Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26656 del 22/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 22/10/2018, (ud. 23/05/2018, dep. 22/10/2018), n.26656

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10420/2013 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. –

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati ANTONINO SGROI, DE ROSE EMANUELE, CARLA DALOISIO, LELIO

MARITATO, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROSA

RAIMONDI GARIBALDI 12, presso lo studio dell’avvocato MARIO DELFINO,

rappresentato e difeso dall’avvocato MATILDE DELFINO;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA SUD S.P.A. (già EQUITALIA E.T.R. S.P.A.);

– intimata –

avverso la sentenza n. 1271/2012 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 07/12/2012 r.g.n. 279/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza n. 1271/2012 depositata il 7.12.2012, la Corte d’Appello di Salerno accoglieva l’appello proposto da C.G. avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto la sua opposizione contro la cartella esattoriale emessa dall’INPS per il pagamento dei contributi dovuti alla Gestione esercenti attività commerciali, per l’omesso versamento di contributi commercianti relativi all’anno 2008;

a fondamento della pronuncia la Corte sosteneva che nel caso di specie l’Inps si era limitato a dedurre che C.G., in virtù della carica ricoperta in seno alla Coc. Tor. Srl, fosse il solo ad occuparsi dell’attività sociale produttiva di redditi d’impresa, ma non aveva minimamente specificato e tanto meno dimostrato quale attività concreta, al di là della predetta attribuzione formale, sarebbe stata effettivamente accertata come posta in essere in misura tale da poterne apprezzare quantomeno la soggettiva abitualità e rilevanza; al contrario, non era stata nemmeno contestata la circostanza di fatto dedotta dall’opponente secondo la quale l’attività sociale era limitata ad un’unica operazione relativa all’affitto di un immobile che comportava l’obbligo di procedere a meri adempimenti di carattere fiscale che non valevano certo a trasformare l’appellante in commerciante con obbligo di relativa iscrizione alla corrispondente gestione, così come tale obbligo non sussisterebbe se la stessa attività venisse svolta da un singolo proprietario dell’immobile;

avverso tale pronuncia l’INPS ha ricorso per cassazione con un motivo di censura al quale ha resistito C.G. con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo il ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 202, 203 e 208 (art. 360 c.c., n. 3), sostenendo che il ragionamento seguito dalla Corte non teneva conto della peculiarità della posizione del socio amministratore unico di srl che non abbia nel contempo alcun tipo dipendente; e che nel caso in esame la riscossione dei canoni di locazione da parte dell’unico socio amministratore della s.r.l. non poteva che comportare una più complessiva attività di gestione dell’immobile stesso che sostanziava un’attività organizzativa e direttiva di natura intellettuale; ma anche l’espletamento di un’attività esecutiva e materiale;

il motivo è infondato, posto che, come già ricordato in fatto, la Corte territoriale ha ritenuto che non fosse stato dedotto e provato dall’Inps, che ne aveva l’onere, il requisito della partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; e che era pure emerso che l’attività della società immobiliare (priva di dipendenti e costituita dal solo resistente) era consistita in un’unica operazione relativa all’affitto di un immobile con l’obbligo di procedere ad alcuni adempimenti fiscali;

sul piano normativo la pretesa dell’INPS, in conseguenza delle ripetute modifiche legislative intervenute in materia, risulta oggi regolata dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, il quale ha sostituito della L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 29, il comma 1, con il seguente disposto: “L’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla L. 22 luglio 1966, n. 613 e successive modificazioni ed integrazioni, sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti: a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita; b) abbiano la piena responsabilità dell’impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non è richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonchè per i soci di società a responsabilità limitata; c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri o ruoli”;

pertanto ai fini dell’iscrizione dei soci di srl alla gestione commercianti gli stessi devono pur sempre possedere i requisiti di cui alla L. 27 novembre 1960, n. 1397, art. 1 cit., comma 1, lett. c); ovvero partecipare direttamente al lavoro aziendale in modo abituale e prevalente;

nel caso in esame, perciò, il criterio di prevalenza non viene in considerazione in relazione allo svolgimento di due o più attività (autonome o di altra natura) ed alla questione della concorrenza (cfr. sentenza Corte Costituzionale n. 133/84) o dell’esclusività della assicurazione previdenziale; esso viene bensì in rilievo come requisito costitutivo interno alla fattispecie prevista dalla legge ai fini dell’iscrizione all’unica gestione degli esercenti attività commerciali; e la sua disciplina non va ricavata dal comma 208 (e dalla successiva norma di interpretazione autentica), ma dalla L. 662 del 1996, art. 1, comma 203 e dalla L. 28 febbraio 1986 n. 45, art. 3, prima indicati;

in tale ottica, ed in conformità ad una regola che non risulta derogata da alcuna delle regolamentazioni valevoli per i vari fondi previdenziali dei lavoratori autonomi (non solo commercianti, ma anche artigiani, coltivatori diretti, coloni e mezzadri), l’iscrizione alla gestione previdenziale è sempre subordinata alla presenza dei requisiti di abitualità e prevalenza nello svolgimento di un’attività lavorativa (di natura commerciale, artigiana, agricola); talchè non basta lo svolgimento di un’attività lavorativa (di natura individuale o societaria) per essere iscritti ad un fondo di previdenza relativo ai lavoratori autonomi; occorre che esistano, congiuntamente, i due requisiti di abitualità e prevalenza;

sotto questo profilo vale ancora la considerazione effettuata dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 3240 del 12.2.2010 secondo la quale detta assicurazione “è posta a protezione, fin dalla sua iniziale introduzione, non già dell’elemento imprenditoriale del lavoratore autonomo, sia esso commerciante, coltivatore diretto o artigiano, ma per il fatto che tutti costoro sono accomunati ai lavoratori dipendenti dall’espletamento di attività lavorativa abituale, nel suo momento esecutivo, connotandosi detto impegno personale come elemento prevalente (rispetto agli altri fattori produttivi) all’interno dell’impresa,” va peraltro chiarito in relazione a quest’ultimo aspetto che, in base all’interpretazione logica della norma, e maggiormente aderente alla ratio protettiva dell’obbligo assicurativo, i requisiti congiunti di abitualità e prevalenza, il cui onere della prova è a carico dell’Inps, siano da riferire ad un limite – sia pure non predeterminato – di tempo e di reddito, da accertarsi in senso relativo ovvero con riferimento all’attività lavorative espletate dal soggetto considerato e non già comparativamente con riferimento agli altri fattori materiali e personali dell’impresa;

la fattispecie come descritta in fatto dalla sentenza impugnata, è contraddistinta, invece, secondo l’accertamento incensurabile in questa sede, dal mancato svolgimento di lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza e dallo svolgimento della sola attività di affitto di un immobile; pertanto, tenuto conto che nei confronti di codesto accertamento in fatto l’INPS non ha sollevato alcuna censura, deve escludersi che sulla sua base possano essere maturati i presupposti per l’iscrizione dell’intimata nella gestione commercianti: anzitutto perchè non è stato provato da parte dell’Inps che il resistente svolgesse attività aziendale in modo abituale e prevalente; in secondo luogo perchè l’attività di affitto (e mera riscossione dei canoni di un immobile affittato) non costituisce di norma attività d’impresa, indipendentemente dal fatto che ad esercitarla sia una società commerciale (Cass. n. 3145 del 2013), salvo che si dia prova che costituisca attività commerciale di intermediazione immobiliare (Cass. n. 845 del 2010); ed infine perchè l’eventuale impiego dello schema societario per attività di mero godimento, in implicito contrasto con il disposto dell’art. 2248 c.c., non può trovare una sanzione indiretta nel riconoscimento di un obbligo contributivo di cui difettino i presupposti propri, per come sopra ricostruiti;

esclusa la ricorrenza dell’attività a cui la legge ricollega l’obbligo di iscrizione e il versamento della contribuzione alla gestione commercianti, il ricorso va rigettato;

le spese seguono la soccombenza come in dispositivo; sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte respinge ricorso e condanna l’INPS al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2700 di cui Euro 2500 per compensi professionali, oltre al 15% per spese generali ed oneri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018

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