Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26655 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/11/2020, (ud. 17/09/2020, dep. 24/11/2020), n.26655

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 492/2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore

p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: (OMISSIS)), presso i cui uffici in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12, è domiciliata ope legis;

– ricorrente –

contro

A.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 908/23/2015 emessa dalla CTR Toscana in data

21/05/2015 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Andrea

Penta.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

A.M. presentava ricorso avverso ravviso di rettifica e liquidazione n. (OMISSIS) notificato in data 04/06/2013, emesso dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Livorno” relativo alle imposte di registro, ipotecaria e catastale e relative sanzioni ed interessi e riferito al controllo di valore dichiarato per la compravendita di fabbricato sito in Località (OMISSIS) stipulato in data 13/06/2011 e registrato in data 17/06/2011. La rivalutazione dell’Ufficio si fondava in via principale sul prezzo a cui lo stesso compendio immobiliare era stato rivenduto in data 23/02/2013. Sulla base di tale valutazione, l’Agenzia delle Entrate adeguava il valore dichiarato a quello di rivendita e, quindi, in Euro 630.000,00.

A.M., per quanto qui ancora rileva, contestava la legittimità dell’avviso per mancanza assoluta di motivazione, posto che l’Ufficio aveva omesso di indicare il valore attribuito a ciascuno dei beni o diritti in esso descritti così come stabilito dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 51 e art. 52, comma 2. Contestava la carenza di motivazione dell’atto impugnato anche ai sensi del citato D.P.R., art. 51 e art. 52, commi 1, 2 e 2-bis, e, in generale, della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7. Il ricorrente sosteneva l’illegittimità delle sanzioni irrogate sia per erronea determinazione dell’ammontare delle stesse sia in quanto l’Ufficio non aveva dimostrato la colpevolezza del suo comportamento. Tanto premesso, chiedeva che venisse dichiarata l’illegittimità/infondatezza dell’atto e, in ogni caso, venissero considerate non dovute le imposte specificate e le relative sanzioni/interessi.

L’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Livorno si costituiva in giudizio, sostenendo che l’avviso di rettifica era adeguatamente motivato e doveva considerarsi legittimo il riferimento all’atto di vendita successivo dello stesso bene. In ordine alle sanzioni in oggetto, affermava che le stesse erano state comminate a norma del D.Lgs. n. 472 del 1997.

La Commissione Tributaria di Livorno, con sentenza del 25/03/2014, n. 239/02/2014, respingeva il ricorso, compensando le spese di giudizio. I giudici di prime cure ritenevano correttamente motivato l’avviso, in quanto l’Ufficio aveva chiaramente indicato il criterio di valutazione consistente nel paragone con la successiva cessione delle stesso complesso immobiliare. In riferimento alla stima di merito, i nuovi elementi segnalati dal ricorrente, intervenuti tra il momento della vendita qui in valutazione e quello della seconda alienazione presa a base della rettifica, non erano considerati sufficienti a costituire elementi sostanziali per giustificare il diverso valore del compendio immobiliare. Confermava, infine, la legittimità delle sanzioni comminate.

Avverso tale decisione il contribuente proponeva appello alla CTR di Firenze – sezione di Livorno, eccependo in primo luogo l’illegittimità dell’avviso impugnato per assoluta mancanza di motivazione, data l’omessa indicazione del valore da attribuire a ciascuno dei beni e diritti in esso descritti. Precisava, inoltre, che, a seguito dell’acquisto effettuato dalla società immobiliare Quattro Elle, vi era stato un cambio di destinazione d’uso che aveva modificato il valore commerciale dei beni. Infine, contestava la legittimità delle sanzioni comminate. Concludeva chiedendo che la Commissione dichiarasse l’illegittimità e l’infondatezza dell’atto impugnato e considerasse non dovute le imposte specificate e le relative sanzioni ed interessi.

L’Agenzia delle Entrate- Ufficio di Livorno si costituiva in giudizio presentando controdeduzioni, nelle quali riaffermava che nessun cambiamento di destinazione d’uso, tale da elevare il valore del complesso immobiliare, fosse intervenuto nel complesso compravenduto nel febbraio del 2013 rispetto allo stesso complesso compravenduto nel giugno del 2011.

Con sentenza del 21.5.2015 la CTR Toscana accoglieva l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:

1) l’Ufficio, con l’avviso di rettifica e di liquidazione in oggetto, si era limitato ad attribuire un valore ad un generico compendio di beni, prendendo come riferimento esclusivo l’importo contenuto in un successivo contratto di compravendita riguardante gli stessi beni e nella nuova valutazione aveva omesso di indicare il valore attribuito a ciascuno dei beni immobili oggetto della compravendita, in violazione di quanto previsto dal D.P.R. n. 26 aprile 1986, n. 131, art. 51 e art. 52, comma 2;

2) era, inoltre, assente una chiara ed argomentata motivazione sulla quale fondare l’iter logico-giuridico utilizzato dall’Agenzia delle Entrate nella formazione dell’atto impugnato;

3) non poteva considerarsi legittimo un avviso di accertamento contenente la semplice indicazione di un valore diverso da quello dichiarato non corredato da alcun elemento atto a ricostruire il processo di valutazione operato dall’Ufficio;

4) in riferimento alle sanzioni tributarie, l’Ufficio non aveva opportunamente evidenziato gli elementi dallo stesso valutati al fine di considerare colpevole il comportamento del contribuente atti a giustificare l’irrogazione delle stesse.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, sulla base di tre motivi.

A.M. non ha svolto difese.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR ritenuto che l’avviso di rettifica fosse carente di motivazione avendo omesso di lindicare il valore attribuito a ciascuno dei beni immobili oggetto della compravendita, nonostante tale oggetto fosse costituito da un compendio immobiliare unitariamente considerato e nel contratto fosse stato indicato il prezzo in modo complessivo.

1.1. Il motivo è fondato.

Con riferimento a fattispecie diversa, ma assimilabile, questa Sezione ha in più occasioni affermato che, in tema di imposta di registro, il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, laddove stabilisce un limite al potere di accertamento dell’Ufficio del registro in ordine agli atti concernenti immobili, ha come presupposti applicativi il fatto che il cespite oggetto dell’atto da registrare sia dotato di rendita catastale ed il fatto che il contribuente abbia indicato il valore attribuito al bene così da permettere il rapporto tra valore cd. automatico e catastale; ne consegue che detta norma non può trovare applicazione quando, avendo ad oggetto l’atto da registrare più immobili, ad alcuni di essi non sia stata attribuita la rendita catastale e nell’atto il contribuente abbia dichiarato, come nel caso di specie, un valore complessivo per tutti i beni (Sez. 5, Sentenza n. 8764 del 04/04/2008; conf. Sez. 5, Ordinanza n. 22207 del 26/10/2011 e Sez. 5, Sentenza n. 1309 del 26/01/2015).

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR ritenuto che l’avviso di rettifica fosse carente di motivazione, nonostante fosse sufficiente enunciare il criterio astratto utilizzato.

2.1. Il motivo è fondato.

In tema di accertamento tributario, la motivazione di un avviso di rettifica e di liquidazione ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, consentendo al contribuente l’esercizio del diritto di difesa. Ne consegue che, fermo restando l’onere della prova gravante sulla Amministrazione, è sufficiente che la motivazione contenga l’enunciazione dei criteri astratti, in base ai quali è stato determinato il maggior valore, senza necessità di esplicitare gli elementi di fatto utilizzati per l’applicazione di essi, in quanto il contribuente, conosciuto il criterio di valutazione adottato, è già in condizione di contestare e documentare l’infondatezza della pretesa erariale, senza poter invocare la violazione, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2-bis, del dovere di allegazione delle informazioni previste ove il contenuto essenziale degli atti sia stato riprodotto sull’avviso di accertamento (Sez. 5, Sentenza n. 25153 del 08/11/2013; conf. Sez. 5, Ordinanza n. 22148 del 22/09/2017).

Ciò in ossequio al principio consolidato secondo cui l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento di maggior valore deve ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione del criterio astratto in base al quale è stato rilevato, con le specificazioni in concreto necessarie per consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa e per delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, nella quale l’Amministrazione ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto, ed il contribuente la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri (Sez. 5, Sentenza n. 25624 del 01/12/2006; Sez. 5, Sentenza n. 1218 del 20/01/2011; Sez. 5, Sentenza n. 6914 del 25/03/2011; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11560 del 06/06/2016).

2.1.1. Inoltre, il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 51, fa riferimento: ai valori risultanti dai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie anteriori di non oltre tre anni; al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili; “ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni”. Tali criteri di valutazione sono assolutamente pariordinati, nulla autorizzando a ritenere il terzo residuale e subordinato alla oggettiva impossibilità di ricorrere ai parametri oggettivi di cui ai precedenti criteri (Sez. 5, Sentenza n. 4221 del 24/02/2006).

Non è revocabile in dubbio che il riferimento operato all’atto di compravendita dello stesso compendio immobiliare stipulato in data 23.2.2013 (e, quindi, a distanza di circa un anno e 8 mesi dopo quello oggetto di rettifica) rientri negli altri elementi di valutazione espressamente previsti dalla legge.

Sempre tra gli “altri elementi di valutazione” ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3, rientrano, poi, la destinazione, la collocazione, la tipologia, la superficie, lo stato di conservazione e l’epoca di costruzione dell’immobile (Sez. 5, Sentenza n. 1961 del 26/01/2018), e nel caso di specie è stato posto in rilievo (cfr. pag. 10 del ricorso) il penultimo (compendio immobiliare acquistato per essere demolito e ricostruito).

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR escluso l’irrogabilità di sanzioni nei confronti del contribuente per non essere il suo comportamento risultato colpevole, nonostante la predetta norma ponesse una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di chi lo abbia commesso.

3.1. Il motivo è anch’esso fondato.

Invero, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, ai fini dell’affermazione di responsabilità del contribuente, ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, occorre che l’azione od omissione causativa della violazione sia volontaria, ossia compiuta con coscienza e volontà, e colpevole, ossia compiuta con dolo o negligenza, e la prova dell’assenza di colpa grava sul contribuente, sicchè va esclusa la rilevabilità d’ufficio di una presunta carenza dell’elemento soggettivo, sotto il profilo della mancanza assoluta di colpa (Sez. 5, Sentenza n. 13068 del 15/06/2011; conf. Sez. 5, Sentenza n. 14042 del 03/08/2012). Ciò in quanto il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, comma 1, applicando alla materia fiscale il principio di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 3, ritiene sufficiente, ai fini della punibilità, l’elemento psicologico della colpa, peraltro presunta a carico di colui che abbia consapevolmente e volontariamente posto in essere l’atto vietato (Sez. 5, Sentenza n. 4171 del 20/02/2009).

4. In definitiva, il ricorso merita di essere integralmente accolto. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito nel senso di rigettare l’originario ricorso del contribuente.

Le spese relative al presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente. Condanna l’intimato al rimborso delle spese relative al presente grado di giudizio, che liquida in Euro 2.200,00, oltre spese prenotate a debito, compensando quelle relative ai gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

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