Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26661 del 28/11/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 26661 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA

sul ricorso 9644-2009 proposto da:
LUCCIONI FABIO C.F. LCCFBA67PO4H501S, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA AGRI l, presso lo studio
dell’avvocato NAPPI PASQUALE, che lo rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2013
2948

E.N.A.V. – ENTE NAZIONALE DI ASSISTENZA AL VOLO S.P.A.
C.F. 02152021008, in persona del legale rappresentante
pro te.1222£2,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A.

GRAMSCI 54, presso lo studio dell’avvocato ZELA

Data pubblicazione: 28/11/2013

MARINA, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato VITALI DANILO, giusta delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 3418/2008 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 30/10/2008r.g.n. 5711/2005;

udienza

del

22/10/2013

dal

Consigliere

Dott.

GIANFRANCO BANDINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per
l’improcedibilità in subordine rigetto.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Luccioni Fabio, dipendente dell’Enav spa, convenne in giudizio la
parte datoriale rivendicando:
il pagamento delle differenze del premio di produzione e

produttività – “premio di sede” – per gli anni 1998 – 1999;

il pagamento delle differenze retributive per il lavoro festivo.

Radicatosi il contraddittorio e sulla resistenza della parte convenuta,
il Giudice adito respinse la prima domanda ed accolse la seconda.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 28.4 – 30.10.2008,
accogliendo il gravame principale dell’Enav, respinse la domanda di
pagamento del compenso per il lavoro festivo e rigettò
l’impugnazione incidentale del Luccioni in ordine al premio di sede.
A sostegno del decisum la Corte territoriale osservò quanto segue:

premesso che il Luccioni risultava retribuito in maniera fissa, sulla

scorta della richiamata giurisprudenza di legittimità doveva
escludersi che la maggiorazione prevista dalla legge (art. 5, comma
3, legge n. 260/49, come sostituito dall’art. 1, legge 31 marzo 1954,
n. 90) andasse determinata secondo criteri di omnicomprensività,
essendo consentito alla contrattazione collettiva identificare le
componenti costitutive della relativa base di computo, atteso che il
semplice richiamo al concetto di retribuzione non poteva che
ritenersi affidato alla libera determinazione dei contratti collettivi;

avendo il lavoratore chiesto il pagamento della retribuzione

globale di fatto per l’attività lavorativa prestata “anche nei giorni
festivi nazionali e infrasettimanali” costituiva una questione nuova

quella inerente al compenso dovuto nell’ipotesi in cui una qualsiasi
delle festività civili e religiose venisse a cadere di domenica;

nessun accenno, nel ricorso introduttivo, era stato fatto in ordine

contrattuale prevista dalla contrattazione collettiva per la retribuzione
del giorno festivo;

avuto riguardo alla disciplina contrattuale collettiva, doveva

escludersi che, per il solo utilizzo del termine “stimati”, potesse
desumersi la variabilità del criterio di calcolo stabilito per il premio di
sede, il che trovava conferma altresì in quanto contemplato nel
verbale d’intesa del 14.5.1999, antecedente la stipula del CCNL.
Avverso tale sentenza della Corte territoriale, Luccioni Fabio ha
proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi e illustrato
con memoria.
L’intimata Enav spa ha resistito con controricorso, illustrato con
memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo articolato motivo, denunciando violazione di legge
(art. 5 legge n. 260/49; artt. 99 e 112 cpc), il ricorrente deduce che:

nella retribuzione globale di fatto prevista dalla normativa di

riferimento deve ritenersi computabile qualsiasi compenso fisso e
continuativo, secondo il concetto della omnicomprensività;
erroneamente la Corte territoriale aveva omesso di pronunciarsi
sul lavoro festivo coincidente con la domenica, poiché, se avesse
provveduto ad un’attenta e completa disamina degli atti di causa si

4f

all’eventuale violazione da parte dell’Enav della disciplina

sarebbe avveduta che il lavoro festivo coincidente con la domenica
non era stato escluso, ma anzi ricompreso nella domanda
complessiva di pagamento della somma indicata a titolo di differenze

1.1 Osserva preliminarmente la Corte che l’art. 366

di lavoro festivo.
bis cpc è

applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti
pubblicati dopo l’entrata in vigore (2.3.2006) del dl.vo 2 febbraio
2006, n. 40 (cfr, art. 27, comma 2, dl.vo n. 40/06) e anteriormente al
4.7.2009 (data di entrata in vigore della legge n. 68 del 2009) e,
quindi, anche al presente ricorso, atteso che la sentenza impugnata
è stata pubblicata il 30.10.2008.
In base alla norma suddetta, nei casi previsti dall’articolo 360, primo
comma, numeri 1), 2), 3) e 4), cpc, l’illustrazione di ciascun motivo si
deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un
quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’articolo 360, primo
comma, n. 5), cpc, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere,
sempre a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto
controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza
della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
Secondo l’orientamento di questa Corte il principio di diritto previsto
dall’art. 366 bis cpc, deve consistere in una chiara sintesi logicogiuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità,
formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od
affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco

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/)

l’accoglimento od il rigetto del gravame (cfr, ex plurimis, Cass., SU,
n. 20360/2007), mentre la censura concernente l’omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un

momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva
puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in
sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20603/2007).
In particolare deve considerarsi che il quesito di diritto imposto
dall’art. 366

bis cpc, rispondendo all’esigenza di soddisfare

l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella
cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una
più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione
nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione, il principio di diritto
applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la
risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale,
e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del
motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla
fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello
stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni
esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con
l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile
di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto
all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (cfr,
ex plurimis, Cass., nn. 11535/2008; 19892/2007).

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A

Conseguentemente è inammissibile non solo il ricorso nel quale il
suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in
modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi

essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sia
formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile
accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto
generico (cfr, ex plurimis, Cass., SU, 20360/2007, cit.).
1.21n applicazione di tali principi, deve riconoscersi l’inammissibilità
del primo profilo di censura, posto che il pertinente quesito di diritto
si limita a richiedere a questa Corte di accertare se, giusta le
previsioni dell’art. 5 legge n. 260/49, l’Enav avrebbe dovuto
ricomprendere o meno nella retribuzione base ai fini del pagamento
del lavoro festivo, applicando le maggiorazioni nelle percentuali
contrattualmente determinate, gli emolumenti di seguito indicati,
senza specificare quale

regula iuris avrebbe dovuto trovare

applicazione nel caso di specie in contrapposizione al principio
seguito nella sentenza impugnata.
Per completezza di motivazione deve comunque rilevarsi che la
censura, ove ammissibile, sarebbe infondata, giusta l’orientamento
al riguardo della giurisprudenza di questa Corte, cui si è conformata
la sentenza impugnata, secondo cui, in tema di compenso per le
festività infrasettimanali, il criterio di omnicomprensività della
retribuzione è stato adottato dall’art. 5 legge n. 260/49, come
sostituito dall’art. 1 legge n. 90/54, soltanto per l’ipotesi di non

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d’impugnazione; ovvero sia formulato in modo implicito, sì da dovere

prestazione di lavoro nella ricorrenza della festività (primo comma);
diversamente, il compenso dovuto per il caso di lavoro
effettivamente prestato nella ricorrenza è stato determinato nella

elemento accessorio, “con la maggiorazione per il lavoro festivo”
(secondo e terzo comma); pertanto il criterio di omnicomprensività
non riguarda il compenso spettante per le ore di lavoro
effettivamente prestate, il quale, essendo istituto contrattuale
rimesso all’autonomia delle parti, va determinato alla stregua della
disciplina collettiva, cui perciò occorre far riferimento anche per
accertare se determinati emolumenti siano computabili ai fini della
maggiorazione per il lavoro festivo (cfr, ex plurimis, Cass., nn.
9206/2000; 9764/2000; 1896/2001; 9777/2001; 14111/2001;
3168/2002; 2672/2005; 9736/2005; 2245/2006).
1.31n ordine al secondo profilo di censura deve rilevarsi che il
ricorrente non indica in base a quali considerazioni svolte nel ricorso
di primo grado la Corte territoriale avrebbe dovuto desumere
l’avvenuta proposizione di una specifica domanda afferente al lavoro
prestato in coincidenza con festività cadente di domenica,
richiamando invece quanto, a suo dire, dovrebbe ricavarsi dalla
lettura delle buste paga, delle quali peraltro, in violazione del
principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non trascrive il
contenuto, né specifica i termini e i modi della loro produzione in
giudizio; dal che discende l’inaccoglibilità della doglianza.

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normale retribuzione di fatto giornaliera, comprensiva di ogni

1.411 primo motivo di ricorso, nei distinti profili in cui si articola, non
può pertanto trovare accoglimento.
2. Con il secondo motivo, denunciando violazione di legge (artt.

all’interpretazione della normativa pattizia relativa al premio di sede,
aveva fatto errata applicazione dei criteri di ermeneutica,
soffermandosi unicamente sulla definizione del premio di cui al
CCNL del 16.11.1999, omettendo di armonizzarne la
regolamentazione con le altre disposizioni contrattuali (accordo
quadro 11.7.1998; verbale d’intesa 14.5.1999), che rappresentavano
l’antefatto logico – giuridico sia della istituzione del premio di sede,
che delle sue modalità di calcolo e di pagamento; ove avesse svolto
tale indagine, avrebbe invece dovuto riconoscere che gli importi
indicati per gli anni 1998 e 1999 assumevano un parametro di
riferimento che avrebbe dovuto essere verificato e aggiornato
all’esito del consuntivo dei dati riguardanti il volato.
2.111 motivo si fonda su una pretesa diversa interpretazione delle
previsioni del CCNL del 16.11.1999, da attuarsi in relazione ad
ulteriori fonti contrattuali pattizie (accordo quadro 11.7.1998; verbale
d’intesa 14.5.1999).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte l’onere di depositare i
contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda – imposto, a
pena di improcedibilità, dall’art. 369, comma 2, n. 4, cpc, nella nuova
formulazione di cui al dl.vo n. 40/06 – non può dirsi soddisfatto con la
trascrizione nel ricorso delle sole disposizioni della cui violazione il

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1362 e ss cc), il ricorrente deduce che la Corte territoriale, in ordine

ricorrente si duole attraverso le censure alla sentenza impugnata,
dovendosi ritenere che la produzione parziale di un documento sia
non solamente incompatibile con i principi generali dell’ordinamento

dl.vo n. 40/06, intesi a potenziare la funzione nomofilattica della
Corte di Cassazione, ma contrasti con i canoni di ermeneutica
contrattuale dettati dagli artt. 1362 cc e seguenti e, in ispecie, con la
regola prevista dall’art. 1363 cc, atteso che la mancanza del testo
integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in
altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti
per l’interpretazione esaustiva della questione che interessa (cfr, ex
plurimis,

Cass., nn. 15495/2009; 27876/2009; 28306/2009;

2742/2010; 3459/2010; 3894/2010; 6732/2010).
Nel caso all’esame il ricorrente non ha trascritto in ricorso, in
violazione del principio di autosufficienza, il testo delle clausole
contrattuali richiamate; né ha fornito le necessarie specifiche
indicazioni per il reperimento all’interno dei dimessi fascicoli di parte,
ove in essi contenuti, del testo integrale del CCNL contenente la
normativa della cui interpretazione si discute e degli altri documenti
contrattuali invocati a fondamento dell’interpretazione prospettata
(cfr., Cass., SU, n. 22726/2001).
Anche il motivo all’esame non può dunque trovare accoglimento.
3. In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P. Q. M.

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e con i criteri di fondo dell’intervento legislativo di cui al suddetto

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle
spese, che liquida in euro 3.100,00 (tremilacento), di cui euro
3.000,00 (tremila) per compenso, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma il 22 ottobre 2013.

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