Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26654 del 22/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 22/12/2016, (ud. 02/11/2016, dep.22/12/2016),  n. 26654

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21019-2015 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PISA 30,

presso lo studio dell’avvocato MARCO PASQUALE PAPASSO, rappresentato

e difeso dall’avvocato GABRIELE RENZULLI giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 326/6/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di MILANO, emessa il 29/012015 e depositata il 04/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIO NAPOLITANO;

udito l’Avvocato Gabriele Renzulli, per il ricorrente, che chiede

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte,

costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., a seguito della quale parte ricorrente ha depositato memoria, osserva quanto segue:

Con sentenza n. 326/6/2015, depositata il 4 febbraio 2015, non notificata, la CTR della Lombardia ha accolto l’appello proposto nei confronti del sig. B.S. dall’Agenzia delle Entrate, D.P. (OMISSIS) di Milano, per la riforma della sentenza di primo grado della CTP di Milano, che aveva invece accolto il ricorso del contribuente per l’annullamento dell’avviso di accertamento, emesso sulla base di indagini bancarie, per IRPEF, IVA ed IRAP per l’anno 2007, per essere stato emesso l’atto impositivo prima del decorso del termine di 60 giorni dalla chiusura della relativa verifica, ritenendo violato il disposto della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

La CTR, nel riformare la pronuncia impugnata, ritenne inapplicabile nella fattispecie la citata norma, non essendovi stato alcun accesso, nè essendo stato redatto alcun processo verbale di constatazione, ritenendo altresì che il contribuente non avesse comprovato quali fossero le operazioni riferite al coniuge cointestatario del conto e quali fossero le operazioni non imponibili.

Avverso detta pronuncia il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Con l’unico motivo il contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non essere stato posto in condizione, nel termine di 60 giorni dalla chiusura della verifica, di far valere le proprie deduzioni difensive che avrebbero potuto evitare l’emanazione dell’atto impositivo, notificato pacificamente prima del decorso del termine suddetto, osservando che i tre momenti cosiddetti di contraddittorio, conseguiti all’invio da parte dell’Amministrazione di questionario, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, si erano di fatto risolti unicamente in richiesta di deposito di documentazione da parte dell’Ufficio.

Il motivo è manifestamente infondato.

La giurisprudenza prevalente di questa Corte (tra le altre Cass. sez. 5, 5 dicembre 2014, n. 25770; Cass. sez. 5, 10 gennaio 2013, n. 446), ha più volte affermato che in tema di accertamento delle imposte la legittimità della ricostruzione della base imponibile mediante l’utilizzo delle movimentazioni bancarie acquisite non è subordinata al contraddittorio con il contribuente anticipato alla fase amministrativa, in quanto l’invito a fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari costituisce per l’Ufficio un facoltà e non un obbligo, la cui inosservanza sia sanzionata dalla nullità dell’accertamento conseguentemente notificato.

Ogni possibile incertezza interpretativa, poi, quanto alla sostenuta, da parte del ricorrente, applicabilità del disposto della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 alle c.d. verifiche a tavolino, come quella sulle movimentazioni bancarie del contribuente, senza che vi sia stato accesso da parte dei verificatori o redazione di processo verbale di constatazione, è stata fugata, da ultimo, dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, che ha circoscritto l’esistenza dell’obbligo da parte dell’Amministrazione di attivare il previo contraddittorio con il contribuente – salvo i casi nei quali il suo espletamento sia espressamente previsto a pena di nullità – relativamente ai tributi armonizzati, sempre che il contribuente alleghi quali difese avrebbe inteso fare valere, che non palesassero l’opposizione come meramente pretestuosa.

La pronuncia impugnata si è dunque attenuta al principio di diritto affermato dalla richiamata pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, che induce altresì a ritenere manifestamente infondata nei termini espressi da parte ricorrente la questione di legittimità costituzionale, in subordine proposta, della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 nell’interpretazione accolta dalla sentenza della CTR in questa sede impugnata.

Le considerazioni di cui sopra, esposte nella relazione depositata ex art. 380 bis c.p.c., sono condivise dal collegio che, in relazione al contenuto della memoria depositata in atti, osserva ancora quanto segue.

L’esposizione in ricorso dei fatti di causa non consente di verificare se dell’omissione del contraddittorio endoprocedimentale il ricorrente si sia doluto allegando fatti incidenti sull’accertamento in tema di IVA e soprattutto se comunque essi siano stati già valutati dall’Amministrazione in sede di annullamento parziale in autotutela dell’originario accertamento, richiamato in memoria dallo stesso contribuente.

Quanto poi alla questione relativa all’estensione e/o delimitazione degli effetti abrogativi della sentenza della Corte costituzionale 6 ottobre 2014, n. 228, sulla presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2), sulla quale effettivamente è dato rilevare l’esistenza di un contrasto interpretativo all’interno della stessa giurisprudenza di questa Corte (cfr. da un lato, Cass. sez. 5, 5 agosto 2016, n. 16440; Cass. sez. 5, 11 novembre 2015, n. 23041 sul venir meno della presunzione anche in relazione ai versamenti; in senso difforme Cass. sez. 5, 29 luglio 2016, n. 15857 e Cass. sez. 9 agosto 2016, n. 16697), se ne deve rilevare l’assoluta novità, ad essa essendosi riferito il ricorrente per la prima volta unicamente nella memoria ex art. 378 c.p.c., donde la sua inammissibilità, atteso che al momento della notifica del ricorso per cassazione la citata pronuncia della Corte costituzionale era già stata pubblicata da poco meno di un anno.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti di legge per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4100,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016

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