai fini Irpef, Iva e Irap, in quanto, per quel che ancora qui rileva, si ritenevano costi insussistenti (per Euro 100.000,00) quelli asseritamente sostenuti dalla ditta individuale per attività di sponsorizzazione in favore della associazione sportiva dilettantistica New Pallavolo di Carnago. In particolare, si sosteneva che le somme versate dalla ditta individuale dello S. in favore della associazione sportiva, che emetteva le relative fatture, a titolo di sponsorizzazione, venivano restituite allo S. totalmente; ciò sulla base delle dichiarazioni rese da G.R., legale rappresentante della associazione sportiva, che aveva ammesso di aver restituito allo S. il 70 % delle somme da lui ricevute a titolo di sponsorizzazione.

2.La Commissione tributaria provinciale di Varese, con sentenza n. 8/4/13, depositata il 23-1-2013, accoglieva parzialmente i ricorsi, confermando l’esistenza delle operazioni di sponsorizzazioni, ma limitatamente al 30 dell’importo documentato, ritenendo credibili le dichiarazioni del legale rappresentante della associazione sportiva, riconoscendo alle stesse la natura confessoria.

3.Avverso tale sentenza proponeva appello principale il contribuente ed appello incidentale l’Agenzia delle entrate.

4.La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 141/46/2013, depositata il 10 dicembre 2013, rigettava sia l’appello principale che quello incidentale, confermando la sentenza di primo grado ed evidenziando che le dichiarazioni di Rino G., legale rappresentante della associazione sportiva, che aveva ricevuto il denaro dallo S. a titolo di sponsorizzazione, avevano valore confessorio laddove ammettevano la restituzione allo S. (sponsor) del 70 % delle somme versate per la sponsorizzazione. Sussistevano, dunque, presunzioni gravi, precise e concordanti sulla inesistenza dei costi asseritamente sostenuti dal contribuente. Nè questi aveva fornito la prova contraria. Le dichiarazioni del G. erano particolarmente significative, in quanto provenivano da “un terzo che non era estraneo alla vicenda” e che “con tali dichiarazioni si è assunto direttamente delle responsabilità penali”.

5. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente, il quale deposita memoria ex art. 380-bis c.p.c..

6.Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 – Violazione degli artt. 2697 – 2727 -2728-2729 e 2730 e ss. c.c. – D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39”.

5.Con il secondo motivo di impugnazione si deduce “l’omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio sulle quali le parti hanno discusso ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

In particolare, si censura la sentenza della Commissione regionale per avere attribuito la qualifica di “prova grave, precisa e concordante” al semplice ed unico elemento indiziario presente agli atti, costituito dalle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della associazione sportiva, che aveva ricevuto il denaro per la sponsorizzazione da parte del contribuente. La dichiarazione resa dal G., quale terzo, non può costituire carattere confessorio, non essendo egli parte del processo. Le sue affermazioni avrebbero potuto costituire solo una “prova indiziaria”. “Abnorme” sarebbe poi la motivazione della sentenza laddove fa riferimento alla “efficacia probatoria ex art. 700 c.c.” di tali dichiarazioni. La sola dichiarazione resa da un terzo non sarebbe sufficiente a dimostrare il mancato pagamento delle somme di cui al contratto di sponsorizzazione, in assenza di altri elementi concorrenti idonei a rendere particolarmente attendibile quanto riportate in tale dichiarazione. Del resto, spetta alla Amministrazione dimostrare la fittizietà della operazione, mentre solo dopo che siano state addotte prove sufficienti a contestare la veridicità dei documenti, spetta al contribuente l’onere di provare l’effettiva esistenza delle operazioni. Nella specie, sono stati dimostrati dal contribuente l’esistenza del rapporto contrattuale di sponsorizzazione e l’effettività dei pagamenti in favore della associazione sportiva oltre alla emissione delle fatture. Tra l’altro, nessuna somma di denaro è stata “accreditata all’appellante”, e quindi restituita da parte della associazione sportiva. Le motivazioni della sentenza sarebbero, poi, carenti ed insufficienti per avere omesso di indicare il processo valutativo autonomo adottato circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio. Se anche il legale rappresentante della associazione avesse prelevato il 70 % del prezzo dei corrispettivi, l’Ufficio avrebbe dovuto verificare i flussi di cassa in capo a coloro che avevano effettivamente ricevuto tali somme. Inoltre, l’Ufficio avrebbe dovuto dimostrare che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata fondamento della detrazione si iscriveva in una evasione sul valore aggiunto commessa a monte o a valle.

1.1.I primi due motivi di impugnazione che vanno affrontati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati nei termini di cui in motivazione.

1.2.Invero, per questa Corte, con riferimento alla detraibilità dell’Iva ed alla deducibilità dei costi nel caso di fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, la fattura, di regola, costitusice titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto e alla deducibilità dei costi in essa annotati, per cui spetta all’Ufficio di dimostrare il difetto delle condizioni per l’insorgenza di tale diritto (Cass., sez., 5, 14 maggio 2020, n. 8919).

Tale prova può essere fornita anche mediante elementi indiziari e presunivi, poichè la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass., n. 9108 del 6 giugno 2012; Cass., sez. 5, 14 maggio 2020, n. 8919)

Pertanto, in caso di ripresa per operazioni oggettivamente inesistenti, quali quelle in contestazione nel caso di specie, ove la fattura costituisca in tutto o in parte mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, l’Amministrazione ha l’onere di fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva (Cass., 30 ottobre 2018, n. 27554; Cass., nn. 21953/2007; 9363/2015; Cass., 24 settembre 2014, n. 20059; Corte giustizia, 6 luglio 2006, C-439/04, 31 novembre 2013, C-642/11), del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (Corte Giustizia 4 giugno 2020, n. 430, per cui i principi che disciplinano il regime comune Iva ostano a che, in presenza di semplici sospetti non suffragati dall’amministrazione tributaria nazionale quanto alla effettiva realizzazione delle operazioni economiche che hanno portato alla emissione di una fattura fiscale, al soggetto passivo destinatario di questa fattura venga negato il diritto alla detrazione Iva se non sia in grado di fornire, oltre a detta fattura, ulteriori prove dell’effettiva esistenza delle operazioni economiche realizzate); successivamente spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate.

Tale prova contraria, però, non può consistere nella mera esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poichè questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzabili proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., sez. 5, 19 ottobre 2018, n. 26453; Cass., sez. 6-5, 15 maggio 2018, n. 11873; Cass., sez. 5, 5 luglio 2018, n. 17619; Cass., nn. 28683/15; 5406/16).

Inoltre, una volta accertata l’assenza della operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente, il quale ovviamente sa bene se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il prezzo o corrispettivo (Cass., 14 settembre 2016, n. 18118).

Va aggiunto che, in tema di IVA, il diritto alla detrazione dell’imposta non sorge per il solo fatto dell’avvenuto pagamento dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, l’inerenza dell’operazione all’impresa, requisito questo mancante in relazione all’IVA corrisposta per operazioni (anche parzialmente)oggettivamente inesistenti, stante la sua inidoneità a configurare un pagamento a titolo di rivalsa in quanto costituente un costo non inerente all’attività dell’impresa e potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da spezzare il detto nesso di inerenza (Cass., sez. 5, 14 maggio 2020, n. 8919; Cass., 19 gennaio 2010, n. 735; Cass., 8 aprile 2015, n. 6973).

1.3.Nella specie il giudice di appello ha valorizzato, in relazione alla prova fornita dall’Amministrazione sulla inesistenza dell’operazione economica, le dichiarazioni rese da G.R., il quale ha ammesso che il 70 % delle some ricevute dallo S., venivano restituite a quest’ultimo.

Il giudice di appello, pur errando nella qualificazione giuridica di tali dichiarazioni, che non possono evidentemente avere valore di confessione stragiudiziale ex artt. 2730 e 2735 c.c., ha però correttamente ritenuto le stesse quale elemento presuntivo di fondamentale importanza (“nel proprio appello…la società ha contestato il contenuto della pronuncia qui appellata laddove il prmo giudice ha attribuito la qualifica di prova grave, precisa e concordante al semplice ed unico elemento indiziario presente in atti”). La successiva aggiunta, in motivazione in ordine alla “confessione” non inficia il ragionamento del giudice (” vi è stata poi la dichiarazione confessoria del G….che ha chiarito la posizione, in quanto si tratta di un terzo che non era estraneo alla vicenda…dichiarazioni che acquisiscono il valore di vera e propria confessione dal momento che, con tali dichiarazioni, il G. si è assunto direttamente delle responsabilità penali”).

1.4.Quanto al valore probatorio delle dichiarazioni rese da terzi al personale della Guardia di finanzia, questa Corte ha univocamente riconosciuto alle stesse la natura indiziaria.

Per questa Corte, infatti, nel processo tributario, le dichiarazioni rese da un terzo, inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione e recepite nell’avviso di accertamento, hanno valore indiziario e possono assurgere a fonte di prova presuntiva, concorrendo a formare il convincimento del giudice anche se non rese in contraddittorio con il contribuente, senza necessità di ulteriori indagini da parte dell’Ufficio (Cass., sez. 6-5, 20 maggio 2020, n. 9316; Cass., n. 6946 del 2015; Cass., 30 settembre 2011, n. 20032).

Peraltro, si è affermato che, in tema di processo tributario, al contribuente, oltre che all’Amministrazione finanziaria, è riconosciuta – in attuazione del principio del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU, a garanzia della parità delle armi e dell’attuazione del diritto di difesa – la possibilità di introdurre, nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale aventi, anche per il contribuente, il valore probatorio proprio degli elementi indiziari (Cass., sez. 5, 27 maggio 2020, n. 9903; Cass., sez. 65, 28 aprile 2015, n. 8606).

Pertanto, correttamente la Commissione regionale ha riconosciuto valore presuntivo alle precise dichiarazioni rese dal G.. Inoltre, proprio perchè il G. è il legale rappresentante della associazione sportiva che avrebbe dovuto ricevere le somme a titolo di sponsorizzazione, avendo questi dichiarato di avere restituito il 70 % delle somme, tale indizio è particolarmente grave e preciso, sì da poter costituire anche da solo elemento di convincimento del giudice di appello.

2.Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio sul quale le parti hanno discusso e per gli effetti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5” in quanto il giudice di appello non ha posto rilievo ad una inspiegata discrepanza .tra le dichiarazioni del Gu in ordine ad un presunto assegno a saldo della fattura e quelli che in realtà sono stati gli effettivi pagamenti (n. 6 assegni nell’arco di quasi un mese). Inoltre, nessuna indagine bancarie è stata svolta, dandosi così prevalenza alle dichiarazioni di un terzo, piuttosto che a fatti concretamente verificabili.

2.1.Tale motivo è infondato.

2.2.Invero, poichè la sentenza è stata depositata il 10-12-2013 trova applicazione il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, applicabile alle sentenze depositate a decorrere dall’11-9-2012.

Il motivo di censura, però, da un lato, si fonda sull’omesso esame di un fatto che non è decisivo per il giudizio (la pretesa discrepanza tra l’assegno emesso a salda della fattura contestata ed i 6 assegni effettivamente emessi) e dall’altro, muove generiche critiche alla motivazione della sentenza, non più consentite in base al nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Non rilevano, dunque, nè il mancato svolgimento dell’indagine bancaria, nè la valorizzazione delle dichiarazioni del terzo, nè la dedotta laconicità della motivazione della sentenza di appello. 3.Le spese del giudizio di legittimità poste a carico del ricorrente, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

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