Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26663 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/11/2020, (ud. 18/09/2020, dep. 24/11/2020), n.26663

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 22076 del ruolo generale dell’anno 2012,

proposto da:

S.P., titolare della ditta individuale “Meridional Plast

di S.P.” rappresentato e difeso, giusta procura speciale

in calce al ricorso, dall’Avv.to Leonardo Scardigno, elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’avv.to Patrizia Barlettelli, in

Roma, Via della Bufalotta n. 174;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Puglia, n. 11/11/2012, depositata in data 17

febbraio 2012, non notificata;

Lette le conclusioni scritte del P.G., in persona del sostituto

procuratore generale Dott. Giovanni Giacalone, il quale ha chiesto

il rigetto del ricorso;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18 settembre 2020 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

– con sentenza n. 11/11/2012, depositata in data 17 febbraio 2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Puglia accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di S.P., titolare della ditta individuale “Meridional Plast di S.P.”, avverso, la sentenza n. 121/17/10 della Commissione tributaria provinciale di Bari che aveva accolto il ricorso proposto dal suddetto contribuente avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio di Barletta – previo p.v.c. del 23 maggio 2005 della G.d.F. a seguito di verifica presso la ditta individuale “Detergenti industriali e affini di M.A.” – aveva recuperato a tassazione, per l’anno 2002, costi indebitamente dedotti, ai fini Irpef e Irap e detratti ai fini Iva, afferenti a fatture emesse dalla ditta M.A. per operazioni oggettivamente inesistenti;

– in punto di fatto dalla sentenza impugnata si evince che: 1) avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) emesso, per l’anno 2002, ai fini Iperf, Irap e Iva, nei confronti della ditta “Meridional Plast di S.P.” – che aveva tratto origine da una verifica fiscale a carico della ditta “Detergenti industriali e affini di M.A.” confluita nel p.v.c. del 23 maggio 2005 da cui era emersa la fatturazione di operazioni oggettivamente inesistenti nei confronti della Meridional Plast – la società contribuente aveva proposto ricorso alla CTP di Bari deducendone il difetto di motivazione per relationem, la mancata prova della fittizietà delle operazioni fatturate, essendo il fornitore M. regolarmente iscritto alla CCIAA e titolare di partita Iva; 2) aveva controdedotto l’Agenzia delle entrate eccependo, come dalla verifica fiscale della G.d.F., effettuata a carico della ditta M. e confluita nel p.v.c. del 23 maggio 2005, fosse emerso, nel periodo 2001-2003, il compimento da parte di quest’ultima di operazioni fittizie, stante la mancanza di struttura, organizzazione e mezzi adeguati per fare fronte al dichiarato volume di affari, la riscontrata divergenza tra gli importi indicati nelle fatture consegnate al cessionario e quelli risultanti dai documenti tenuti dal cedente, la duplicazione dei numeri progressivi attribuiti alle fatture emesse, l’assenza delle giacenze di magazzino alla data di accesso, la ricorrenza di pagamenti in contanti e, di contro, la mancata prova da parte della cessionaria di pagamenti effettuati, a mezzo banca, a dimostrazione della legittimità dei costi sostenuti; 3) la CTP, con la sentenza n. 121/17/2010, aveva accolto il ricorso; 4) aveva proposto appello l’Agenzia delle entrate chiedendo la riforma della sentenza di primo grado; 5) aveva controdedotto il contribuente con richiesta di conferma della decisione della CTP;

– in punto di diritto, la CTR ha osservato che: 1) le operazioni commerciali contestate erano riconducibili a fatture di acquisto rilevate dai verificatori nella sede della Meridional Past – il cui pagamento era avvenuto in contanti- con imponibili e imposte diverse rispetto a quelle rinvenute presso la ditta cedente “Detergenti Industriali e Affini di M.A.”; 2) la documentazione e gli elementi riscontrati dalla G.d.F. costituivano indizi gravi, precisi e concordanti della assunta fittizietà delle operazioni fatturate; 3) il contribuente non aveva prodotto idonea prova a contrario in ordine alla legittimità dei costi sostenuti e alla divergenza degli importi indicati sulle fatture rinvenute presso il cessionario rispetto a quelle esibite dal cedente; 4) era anche emerso che, a sua volta, la ditta M. acquisiva la quasi totalità della merce dalla ditta PC Ingrosso di Pr.Ca. – con sede in un appartamento disabitato – che oltre a non avere presentato alcuna dichiarazione fiscale per gli anni 1999-2002, nell’anno 2002 aveva emesso nei confronti della ditta M. fatture per oltre 700.000, “proprio mentre era detenuto”; 5) l’Amministrazione nel richiamare nell’avviso di accertamento il p.v.c. della G.d.F. lo aveva ritenuto completo ed esaustivo, confermandone il contenuto nella sua interezza;

– avverso la sentenza della CTR, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste, con controricorso l’Agenzia delle entrate;

– il ricorrente ha depositato memoria illustrativa insistendo per l’accoglimento del ricorso;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis 1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, in combinato agli artt. 2697 e 2729 c.c. nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, per avere la CTR ritenuto legittimo l’avviso di accertamento, limitandosi a rilevare che “la documentazione e gli elementi riscontrati dalla G.d.F. costitui(vano) indizi gravi, precisi e concordanti”, senza specificare quali fossero tali elementi e, pertanto, senza che l’Amministrazione avesse concretamente assolto all’onus probandi circa la afferenza delle fatture emesse dalla ditta M. ad operazioni oggettivamente inesistenti; in particolare, ad avviso del ricorrente, nè il richiamato pagamento in contanti- del quale il contribuente aveva comunque fornito prova tramite l’esibizione delle ricevute allegate alle fatture e del conto di mastro – nè tantomeno la evidenziata divergenza degli importi indicati sulle fatture rinvenute dal cessionario rispetto a quelle esibite dal cedente- peraltro giustificata dal fatto, emerso in sede di verifica, che fosse la stessa ditta M. a “modificare autonomamente le fatture emesse rispetto a quelle consegnate ai propri clienti” – potevano costituire presupposti sufficienti per emettere l’avviso di accertamento;

– il motivo si profila inammissibile per le ragioni di seguito indicate;

– in primo luogo, il ricorrente col mezzo all’esame ha cumulato censure per violazioni di legge e per vizi motivazionali senza però distinguere tra di essi nell’illustrazione del motivo: in tal modo impedendo un sicuro esercizio nomofilattico. In effetti, non può farsi carico alla Corte di individuare all’interno dell’esposizione ciò che costituisce violazione di legge da ciò che costituisce vizio motivazionale. Difatti (anche dopo l’abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c.) l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, impone alla parte sotto il profilo dell’autosufficienza di spiegare quali siano le ragioni della censura. E, appunto, senza che la Corte debba fare opera di supplenza (Cass., sez. 5, n. 2617 del 2015; Cass. sez. 3 n. 18375 del 2010; Cass. sez. 3 n. 12984 del 2006; Cass. sez. 3 n. 21659 del 2005);

– peraltro, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, e non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poichè in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (tra le altre, Cass. n. 23518 del 2018; Cass. n. 571 del 2017; n. 19064 del 2006, n. 15107 del 2013). Nella specie, invece, proprio un’indebita valutazione il ricorrente intende sostenere senza che, tuttavia, per quanto appena ricordato, possa ritenersi violato l’art. 2697 c.c.;

– peraltro, premesso che “ove la fattura costituisce in tutto o in parte mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, l’amministrazione ha l’onere di fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva (Cass. nn. 21953/07, 9784/10, 9108/12, 15741/12, 23560/12; 27718/13, 20059/2014, 26486/14, 9363/15; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C439/04; 21 febbraio 2006, C-255/02; 21 giugno 2012, C-80/11; 6 dicembre 2012, C-285/11; 31 novembre 2013, C-642/11), del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata, dopo di che spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate; tale prova, tuttavia, non può consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poichè questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. nn. 28572 del 2017; 5406 del 2016, 28683 del 2015, 428 del 2015, 12802 del 2011, 15228 del 2001); e comunque, una volta accertata l’assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente (rilevante invece nella diversa ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti), il quale ovviamente sa bene se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il prezzo o corrispettivo” (Cass. n. 18118 del 2016, in motivazione; Cass. n. 16473 del 2018), nella specie, il motivo di ricorso, da un lato, non coglie il decisum e, dall’altro, pur prospettando una violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, in combinato agli artt. 2697 e 2729 c.c., in realtà tende inammissibilmente ad una nuova interpretazione di questioni di merito; infatti, la decisione della CTR circa la legittimità dell’avviso – lungi dall’essere basata, quale indizio della oggettiva inesistenza delle operazioni fatturate dalla ditta M. in favore della contribuente, solo sul riscontrato pagamento in contanti e sulla rilevata divergenza tra gli importi indicati nelle fatture consegnate al cessionario e quelle rinvenute presso la ditta cedente M. – si fonda su una pluralità di elementi indiziari – considerati dal giudice di appello, con un apprezzamento di merito non sindacabile in sede di legittimità, gravi, precisi e concordanti- emersi in sede verifica fiscale effettuata dalla G.d.F. nei confronti della ditta M., conclusasi con il p.v.c. del 23 maggio 2005; invero, come si evince dalla parte in fatto della sentenza impugnata, tali elementi indiziari erano stati ravvisati nella mancanza in capo alla cedente ditta M. di struttura, mezzi e organizzazione adeguati per fare fronte al dichiarato volume di affari, anche considerando l’attività esercitata di vendita di modestissimi quantitativi di buste di plastica presso un mercato ortofrutticolo nonchè nella riscontrata divergenza tra gli importi indicati nelle fatture consegnate al cessionario e quelli risultanti dai documenti tenuti dal cedente, nella duplicazione dei numeri progressivi attribuiti alle fatture emesse, nell’assenza delle giacenze di magazzino alla data di accesso e nella ricorrenza di pagamenti in contanti; in aggiunta a tali elementi, la CTR ha sottolineato come, a sua volta, la quasi totalità delle operazioni di acquisto della ditta M. risultasse essere stata effettuata dalla ditta PC Ingrosso di Pr.Ca. – con sede in un appartamento disabitato – la quale non aveva presentato dichiarazioni fiscali per gli anni 1999-2002 e aveva emesso fatture “proprio mentre era detenuto”; a fronte di tali elementi, la CTR – sempre con un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità – ha ritenuto non assolta dal contribuente alcuna prova contraria idonea circa la legittimità dei costi dedotti; va, al riguardo, ribadito l’orientamento di questa Corte secondo cui “E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 18721 del 13/07/2018);

– con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la CTR, con una affermazione apodittica, ritenuto congruamente motivato l’avviso di accertamento, ancorchè quest’ultimo, rinviando acriticamente al p.v.c. della G.d.F. e senza una autonoma rielaborazione dei dati da altri acquisiti, difettasse, in sostanza, della indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche della pretesa tributaria;

– il motivo, sotto entrambi i profili denunciati, è infondato;

– quanto alla sufficienza motivazionale di un atto impositivo che rinvii per relationem ad altro atto esterno, questa Corte ha affermato che “In tema di atto amministrativo finale di imposizione tributaria (nella specie relativo ad avviso di rettifica di dichiarazione IVA da parte dell’Amministrazione finanziaria) la motivazione “per relationem”, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21119 del 13/10/2011; Sez. 5, Sentenza n. 30560 del 20/12/2017; Sez. 5, Sentenza n. 32957 del 20/12/2018; Cass. sez. 5, ord. n. 24038 del 3/10/2018);

– nella specie, la CTR, con una motivazione congrua e scevra da vizi logici-giuridici, si è attenuta al suddetto principio di diritto nel ritenere, in sostanza, congruamente motivato l’avviso di accertamento in questione facente rinvio integralmente all’operato della G.d.F di cui al richiamato p.v.c. del 23.5.2005;

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle entrate che si liquidano in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito;

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

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