Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26664 del 22/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 22/12/2016, (ud. 23/11/2016, dep.22/12/2016),  n. 26664

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14703/2015 proposto da:

M.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

MICHELE MONGELLI, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO

STUMPO, VINCENZO TRIOLO, giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2201/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI del

29/09/2014, depositata il 13/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato Antonietta Coretti difensore del controricorrente

che si riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in Camera di consiglio del 23 novembre 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con sentenza del 20.5.2015, la Corte di appello di Bari rigettava il gravame proposto da M.M.C. avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto, per intervenuta decadenza, la domanda della predetta, bracciante agricola, intesa ad ottenere l’indennità di maternità per astensione dal lavoro, chiesta con domanda del 13.12.1990.

Il giudice del gravame rilevava che l’azione giudiziaria doveva essere proposta entro il termine decadenziale di un anno, ampiamente decorso nella specie a far data dal momento di scadenza dei termini fissati per il completamento della procedura amministrativa. Rilevava che non poteva avere riflessi sulla decorrenza del termine di decadenza l’avvenuta comunicazione da parte dell’INPS della sospensione di ogni decisione sulla domanda amministrativa della prestazione in attesa della definizione del procedimento amministrativo connesso alla legittimità dell’iscrizione dell’istante negli elenchi anagrafici dei braccianti agricoli e che il regime della prescrizione dell’indennità de qua era condizionato solo da effetto sospensivo connesso al procedimento in sede amministrativa, non potendo rilevare a fini sospensivi altri provvedimenti dell’istituto.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la M., affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste l’INPS, con controricorso.

Con il primo motivo, si denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 636, art. 47 e si avanza “richiesta di esame pregiudiziale della validità con rinvio alla Corte di Giustizia della Unione Europea”, osservandosi che, secondo l’ultimo orientamento della Corte di Cassazione, a s.u., espresso con sentenza 5572/2012, il termine non è di natura decadenziale, bensì prescrizionale, ed inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, e cioè, in caso di silenzio rifiuto, dalla data di formazione dello stesso. Si sostiene che in caso diverso si avrebbe una grave limitazione dei diritti degli assistiti previdenziali che, di fronte ad un’inerzia immotivata dell’amministrazione o a comportamenti negligenti ed omissivi o ingannevoli, vedrebbero sacrificato il proprio diritto per il semplice decorso del tempo. Si aggiunge che la S.C. aveva desunto dal R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 97, un principio di carattere generale di settore per il quale il decorso della prescrizione risulta sospeso per il tempo di inerzia giustificata, e quindi incolpevole, dell’assicurato e che tale soluzione risponde all’esigenza di interpretare la normativa nazionale in conformità ai trattati internazionali ed al principio dell’equo processo, letto in combinato disposto con la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale ed anche con l’art. 47 della Carta dei Diritti fondamentali UE.

Con il secondo motivo, ci si duole della violazione e dell’erronea e falsa applicazione del D.L. n. 384 del 1992, art. 4, convertito con L. n. 438 del 1992, osservandosi che nulla ha osservato la Corte territoriale in ordine alle deduzioni dell’appellante con riguardo all’operatività del termine decadenziale solo relativamente ai ratei maturati e non riscossi e non al diritto nella sua interezza.

Il ricorso è inammissibile.

Ed invero, quanto alla prima doglianza, con la quale si sollecita la richiesta di esame pregiudiziale con rinvio alla Corte di Giustizia della Unione Europea e si qualifica il termine di cui al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, quale termine di prescrizione, va rilevato che il rinvio pregiudiziale nei termini richiesti ex art. 234 Trattato CE (art. 267 TFUE), può essere disposto unicamente ove il giudice nazionale si ponga un dubbio relativo alla interpretazione dei trattati e sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, ove la questione sia pregiudiziale alla decisione del giudice nazionale. Tale situazione non ricorre nell’ipotesi considerata in relazione alla quale, peraltro, differentemente da quanto assume parte ricorrente, la Corte di Cassazione a s.u., 6.4.2012 n. 5572 ha puntualizzato come al termine di prescrizione – che deve ritenersi sospeso durante il tempo di formazione del silenzio rifiuto 120 giorni dalla richiesta all’istituto assicuratore senza che l’Istituto si sia pronunciato, nonchè durante il tempo in cui la domanda è improcedibile (art. 443 c.p.c.) per non essere ancora decorso, in generale, il termine di centottanta giorni dalla data in cui è stato proposto il ricorso amministrativo ovvero, in particolare, per non essere ancora esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa ovvero decorsi i termini ivi fissati per il compimento dei procedimenti stessi, come nel caso delle prestazioni previste dalla L. n. 88 del 1989, art. 46 (quale è l’indennità di maternità), che contempla il termine di 90 giorni per il ricorso al comitato provinciale e di ulteriori 90 giorni per la decisione di quest’ultimo – si affianca la decadenza prevista dal D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47, per la quale si è parimenti affermato che non rileva la durata del procedimento amministrativo nel senso che il termine di decadenza decorre soltanto dalla data di comunicazione della decisione definitiva del ricorso pronunziata dai competenti organi dell’istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della decisione medesima (cfr. Cass. s.u. 5572/2012 cit.).

Il secondo motivo e poi proposto in modo inammissibile, senza alcun riferimento a doglianze formulate in sede di gravame in relazione alla specifica questione, per la prima volta avanzata nella presente sede, senza peraltro indicarne in modo autosufficiente i termini di rilevanza ai fini di causa. In ogni caso, come già osservato in un precedente di legittimità utilmente richiamabile, “la pronuncia del 27.10. 12718 del 2009 resa a sezioni unite, componendo un contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità, in tema di decadenza dall’azione giudiziaria per il conseguimento) di prestazioni previdenziali, ha chiarito che il D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, nel testo modificato dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4, convertito, con modificazioni, nella L. n. 438 del 1992), dopo avere enunciato due diverse decorrenze delle decadenze riguardanti dette prestazioni (dalla data della comunicazione della decisione del ricorso amministrativo o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della detta decisione), individua nella “scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo” – la soglia di trecento giorni (risultante dalla somma del termine presuntivo di centoventi giorni dalla data di presentazione della richiesta di prestazione di cui alla L. n. 533 del 1973, art. 7 e di centottanta giorni, previsto) dalla L. n. 88 del 1989, art. 46, commi 5 e 6, oltre la quale la presentazione di un ricorso tardivo pur restando rilevante ai fini della procedibilità dell’azione giudiziaria non consente lo spostamento in avanti del “dies a quo” per l’inizio del computo del termine decadenziale. Tale disposizione – per configurarsi come una norma di chiusura volta ad evitare una incontrollabile dilatabilità del termine di una decadenza avente natura pubblica – deve trovare applicazione anche se il ricorso amministrativo o la decisione sul ricorso siano intervenuti in ritardo rispetto al termine previsto (cfr. Cass. 27.10.2014 n. 22759, che richiama Cass. n. 18528 del 2011, n. 17562 del 2011, n. 7527 del 2010).

Alla stregua di tali considerazioni, si propone la declaratoria di inammissibilità del ricorso in sede camerale”.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Osserva il Collegio che il contenuto della sopra riportata relazione sia pienamente condivisibile siccome coerente alla giurisprudenza di legittimità in materia e che ciò comporta la reiezione del ricorso della M..

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

Attesa la proposizione del ricorso in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, vigente il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 778, art. 1, comma 17, deve rilevarsi, in ragione del rigetto dell’impugnazione, la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato previsto dall’indicata normativa, posto a carico della ricorrente (cfr. Cass. Sez. Un. n. 22035/2014).

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 2500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese generali in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016

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