Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26657 del 28/11/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 26657 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: BLASUTTO DANIELA

SENTENZA
sul ricorso 1742-2010 proposto da:
– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE C.F. 80078750587, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura
Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli
2013
42901

avvocati RICCIO ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, PREDEN
SERGIO, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

SOCCODATO RITA;

Data pubblicazione: 28/11/2013

- intimata –

e sul ricorso 7373-2010 proposto da:
– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE C.F. 80078750587, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli
avvocati RICCIO ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, PREDEN
SERGIO, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

PAVONI NICOLA, PAVONI LAURA, nella qualità di eredi di
SOCCODATO RITA, elettivamente domiciliati in ROMA,
PIAZZA DEL FANTE 10, presso lo studio dell’avvocato DE
JORIO FILIPPO, che li rappresenta e difende, giusta
procura speciale notarile in atti;
– resistenti con procura

avvursu

$entenzd n. 365012008 dllà CUTE DIAPPELLO

di ROMA, depositata il 20/04/2009,2456/2005F.4;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/10/2013 dal Consigliere Dott. DANIELA
BLASUTTO;
udito l’Avvocato PREDEN SERGIO;
udito l’Avvocato DE JORIO FILIPPO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per

in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura

l’accoglimento del ricorso.

,

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
‘W

Saccodato Rita, titolare di una pensione ai superstiti a carico dello Stato
erogata dall’Inpdap con decorrenza dall’agosto 1981 e di una pensione di
vecchiaia a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti con decorrenza
dall’aprile 1991, propose ricorso nei confronti dell’Inps lamentando di percepire
l’indennità integrativa speciale solo sulla pensione statale e non anche su quella a
carico dell’assicurazione generale obbligatoria gestita dall’Istituto.
La domanda, respinta in primo grado, veniva accolta dalla Corte di appello di
Roma che, con sentenza depositata il 20 aprile 2009, dichiarava di aderire
all’orientamento interpretativo espresso nella sentenza n. 3778 del 2007 della
Corte di cassazione, secondo cui la disposizione del primo comma dell’art. 19
legge n. 843 del 1978, in forza della quale ai titolari di più pensioni l’indennità
integrativa speciale è dovuta una sola volta, opera solo nei confronti di titolari di
più pensioni tutte a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità,
la vecchiaia e i superstiti, o a carico di gestioni obbligatorie di previdenza
sostitutive, esclusive o esonerative dei lavoratori dipendenti, mentre, nell’ipotesi
di titolarità di due pensioni, di cui una a carico dell’Inps e una a carico dello
Stato, l’Inps non può negare l’indennità integrativa speciale sulla pensione a suo
carico, a motivo che il titolare sia beneficiario di altra pensione a carico dello
Stato, ostandovi il disposto del secondo comma del menzionato art. 19.
La sentenza veniva notificata all’Inps in data 12 novembre 2009 dal difensore
della ricorrente, deceduta il 1° giugno 2005, nel corso del giudizio di appello.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’INPS con due distinte
impugnazioni, la prima della quali proposta nei confronti di Saccodato Rita e

R.G. n. 1742/2010 + n.7373/2010
Udienza 16 ottobre 2013

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Mi.

notificata in data 11 gennaio 2010 e la seconda proposta nei confronti degli
eredi, Pavoni Laura e Pavoni Nicola, notificata 1’8 marzo 2010. I due ricorsi, di
identico tenore, sono articolati in due motivi.

successivamente memoria illustrativa. L’INPS ha depositato memoria ex art.
378 cod. proc. civ..
La causa è stata discussa oralmente dai difensori delle parti; quindi, a seguito
delle conclusioni del P.G., il difensore degli intimati ha depositato brevi
osservazioni scritte a norma dell’art. 379, ult. comma, cod. proc. civ..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo l’INPS, denunciando violazione e falsa applicazione
dell’art. 2 1. 27 maggio 1959 n. 324 e dell’art. 11. 31 luglio 1975 n. 364, in
relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., censura la sentenza per non avere
debitamente considerato che nel sistema dell’assicurazione generale obbligatoria
non opera l’istituto dell’indennità integrativa speciale, meccanismo di
adeguamento al costo della vita previsto dall’art. 2 della legge n. 324/59 per i soli
trattamenti erogati al personale statale in attività di servizio o in quiescenza e che
non riguarda i lavoratori del settore privato.
Con il secondo motivo l’Istituto ricorrente censura la sentenza per violazione
dell’art. 19 legge 21 dicembre 1978, n. 843, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc.
civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che il divieto di
cumulo tra due o più trattamenti collegati con le variazioni del costo della vita,
sancito dalla norma anzidetta, non operi nell’eventualità di concorso fra un
pensione a carico dell’INPS e di una pensione a carico dello Stato, ma nella sola

R.G. n. 1742/2010+ n.7373/2010
Udienza 16 ottobre 2013

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Il difensore degli intimati eredi ha depositato procura notarile e

ipotesi di concorso di pensioni a carico della medesima gestione. Sostiene
l’Istituto ricorrente che il secondo comma dell’art. 19 legge n. 843/1978
espressamente qualifica come “non dovuta” la quota aggiuntiva di cui all’art. 10

del costo della vita – sulla pensione dell’a.g.o che concorre con una pensione
statale; che pertanto all’assicurata poteva spettare, dal momento in cui le due
pensioni avevano cominciato a coesistere, la sola indennità integrativa speciale
sulla pensione statale; che a tali conclusioni erano pervenute anche le Sezioni
unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 25616 del 23 ottobre 2008.
Il difensore degli intimati ha sostenuto l’inammissibilità di entrambe le
impugnazioni, sostenendo che il primo ricorso per cassazione era stato proposto
dall’Inps nei confronti della parte deceduta ed era dunque affetto da nullità
assoluta ed insanabile, mentre il secondo era stato notificato tardivamente agli
eredi 1’8 marzo 2010, quando era orami scaduto il termine di cui all’art. 325 cod.
proc. civ. decorrente dalla notifica della sentenza, avvenuta il 12 novembre 2009.
Ha argomentato che, come statuito dalle Sezioni unite nella sentenza n. 26279
del 2009, l’atto di impugnazione, in caso di morte della parte vittoriosa, deve
essere rivolto e notificato agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il
decesso è avvenuto, sia della eventuale ignoranza dell’evento, anche se
incolpevole, da parte del soccombente; che, alla stregua della medesima
pronuncia, ove l’impugnazione sia proposta nei confronti del defunto, non vi è
luogo all’applicazione dell’art. 291 cod. proc. civ.; che inoltre non poteva essere
opposta una incolpevole ignoranza dell’evento da parte dell’Inps, il quale non
erogava più la pensione a seguito del decesso dell’assicurata.

R.G. n. 1742/2010 + n.7373/2010
Udienza 16 ottobre 2013

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1. 3 giugno 1975 n, 160 – o altro analogo trattamento collegato con le variazioni

Il primo ricorso è affetto da nullità sanabile; il secondo è valido ed ammissibile.
La questione che si pone con riferimento al primo ricorso è se, deceduta una

suo difensore in udienza, né sia stato notificato alla altre parti – come è avvenuto
nel caso in esame – sia inammissibile l’impugnazione notificata, ai sensi dell’art.
330 cod. proc. civ., presso il procuratore medesimo, alla parte deceduta, per
radicale inesistenza della vocatio in ius o questa sia solo affetta da nullità sanabile
con la costituzione degli eredi o ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ..
Secondo l’assunto del difensore degli intimati, il primo ricorso dovrebbe essere
dichiarato inammissibile sulla base della giurisprudenza delle Sezioni unite della
Corte, espressa nella sentenza n. 26279 del 16 dicembre 2009, che, per il caso di
morte della parte vittoriosa, afferma che l’impugnazione della sentenza deve
essere rivolta e notificata agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui è
avvenuto il decesso della parte, sia dell’eventuale ignoranza dell’evento, anche se
incolpevole, da parte del soccombente; ove l’impugnazione sia proposta invece
nei confronti del defunto, non vi è luogo all’applicazione dell’art. 291 cod. proc.
civ..
Tale orientamento si fonda sulla essenziale considerazione che

il

contraddittorio delle parti, costituzionalmente imposto dall’art. 111 Cost.,
implica l’individuazione della giusta parte, la quale non può essere la persona
non più in vita. Il difetto assoluto della qualità di “giusta parte” nel defunto
comporta altresì che all’invalidità derivante dall’instaurazione nei suoi confronti
del giudizio di impugnazione non può essere posto rimedio mediante lo
strumento della rinnovazione, apprestato dall’art. 291 cod. proc. civ.. Non si

R.G. n. 1742/2010 + n.7373/2010
Udienza 16 ottobre 2013

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parte nel corso del giudizio di appello, il cui evento non sia stato dichiarato dal

verte infatti nell’ipotesi, cui la norma si riferisce, di “un vizio che importi nullità
nella notificazione della citazione”, ma di un errore incidente sulla vocatio in ius, in
quanto rivolta verso un soggetto diverso da quello che avrebbe dovuto esserne il

Nella fattispecie esaminata nella riferita pronuncia – a differenza di quella ora
all’esame del Collegio – non era applicabile ratione temporis, come espressamente
rilevato dalle S.U. nella parte conclusiva della motivazione, ne’ il nuovo testo
dell’art. 164 c.p.c., come modificato dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 9
(che consente di sanare con effetto retroattivo le nullità della citazione mediante
la sua rinnovazione), ne’ l’art. 153 c.p.c., comma 2 inserito dalla L. 18 giugno
2009, n. 69, art. 46 (che ammette la rimessione in termini della parte incorsa in
decadenze per causa ad essa non imputabile). Esulava quindi dai limiti di quel
giudizio “verificare se le due norme, come per la prima è stato ipotizzato con le
sentenze n. 113 94/96 e 15783/05, si attaglino, nei processi in cui sono
applicabili, al caso di impugnazione proposta nei confronti di una parte defunta”
(sent. cit.).
Merita peraltro di essere menzionata, nel contesto dello stesso regime
processuale, la successiva sentenza n. 5841/2010 di questa Corte, la quale ha
affermato che occorre pur sempre considerare le esigenze di tutela della parte
incolpevolmente ignara della morte del suo contraddittore. Secondo tale
pronuncia, in caso di morte della parte vittoriosa, avvenuta dopo la
pubblicazione della sentenza di primo grado ma prima della notificazione della
stessa, effettuata dal procuratore del defunto, sottacendo la circostanza della
morte, deve ritenersi valida l’impugnazione proposta nei confronti della parte

R.G. n. 1742/2010 + n.7373/2010
Udienza 16 ottobre 2013

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destinatario (sent. cit.).

deceduta presso il predetto procuratore, qualora sia accertata l’incolpevole
ignoranza dell’evento da parte dell’appellante. A tali conclusioni la Corte è
pervenuta osservando che era stata precedentemente sollevata questione di

comma 3, n. 2), art. 164 cod. proc. civ., comma 2, e art. 359 cod. proc. civ.., per
violazione dell’art. 24 Cost., in considerazione della circostanza che l’eventuale
rinnovazione della citazione d’appello, affetta da vizio attinente alla
individuazione dei soggetti dell’impugnazione, non avrebbe potuto far salvi gli
effetti sostanziali e processuali della citazione medesima, in quanto la
costituzione in giudizio degli eredi sarebbe stata idonea a sanare la nullità della
citazione soltanto con effetto ex nunc, per cui nel caso in cui gli eredi si fossero
costituiti in giudizio quando era già decorso il termine annuale per
l’impugnazione, la predetta sanatoria non avrebbe potuto impedire il passaggio
in giudicato della sentenza impugnata (le citate norme sarebbero state pertanto
in contrasto con l’art. 24 Cost., poiché non consentivano rimedio all’errore
incolpevole dell’appellante, che aveva ritenuto ancora in vita l’appellato al
momento della notifica dell’impugnazione, ed in quanto non prevedevano che la
costituzione in giudizio degli eredi determinasse la sanatoria ex tunc della
citazione in appello). La questione – come osserva la sentenza n. 5841 del 2010 è stata dichiarata inammissibile dalla Corte Costituzionale, con ordinanza n. 27
del 2000, sulla base della considerazione che, essendo le norme sottoposte al
vaglio di legittimità suscettibili di interpretazioni diverse, era compito precipuo
del giudice rimettente adottare un’interpretazione della norma che fosse
conforme a Costituzione e che, in quanto tale, impedisse il verificarsi
dell’effetto lesivo dei diritti della parte incorsa in errore incolpevole;

R.G. n. 1742/2010 + n.7373/2010
Udienza 16 ottobre 2013

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legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 163 cod. proc. civ.,

interpretazione già rinvenibile nell’ampia giurisprudenza formatasi in materia
ove in numerosi precedenti si era già ritenuta pienamente valida l’impugnazione
proposta nei confronti della parte non più esistente, allorché la controparte

291 cod. proc. civ..
Recentemente le Sezioni Unite della Corte, con sentenza 13 marzo 2013, n.
6070, nel definire alcune questioni relative agli effetti della cancellazione della
società dal registro delle imprese, dopo la riforma del diritto societario attuata
dal d.lgs. n. 6 del 2003, hanno affermato il principio – apparentemente di portata
generale – secondo cui la cancellazione della società dal registro delle imprese, a
partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la
società stessa della capacità di stare in giudizio (con la sola eccezione della “fictio
iuris” contemplata dall’art. 10 legge fall.); pertanto, qualora l’estinzione
intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina
un evento interruttivo, disciplinato dagli arti. 299 e ss. cod. proc. civ., con
eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci,
successori della società, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ.; qualora l’evento non
sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare
in tali modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza,
pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena
d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione
processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel
quale l’evento estintivo è occorso.

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Udienza 16 ottobre 2013

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avesse senza colpa ignorato l’evento, ovvero nei quali si era fatto ricorso all’art.

A seguito di tale pronuncia, la Corte (Seconda Sezione), con ordinanza
interlocutoria del 30 aprile 2013, n. 10216, ha ravvisato la necessità di un
ulteriore intervento chiarificatore delle Sezioni Unite che precisi se i principi

comportanti la drastica sanzione dell’inammissibilità dell’impugnazione, siano
del tutto estensibili anche alle vicende successorie delle persone fisiche,
osservando che tale ipotesi “suscita notevoli perplessità, segnatamente nei casi in
cui – come nella specie — ad una impugnazione mal diretta,cui ha contribuito
anche la mancata dichiarazione dell’evento interruttivo nel giudizio a quo,abbia
fatto seguito l’instaurazione del contraddittorio con gli eredi della parte defunta,
a seguito della costituzione dei medesimi, in considerazione della quale
l’impugnante, pur essendo ancora nei termini per rinnovare utilmente il gravame,
non vi abbia provveduto, confidando nella giurisprudenza di legittimità,
all’epoca di gran lunga prevalente, che ravvisava l’intervenuta sanatoria in detta
tempestiva costituzione” (ord. cit.).
Nell’ordinanza di rimessione,

è stato osservato che, nel ritenere

l’inammissibilità del ricorso per cassazione, la sentenza n. 6070/2013 sembra
implicitamente presupporre che il vizio consista nella radicale inesistenza della
vocatio in ius, tale dunque da non consentire l’applicazione della sanatoria prevista
dall’art. 164 cod. proc. civ.. Si è osservato che non era dato rinvenire “nella detta
sentenza, alcun cenno ad una relativizzazione della enunciazione della regula iuris
al caso colà in esame e, anzi, la portata generale — dunque applicabile anche ai
casi di successione di persone fisiche nel processo- della surriferita statuizione
appare emergere dai richiami a precedenti sentenze della Corte….”.

R.G. n. 1742/2010 + n.7373/2010
Udienza 16 ottobre 2013

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affermati con la sentenza n. 6070/2013 espressamente in materia societaria,

Le Sezioni Unite dovranno quindi nuovamente esprimersi onde chiarire se i
principi affermati con la sentenza n. 6070/2013 espressamente in materia
societaria, comportanti la drastica sanzione dell’inammissibilità

persone fisiche.
Tutto ciò premesso, ritiene questo Collegio che, non essendovi – allo stato alcuna pronuncia che accrediti la fondatezza dell’interpretazione “estensiva” che
ha ingenerato i dubbi sollevati con l’ordinanza di rimessione, la sentenza n.
6070/2013 debba avere una portata circoscritta alla fattispecie esaminata,
relativa alla vicenda estintiva delle società, la quale peraltro è connotata dalla
peculiarità che “…l’evento estintivo del quale qui si sta parlando, ossia la
cancellazione della società dal registro delle imprese, è oggetto di pubblicità
legale”; “salvo impedimenti particolari (sempre in teoria possibili, ma da
dimostrare di volta in volta ai fini di un’eventuale rimessione in termini), non
appare quindi ammissibile che l’impugnazione provenga dalla – o sia indirizzata
alla – società cancellata, e perciò non più esistente, giacché la pubblicità legale
cui l’evento estintivo è soggetto impone di ritenere che i terzi, e quindi anche le
controparti processuali, ne siano a conoscenza; e la necessaria visione unitaria
dell’ordinamento non consente di limitare al solo campo del diritto sostanziale la
portata delle suaccennate regole inerenti al regime di pubblicità, escludendone
l’applicazione in ambito processuale, salvo che vi siano diverse e più specifiche
disposizioni processuali di segno contrario (come accade per il verificarsi
dell’evento interruttivo nell’ambito del singolo grado di giudizio)” (sent. n.
6070/2013). Le Sezioni Unite hanno quindi ritenuto ultroneo, avendo
esaminato il (solo) caso di successione nel processo a seguito di estinzione di
R.G. n. 1742/2010 + n.7373/2010
Udienza 16 ottobre 2013

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. dell’impugnazione, siano del tutto estensibili anche alle vicende successorie delle

società, “…soffermarsi a discutere del se ed in quale eventuale misura tale regola
{ quella che esige, per la parte che propone l’impugnazione, i medesimi
accertamenti che sono normalmente richiesti per l’atto introduttivo del giudizio,

non sia in condizione, neppure adoperando l’ordinaria diligenza, di conoscere
l’evento estintivo che ha interessato la controparte, né quindi d’individuare i
successori nei cui confronti indirizzare correttamente l’atto d’impugnazione”
(sent. S.U. cit.).
Ciò posto, ritiene questo Collegio di dare continuità all’indirizzo secondo cui
il vizio della vocatio in ius del ricorso (indirizzato ad un soggetto oramai defunto),
non attiene ad un’ipotesi di radicale inesistenza della vocatio in ius, ma riguarda
un’ipotesi di nullità sanabile per la quale trova applicazione la disciplina di cui
all’art. 164, primo e secondo comma, cod. proc. civ. (nel testo applicabile ratione
temporis, sostituito dalla legge n. 353 del 1990) – che prevede, in caso di mancata
costituzione del convenuto, dell’obbligo del giudice di ordinare d’ufficio la
rinnovazione dell’atto nullo, con efficacia ex tunc (cfr., per un’applicazione del
principio, tra le più recenti, Cass 10 gennaio 2013 n. 384).
Giova ricordare che, secondo la prevalente giurisprudenza, la costituzione
degli eredi della parte defunta ha un effetto sanante: I) dalla notifica del
controricorso – e quindi ex nunc – se effettuata nel vigore dell’art. 164 cod. proc.
civ. anteriore alle modifiche operate con legge 353/1990 (sempre che fosse stato
rispettato il termine lungo dalla pubblicazione della sentenza); II) dalla notifica
del ricorso – e quindi ex tunc – se relativa alle cause c.d. di nuovo rito (tra le più
recenti, Cass. n. 776 del 2011, n. 23522 del 2010, n. 13395 e 7981 del 2007).

R. G. n. 1742/2010 + n.7373/2010
Udienza 16 ottobre 2013

n.d.r.] sia suscettibile di attenuazione o di correttivi quando la parte impugnante

Nel caso di specie, il primo ricorso deve ritenersi affetto da nullità sanabile,
vizio emendato dall’Inps che ha provveduto a rinnovare, entro il termine
annuale di cui all’art. 327 cod. proc. civ., l’atto di impugnazione notificandolo

Pertanto, la prima impugnazione deve essere dichiarata nulla – e non
inammissibile – e la seconda pienamente valida.
Né potrebbe essere dichiarato inammissibile il secondo ricorso perché
proposto oltre la scadenza del termine di cui all’art. 325 cod. proc. civ.,
decorrente dalla notificazione della sentenza. Nessun rilievo, può infatti
attribuirsi, ai fini della decorrenza del termine breve, alla notifica eseguita dal
difensore della parte deceduta nel corso del giudizio di appello (il cui evento non
fu in quella sede dichiarato, né notificato alla controparte) ed eseguita in qualità
di suo difensore (come risulta agli atti del presente giudizio) e non in quanto
investito di mandato dagli eredi.
Le Sezioni Unite della Corte, nella sentenza n. 14699 del 2010, hanno
confermato l’indirizzo secondo cui la perdita della capacità di stare in giudizio,
anche quando non sia dichiarata in giudizio dal procuratore costituito, ovvero si
verifichi dopo che la causa sia stata trattenuta in decisione, fa venir meno la
legittimazione della parte originaria per il successivo grado di giudizio; ne
consegue che legittimata attivamente e passivamente alla notifica della sentenza
e alla proposizione del gravame è soltanto la persona in capo alla quale, per
effetto di uno degli eventi di cui all’art. 299 cod. proc. civ., si è trasferita la
capacità di stare in giudizio, aggiungendo che “in particolare venuto meno il
rapporto di mandato tra la parte deceduta ed il legale – non essendo ipotizzabile

R.G. n. 1742/2010 + n.7373/2010
Udienza 16 ottobre 2013

agli eredi, correttamente individuati.

alcuna ultrattività di detto mandato al di fuori del grado in cui è stato conferito la notificazione si può ritenere effettuata da procuratore munito di potere di
rappresentanza tecnica solo se è stata fatta dal detto legale su mandato degli

Del tutto irrilevante ai fini che interessano nella presente sede è la circostanza
dell’eventuale cessazione dell’erogazione della pensione, fatto che non integra
prova di conoscenza legale dell’evento.
Peraltro, per completezza, deve osservarsi che neppure nell’ipotesi in cui fosse
ritenuta l’inammissibilità del primo ricorso, potrebbe affermarsi la tardività del
secondo.
La consumazione dell’impugnazione – mentre non consente a chi abbia già
proposto una rituale impugnazione di proporne una successiva (di diverso o
identico contenuto) – non esclude, fatti salvi determinati limiti, che, dopo la
proposizione di un’impugnazione viziata, possa esserne proposta una seconda
immune dai vizi della precedente e destinata a sostituirla (Cass. n. 20912 del
2005). In particolare, per espressa previsione normativa (ai sensi degli artt. 358 e
387 cod. proc. civ., rispettivamente per l’appello e per il ricorso per cassazione),
la consumazione del diritto di impugnazione presuppone l’esistenza – al tempo
della proposizione della seconda impugnazione – di una declaratoria di
inammissibilità o improcedibilità della precedente; per cui, in mancanza di tale
(preesistente) declaratoria, è legittimamente consentita la proposizione di
un’altra impugnazione (di contenuto identico o diverso) in sostituzione della
precedente viziata, a condizione che il relativo termine non sia decorso. Con
riferimento alla tempestività della seconda impugnazione, occorre avere riguardo

RG. n. 1742/2010 + n.7373/2010
Udienza 16 ottobre 2013

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eredi della parte deceduta succeduti nel giudizio” (sent. cit.).

non al termine annuale, ma a quello breve, il quale decorre – in difetto di
anteriore notificazione della sentenza appellata – dalla data di proposizione della
prima impugnazione. Infatti, la proposizione di impugnazione equivale alla

proposta e, pertanto, fa decorrere il termine breve per le ulteriori impugnazioni
nei confronti del medesimo e/o delle altre parti (cfr. Cass. 22957 del 2010 e
numerose altre anteriori) Nel caso in cui una sentenza sia stata impugnata con
due successivi ricorsi per cassazione, il primo dei quali inammissibile o
improcedibile, è ammissibile la proposizione del secondo, anche qualora
contenga nuovi e diversi motivi di censura, purché la notificazione dello stesso
abbia avuto luogo nel rispetto del termine breve decorrente dalla notificazione
del primo, e l’inammissibilità o l’improcedibilità di quest’ultimo non sia stata
ancora dichiarata, dal momento che la mera notificazione del primo ricorso non
comporta la consumazione del potere d’impugnazione (cfr. Cass. 12898 del 26
maggio 2010; conf. 11308 del 23 maggio 2011).
Nel caso di specie, la notificazione del secondo ricorso agli eredi è avvenuta 1’8
marzo 2010, nel rispetto del termine di sessanta giorni decorrente dalla
notificazione del primo ricorso, effettuata in data 11 gennaio 2010. La
notificazione del ricorso è altresì avvenuta entro il termine annuale di cui all’art.
327 c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 46, comma 17,
legge 18 giugno 2009, n. 69), decorrente dal deposito della sentenza di appello
(20 aprile 2009).
Nel merito, il ricorso è fondato.

R. G. n. 1742/2010 + n.7373/2010
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conoscenza legale della decisione impugnata da parte del soggetto che l’abbia

La legge 21 dicembre 1978, n. 843, con l’art, 19, nel testo sostituito – con
effetto dal 10 gennaio 1979 – D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 14, convertito

“A decorrere dal 1 gennaio 1979 ai titolari di più pensioni a carico dell’assicurazione generale
obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti o delle gestioni
dei lavoratori autonomi o a carico delle gestioni obbligatorie di previdenza sostitutive o,
comunque, integrative dell’assicurazione generale obbligatoria sopra richiamata o che ne
comportino l’esclusione o l’esonero, la quota aggiunta di cui alla L 3 giugno 1975, n. 160,
art. 10, comma 3, l’incremento dell’indennità integrativa speciale di cui alla L 31 luglio
1975, n. 364, art. 1, o altro analogo trattamento collegato con le variazioni del costo della
vita, sono dovuti una sola volta.
Ai fini previsti dal precedente comma, qualora su una delle pensioni trovi applicazione la L
31 luglio 1975, n. 364, continua a corrispondersi l’indennità integrativa speciale di cui alla
legge stessa, restando in ogni caso non dovuta la quota aggiuntiva di cui alla L 3 giugno
1975, n. 160, art. 10, o altro analogo trattamento collegato con le variazioni del costo della
vita.
Nel caso di concorso di pensioni erogate dall’assicurazione generale obbligatoria e da gestioni
che erogano pensioni diverse da quelle indicate nel comma precedente, i trattamenti di cui al
comma 1, sono a carico dell’assicurazione generale obbligatoria stessa.
In tutti gli altri casi i trattamenti di cui al comma 1, sono a carico della gestione che ha
liquidato la pensione avente decorrenza più remota o, in caso di pari decorrenza, della gestione
che eroga la pensione di importo più elevato. Qualora una delle pensioni sia a carico delle
gestioni speciali dei lavoratori autonomi, i trattamenti predetti sono a carico della gestione che
eroga il trattamento in cifra fissa.
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Udienza 16 ottobre 2013

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con modificazioni nella L. 29 febbraio 1980, n. 33, ha previsto che:

Nei casi di concorso di più pensioni a carico della stessa gestione i trattamenti di cui al comma
1, spettano sulla pensione diretta. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano

Nel risolvere la questione interpretativa riguardante la cumulabilità o meno, a
norma della L. n. 843 del 1978, art. 19, delle quote fisse previste dalla L. n. 160
del 1975, art. 10, con riferimento alle pensioni dell’assicurazione generale
obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti (AGO) e dell’indennità
integrativa speciale erogata unitamente alle pensioni dello Stato, le Sezioni Unite
della Corte, con la sentenza 23 ottobre 2008 n. 25616, nel comporre un
contrasto interpretativo insorto in materia, hanno enunciato il seguente
principio di diritto: “L’art. 19, primo comma, della legge n. 843 del 1978, in
relazione alla disciplina di adeguamento al costo della vita delle pensioni
dell’assicurazione generale obbligatoria fondata sulla corresponsione di quote
aggiuntive (cosiddette quote fisse) di importo uguale per tutte le pensioni, di cui
all’art. 10 della legge n. 160 del 1975, ha escluso, a decorrere dal primo gennaio
1979, che lo stesso soggetto, se titolare di più pensioni, comprese quelle delle
gestioni obbligatorie di previdenza sostitutive, integrative, esclusive o
esonerative dell’assicurazione generale, possa fruire su più di una pensione di tali
quote aggiuntive, o dell’incremento dell’indennità integrativa speciale, o di ogni
altro analogo trattamento collegato con il costo della vita. Ne consegue
l’applicazione di tale regola anche nel caso di titolarità di una pensione
dell’assicurazione generale obbligatoria e di una pensione dello Stato e, in tal
caso, al pensionato, come precisa il secondo comma del citato art. 19, continua a
corrispondersi l’indennità integrativa speciale inerente alla pensione statale e non

R.G. n. 1742/2010 + n.7373/2010
Udienza 16 ottobre 2013

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alle pensioni integrate al trattamento minimo e alle pensioni ai superstiti con più titolari”.

spettano, invece, le quote aggiuntive sulla pensione dell’assicurazione generale
obbligatoria corrisposta dall’Inps”.

dell’art. 19, compresa la specifica formulazione del comma 2, sia la complessiva
finalità del disposto normativo, avvalorano l’interpretazione secondo cui anche
nell’ipotesi specifica di concorso di pensione dell’AGO e di pensione dello Stato
la legge esclude che il medesimo soggetto possa fruire su più di una pensione
della quota diretta a compensare l’incremento del costo della vita”.
La Corte di appello di Roma ha, invece, fatto applicazione, nella sentenza
impugnata, dell’orientamento interpretativo disatteso dalle S.U., aderendo alla
soluzione offerta dalle sentenze n. 4465 del 2000 e n. 3778 del 2007, le quali
avevano negato l’applicabilità del divieto sulla base dell’assunto che la
disposizione del primo comma dell’art. 19 della legge n. 843 del 1978 operasse
solo nei confronti dei titolari di più pensioni tutte a carico delle gestioni ivi
indicate, sicché, nel caso di titolari di due pensioni, a carico delle gestioni Inps e
dello Stato, entrambe accresciute dei trattamenti perequativi, l’Inps non poteva
negare l’indennità integrativa speciale sulla pensione a suo carico, non trovando
applicazione la citata disposizione; per tale orientamento, il disposto dell’art. 99,
secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973 – secondo cui al titolare di più
pensioni o assegni l’indennità integrativa speciale compete a un solo titolo legittimava solo gli organi statali erogatori di forme di previdenza a carico dello
Stato (nel caso di titolari di due o più pensioni tutte a carico dello Stato, ovvero
parte a carico dello Stato e parte a carico di altre gestioni previdenziali) a negare
l’indennità integrativa speciale sulla pensione statale.

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Udienza 16 ottobre 2013

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Con tale sentenza le Sezioni Unite hanno osservato che “sia il tenore letterale

Le Sezioni Unite hanno ricordato che, nell’ambito della assicurazione generale
obbligatoria per i lavoratori dipendenti gestita dall’Inps, il sistema di
adeguamento automatico delle pensioni in relazione all’aumento del costo della

L. 3 giugno 1975, n. 160, artt. 9 e 10; che, in particolare, l’incremento delle
pensioni superiori al minimo era assicurata dal meccanismo previsto dall’art. 10,
commi 3 e 4, consistente nell’aggiunta alla pensione di una “quota aggiuntiva”
costituita da “punti” di importo predeterminato dalla stessa legge e uguale per
tutte le pensioni a prescindere dall’ammontare delle stesse, in numero pari al
numero dei punti di contingenza accertati per lavoratori dell’industria nel
periodo di riferimento; che “in tale maniera venne in sostanza introdotto un
sistema di incremento paritario delle pensioni in relazione all’aumento del costo
della vita, in analogia a quanto si verificava per le retribuzioni a seguito
dell’introduzione del punto unico di contingenza”; che tale disciplina fu estesa
dal D.L. 23 dicembre 1977, n. 943, art. 1, convertito nella L. 27 febbraio 1978, n.
41, a tutte le pensioni erogate da gestioni previdenziali obbligatorie o integrative
dell’assicurazione generale obbligatoria o che ne comportino l’esclusione o
l’esonero, facendo eccezione le pensioni dello Stato ed altre pensioni del settore
pubblico, per le quali peraltro la L. 26 aprile 1976, n. 177, artt. 1 e 4, aveva
introdotto, in aggiunta all’aggiornamento al costo della vita mediante l’indennità
integrativa speciale ai sensi della L. 31 luglio 1975, n. 365, art. 1, un
collegamento alla dinamica delle retribuzioni (v. in tal senso, sent. S.U. cit.).
In tale contesto si era inserita la L. 21 dicembre 1978, n. 843, che, oltre a
introdurre, con l’art. 16 u.c., misure transitorie sulla perequazione delle pensioni
agli incrementi dei minimi retributivi, e ad estendere alle pensioni dello Stato i
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Udienza 16 ottobre 2013

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vita, introdotto dalla legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 19, venne riformato dalla

limiti alla quota di detta perequazione già previsti dal D.L. n. 942 del 1977, art. 1,
penultimo comma, aveva previsto, con l’art. 19, che non si potessero fruire su
più di una pensione le componenti funzionali all’aggiornamento della pensione

Secondo la richiamata sentenza n. 25616 del 2008, “il secondo comma dell’art.
19, è chiaro nel prescrivere che, in tale ipotesi, deve essere corrisposta
l’indennità integrativa speciale sulla pensione statale e rimane esclusa invece
l’erogazione delle quote aggiuntive sulla pensione Inps; in particolare, il comma
1, pone esplicitamente la regola che in caso di titolarità di più pensioni i
trattamenti collegati al costo della vita sono dovuti una sola volta, facendo
riferimento omnicomprensivamente sia alle pensioni dell’AGO sia alle pensioni
a carico delle gestioni obbligatorie di previdenza che siano integrative o
alternative rispetto all’AGO, a tale scopo utilizzando i termini tecnici al riguardo
di corrente utilizzazione, compreso quello impiegato usualmente per indicare, in
contrapposizione all’AGO, le pensioni dello Stato o pensioni analogamente
regolate (per le quali si parla di gestioni che comportano l’esclusione, o che sono

esclusive”, dell’AGO: cfr., per esempio, la L. 23 dicembre 1994, art. 15, comma

3, n. 724)”; lo stesso comma 1, poi, menziona espressamente sia l’accessorio in
questione delle pensioni Inps, e cioè la “quota aggiunta” di cui alla L. n. 160 del
1975, art. 10, comma 3, sia l’indennità integrativa speciale dovuta sulle pensioni
statali”; “i commi 2, 3, 4 e 5, dettano le regole per individuare su quale pensione,
in caso di godimento di più di una da parte dello stesso soggetto, debba essere
corrisposto l’unico spettante trattamento correlato all’aumento del costo della
vita.”

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Udienza 16 ottobre 2013

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al costo della vita.

Proseguono le Sezioni Unite osservando che “in tale contesto, e comunque in
relazione anche al suo univoco tenore letterale, il comma 2, (che inizia con le
parole “ai fini del precedente comma”) chiaramente specifica che in caso in cui

L. n. 364 del 1975, sia questo il trattamento (l’unico trattamento del tipo in
questione) che deve essere corrisposto (“continua a corrispondersi”), con
esclusione (evidentemente dall’altra pensione goduta) della quota aggiuntiva L. n.
160 del 1975, ex art. 10, o di altro trattamento analogo (“collegato con le
variazioni del costo della vita”.
Tale orientamento ha trovato conferma nella giurisprudenza successiva, che ha
ribalto che l’art. 19, primo comma, della legge n. 843 del 1978, in relazione alla
disciplina di adeguamento al costo della vita delle pensioni dell’assicurazione
generale obbligatoria fondata sulla corresponsione di quote aggiuntive
(cosiddette quote fisse) di importo uguale per tutte le pensioni, di cui all’art. 10
della legge n. 160 del 1975, ha escluso, a decorrere dal primo gennaio 1979, che
lo stesso soggetto, se titolare di più pensioni, comprese quelle delle gestioni
obbligatorie di previdenza sostitutive, integrative, esclusive o esonerative
dell’assicurazione generale, possa fruire su più di una pensione di tali quote
aggiuntive, o dell’incremento dell’indennità integrativa speciale, o di ogni altro
analogo trattamento collegato con il costo della vita (v. Cass. n. 2286 del 2010; v.
pure n. 11010 del 2009).
L’originaria ricorrente rientrava appieno in tale disciplina, decorrendo il
trattamento a carico dell’Inps da epoca successiva al 1° gennaio 1979, con
conseguente applicazione del divieto di cumulo di cui al più volte citato art. 19.
Ella non poteva fruire su tale pensione delle quote aggiuntive (o quote fisse)

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su una delle pensioni sia corrisposta l’indennità integrativa speciale regolata dalla

poiché già beneficiava degli adeguamenti al costo della vita sulla pensione
statale.
Pertanto, va accolto il secondo ricorso e, cassata la sentenza impugnata, può

dell’originaria domanda avente ad oggetto l’indennità integrativa speciale sulla
pensione a carico dell’a.g.o.. Resta fermo il capo della sentenza, che non ha
formato oggetto di ricorso, con cui è stato riconosciuto il diritto di Saccodato
Rita a percepire la tredicesima mensilità anche sulla pensione erogata dall’Inps.
Le spese dell’intero giudizio si compensano in considerazione del contrasto
giurisprudenziale che ancora si registrava all’epoca della sentenza impugnata,
emessa il 7 maggio 2008, anteriormente alla pronuncia della più volte citata
sentenza 23 ottobre 2008 n. 25616 delle Sezioni Unite.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara la nullità del primo ed accoglie il secondo;
decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta con il ricorso introduttivo, in
ordine alla indennità integrativa speciale; compensa le spese dell’intero
processo.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2013

Il Consigliere est.

Il Presidente

Daniela Blasutto

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Udienza 16 ottobre 2013

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procedersi a decisione nel merito ex art. 384, secondo comma, con il rigetto

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