Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26669 del 22/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 22/12/2016, (ud. 23/11/2016, dep.22/12/2016),  n. 26669

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18289/2015 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati VINCENZO

STUMPO, VINCENZO TRIOLO, ANTONIETTA CORETTI, giusta procura speciale

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

O.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI

GRACCHI 209, presso lo studio dell’avvocato CESARE CARDONI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUIDO CONTICELLI,

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6925/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

15/09/2014, depositata il 17/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato Antonietta Coretti difensore del ricorrente che si

riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 23 novembre 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione, redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“La Corte di appello di Roma ha accolto l’appello proposto da O.V. avverso la sentenza del Tribunale di Viterbo che aveva respinto la domanda diretta al pagamento, da parte del Fondo di garanzia costituito presso l’Inps, della somma di Euro 2.659,64 a titolo di TFR ai sensi della L. n. 197 del 1982, ex art. 2, in favore della predetta quale dipendente della società (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita dal Tribunale di Nola con sentenza del 22.3.2000.

La Corte territoriale, nel richiamare la disciplina per l’accesso al Fondo di garanzia, ha precisato che l’ O., che non era stata ammessa al passivo fallimentare avendo depositato una istanza di insinuazione tardiva, successiva alla chiusura del fallimento, aveva ottenuto l’accertamento del suo credito per t.f.r. in sede monitoria, con provvedimento non opposto, e che, in ogni caso, pure essendo la presunzione di insolvenza fondata sulla chiusura del fallimento per insufficienza di attivo, la lavoratrice aveva inutilmente intrapreso una procedura esecutiva nei confronti del datore di lavoro prima del suo fallimento e, nel corso del giudizio di primo grado, aveva promosso infruttuosamente una nuova procedura esecutiva nei confronti della società, tornata in bonis.

Per la Cassazione della sentenza ricorre l’INPS che articola due motivi, cui resiste l’ O., con controricorso.

L’INPS si duole, con il primo motivo, della violazione e falsa applicazione della L. n. 297 del 1982, art. 2, commi 1, 2, 5 e 7, in relazione all’art. 2120 c.c., osservando che nella specie non vi era stata tempestiva istanza di ammissione della lavoratrice nello stato passivo del fallimento del datore di lavoro insolvente e che la lavoratrice, sia prima della presentazione al Fondo di Garanzia della necessaria domanda amministrativa del 14.10.2010, che prima dell’instaurazione della presente controversia (ricorso giudiziale del 27.4.2012), non aveva esperito alcuna azione esecutiva individuale nei confronti del datore inadempiente, in conformità ai principi affermati da consolidata giurisprudenza di legittimità.

Con il secondo motivo, si duole della violazione degli stessi articoli indicati nella rubrica del primo motivo, anche in relazione all’art. 2697 c.c., rilevando, in via subordinata, che, anche in caso di chiusura per insufficienza di attivo della procedura concorsuale, ove il lavoratore non abbia operato la tempestiva insinuazione del proprio credito per TFR in ragione di tale chiusura, lo stesso possa chiedere l’intervento del Fondo di Garanzia solo a condizione che abbia proceduto preventivamente ad effettuare l’esecuzione individuale nei confronti del datore di lavoro. Aggiunge che i due pignoramenti negativi nei confronti del datore inadempiente erano stati successivi all’instaurazione del giudizio per cui è causa, per cui l’INPS non aveva potuto delibare correttamente in sede amministrativa sulla richiesta di pagamento del tfr.

La controversia può essere decisa alla luce dei principi affermati da ultimo da Cass. 27.4.2015 n. 7877, decisione nella quale, dopo un’analitica ricostruzione dei principi in materia contenuti nella direttiva comunitaria relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d’insolvenza del datore di lavoro (direttiva CEE del Consiglio 20 ottobre 1980, n. 80/987) e nella normativa nazionale attuativa della menzionata direttiva (L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 2, Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), è stato ribadito, alla stregua di numerosi precedenti di legittimità (cfr. sentenze n. 7585 del 2011, n. 15662 del 2010, n. 1178 del 2009, n. 7466 del 2007), che, sulla base di una lettura della legge nazionale orientata nel senso voluto dalla direttiva CE n. 987 1980, quest’ultima consente, secondo una ragionevole interpretazione, l’ingresso ad un’azione nei confronti del Fondo di garanzia, quando l’imprenditore non sia in concreto assoggettato al fallimento e l’esecuzione forzata si riveli infruttuosa. E’ stato evidenziato come l’espressione “non soggetto alle disposizioni del R.D. n. 267 del 1942″ va quindi interpretata nel senso che l’azione della citata L. n. 297 del 1982, ex art. 2, comma 5, trova ingresso quante volte il datore di lavoro non sia assoggettato a fallimento, vuoi per le sue condizioni soggettive vuoi per ragioni ostative di carattere oggettivo e che il lavoratore può conseguire le prestazioni del Fondo di garanzia costituito presso l’INPS (…) ove lo stesso abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione, salvo che risultino in atti altre circostanze le quali dimostrino che esistono altri beni aggredibili con l’azione esecutiva (cfr. Cass. 7877/2015 cit.).

Pertanto, come osservato dall’Istituto in ricorso, nel caso in cui il lavoratore non dimostri di essere stato ammesso al passivo del fallimento e tale ammissione sia resa impossibile dalla chiusura della procedura fallimentare per insufficienza dell’attivo, prima dell’esame di una domanda tardiva di insinuazione, il lavoratore è, tenuto a procedere ad esecuzione forzata nei confronti del datore di lavoro tornato in bonis.

In particolare, secondo l’orientamento richiamato (v. anche Cass. 7.6.2007 n. 13305, Cass. 22.5.2007 n. 11945, Cass. 7.4.2010 n. 8265) il diritto alla prestazione del Fondo nasce, non in forza del rapporto di lavoro, ma a seguito del distinto rapporto assicurativo-previdenziale, in presenza dei presupposti previsti dalla legge: insolvenza del datore di lavoro ed accertamento nell’ambito della procedura concorsuale secondo le specifiche regole di tale procedura, formazione di un titolo giudiziale ed esperimento non satisfattivo dell’esecuzione forzata.

Nel caso in esame l’azione esecutiva è stata inutilmente esperita, tardivamente, quando il procedimento giudiziario per ottenere la condanna del Fondo al pagamento delle somme era stato già iniziato, nè rileva che il credito fosse stato già positivamente accertato in forza di provvedimento monitorio non opposto. Per altro verso, la procedura fallimentare si era conclusa, seppure per effetto della verificata mancanza di attivo.

La lavoratrice, con una diligenza ordinaria, avrebbe dovuto porre in esecuzione il titolo e, solo dopo aver verificato l’incapienza del patrimonio del datore di lavoro, rivolgere la sua domanda all’Inps che gestisce il Fondo.

Alla stregua di tali considerazioni, si propone l’accoglimento del ricorso e, potendo la causa essere decisa nel merito, per non essere necessari ulteriori accertamenti di fatto, il rigetto dell’originaria domanda dell’ O..

Valuterà il Collegio il profilo di inammissibilità del ricorso dell’INPS per carenza di interesse, evidenziato in sede di controricorso dall’ O., sul rilievo che, con nota del 10.4.2015, della quale non si riporta peraltro il preciso tenore, l’INPS aveva comunicato di avere provveduto ad accogliere integralmente la domanda presentata il 19.8.2010 e ciò, asseritamente, non in esecuzione della sentenza della Corte di appello di Roma che aveva accolto il gravame della lavoratrice”.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Osserva il Collegio che il contenuto della sopra riportata relazione sia pienamente condivisibile siccome coerente alla giurisprudenza di legittimità in materia e che le argomentazioni del relatore, che richiamano tali consolidati principi, non risultano scalfite dalle osservazioni svolte dal difensore della controricorrente, anche in considerazione della irrilevanza del richiamo genericamente effettuato ad una nota dell’INPS della quale, in dispregio del principio di autosufficienza, non si riporta il preciso tenore, a prescindere da ogni valutazione circa la tempestività della relativa produzione.

Va pertanto statuito nel senso dell’ accoglimento del ricorso e della cassazione della pronunzia impugnata, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto (art. 384 c.p.c., comma 2, seconda parte), la domanda originaria va rigettata.

Le spese dei gradi di merito vanno compensate in ragione delle alterne soluzioni del primo e del secondo grado, laddove quelle del presente giudizio seguono la soccombenza dell’ O. e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda. Compensa tra le parti le spese dei gradi di merito e condanna l’ O. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 1000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese generali in misura del 15%.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016

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