Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2666 del 30/01/2019

Cassazione civile sez. I, 30/01/2019, (ud. 28/11/2018, dep. 30/01/2019), n.2666

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1226/2015 proposto da:

C.D., elettivamente domiciliato in Roma, Via Baldo degli

Ubaldi n. 71, presso lo studio dell’avvocato Morichi Massimiliano,

rappresentato e difeso dall’avvocato Frunzi Antonio, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banco di Napoli S.p.a., già Sanpaolo Banco di Napoli S.p.a., quale

derivante del Sanpaolo Imi S.p.a., ora Intesa Sanpaolo S.p.a., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Vittoria Colonna n. 18, presso lo studio

dell’avvocato Poggi Ludovica, rappresentato e difeso dall’avvocato

Caccavale Giuseppe, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3877/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 01/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/11/2018 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 3877/2014, pronunciata in un giudizio promosso da C.D. nei confronti della Banco di Napoli spa, per sentire condannare la convenuta al risarcimento del danno conseguente al pagamento, da parte della banca trattaria, di un assegno, per Euro 2.618,00, tratto su conto corrente intestato al C., senza la necessaria verifica, con la dovuta diligenza, della corrispondenza della firma di traenza allo specimen depositato, ha confermato la decisione di primo grado, che aveva respinto la domanda attrice.

La Corte d’appello, pur rilevando che, difformemente da quanto ritenuto dal Tribunale, il C. aveva effettivamente provveduto a depositare in atti copia del titolo in oggetto, ha ritenuto non dimostrata la responsabilità della banca trattaria, con conseguente infondatezza della pretesa risarcitoria, stante la non credibilità (“singolarità”) del racconto del C., il quale, malgrado notizia dell’addebito del titolo, non era stato in grado di spiegare le ragioni per cui non aveva potuto accertare immediatamente se quell’assegno fosse stato o meno da lui firmato o fosse andato smarrito, avendo egli ritenuto necessario attendere il rilascio di copia dalla banca.

Avverso la suddetta sentenza, C.D. propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti di Banco di Napoli spa (che resiste con controricorso). Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 216 c.p.c. e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte d’appello affermato che il C. non aveva dimostrato che effettivamente la firma recata sull’assegno fosse palesemente difforme dallo specimen depositato presso la banca, malgrado il C. avesse specificamente disconosciuto la firma di traenza in questione, con conseguente onere per la banca di chiedere la verificazione del documento disconosciuto; 2) con il secondo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 1218 c.c. e art. 1776 c.c., non avendo la Corte distrettuale rilevato che la banca non solo non aveva contestato la falsità delle firme di traenza ma non aveva fornito prova di avere esattamente adempiuto all’obbligazione nascente dalla convenzione di assegno, con la diligenza del buon banchiere; 3) con il terzo ed il quarto motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., non avendo la Corte d’appello correttamente vagliato gli elementi probatori dai quali emergeva sia la non corrispondenza delle firme di traenza apposte sull’assegno rispetto a quella presente sul contratto di conto corrente, prodotto dalla banca, sia che il C. non aveva atteso “un mese” dalla notizia dell’addebito dell’assegno per sporgere denuncia, essendo egli stato invitato dalla banca a prendere visione dell’assegno in oggetto il “19/08/2004” ed avendo quindi lo stesso presentato denuncia ai Carabinieri, appena avvedutosi della falsità della firma di traenza, il giorno successivo; 4) con il quinto motivo, infine, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.M. n. 55 del 2014, art. 2 e art. 4, nn. 1 e 5, in relazione al mancato rispetto dei parametri fissati per la liquidazione delle spese, quanto alla statuizione di sua condanna al rimborso delle spese, per Euro 4.000,00, in favore della banca.

2. Le prime due censure sono fondate, nei sensi di cui in motivazione, con assorbimento delle restanti.

La Corte d’appello, dopo avere affermato che la effettiva produzione in primo grado, da parte dell’attore, di copia del titolo, non era sufficiente, occorrendo, ai fini dell’affermazione della responsabilità della banca, la dimostrazione che “effettivamente la firma recata dall’assegno era palesemente difforme dallo specimen depositato”, ha ritenuto che andasse confermato il rigetto della domanda attorea, stante la non credibilità o “singolarità” del racconto del C..

Non può pertanto neppure dirsi che la Corte di merito abbia applicato il principio di diritto più volte affermato da questo giudice di legittimità secondo il quale “nel caso di pagamento da parte di una banca di un assegno con sottoscrizione apocrifa, l’ente creditizio può essere ritenuto responsabile non a fronte della mera alterazione del titolo, ma solo nei casi in cui tale alterazione sia rilevabile “ictu oculi”, in base alle conoscenze del bancario medio, il quale non è tenuto a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, nè è tenuto a mostrare le qualità di un esperto grafologo” (Cass. 16178/2018; Cass. 20292/2011).

Di recente questa Corte a Sezioni Unite, con la pronuncia n. 12477/2018, componendo un contrasto insorto tra le sezioni semplici sull’interpretazione dell’art. 43, comma 2 L.a., ha ricondotto la responsabilità della banca per illegittima negoziazione di assegni nell’alveo della responsabilità contrattuale, avendo la banca negoziatrice (o la banca trattaria che abbia pagato il titolo in stanza di compensazione) un obbligo professionale di protezione operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione; questa Corte ha quindi affermato che “”ai sensi del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2 (c.d. legge assegni), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176 c.c., comma 2”.

Era dunque necessario, a fronte della domanda risarcitoria azionata dal C., fondata sull’omesso controllo, anche in stanza di compensazione, da parte della banca trattaria, della regolarità del titolo, verificare se vi fosse stato o meno il diligente compimento di tale verifica da parte della banca trattaria.

Invece, nel presente giudizio tale indagine è del tutto mancata, essendosi la Corte territoriale incentrata sull’inverosimiglianza del racconto dell’attore C., sulla base di considerazioni non pertinenti e decisive (avendo il ricorrente dedotto di avere voluto prendere visione della copia dell’assegno prima di sporgere denuncia penale).

3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento dei primi due motivi del ricorso, assorbiti i restanti, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso, nei sensi di cui in motivazione, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2019

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