Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26653 del 22/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 22/10/2018, (ud. 23/05/2018, dep. 22/10/2018), n.26653

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20084/2014 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato FRANCO RAIMONDO

BOCCIA, rappresentata e difesa dall’avvocato ADRIANA CALABRESE,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 56

INT. 2, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO CASELLA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO GIOACCHINO MARIA

PAGLIARELLO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 58/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/02/2014 R.G.N. 933/2011.

Fatto

RILEVATO

Che con sentenza del 18.2.2014 la corte d’Appello di Milano, parzialmente riformando la sentenza del tribunale della stessa città, ha confermato la decisione del primo giudice accertando l’illegittimità del termine apposto al quarto contratto stipulato tra C.M. con Poste italiane spa ed ha ritenuto applicabile la L. n. 183 del 2010, art. 32, condannando la società al pagamento dell’indennità risarcitoria nella misura di 10 mensilità, oltre rivalutazione e interessi di legge dalla cessazione di tale ultimo contratto.

Che la corte ha respinto l’appello incidentale del C. confermando quanto ritenuto dal tribunale circa la risoluzione per mutuo consenso con riferimento ai primi tre contratti stipulati tra le parti nel novembre 1998, nel dicembre 1999 e poi nel maggio del 2000, mentre ha ritenuto la nullità del termine di cui al contratto stipulato dal 6.12.2007 al 31.1.2008 per “ragioni di carattere produttivo, in particolare per picchi di più intensa attività”, rilevando come non fossero state offerte prove adeguate in relazione alla causale, essendo valutative e generiche le circostanze sulle quali la società aveva chiesto prova per testi, in particolare rilevando che i dati riportati nel documento prodotto dalla società, che avrebbe dovuto essere oggetto di conferma da parte dei testi, non consentiva di provare la sostenuta sussistenza dei picchi di “più intensa attività” e che anzi attestava piuttosto un decremento dell’attività nello specifico periodo riguardante l’assunzione del C..

Che avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Poste spa affidato a cinque motivi, a cui ha resistito il C. con controricorso. Poste ha depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che i motivi hanno riguardato:

1) la violazione art. 2697 c.c., in materia di onere probatorio, per avere la corte di merito, nel riferirsi ai capitoli di prova nn. 2, 3 e 4, erroneamente ritenuto generica ed non conferente la capitolazione. Per la società ricorrente tale affermazione sarebbe illogica e comunque la corte avrebbe omesso di motivare sui capitoli di prova, equivocando sulla connessione tra il secondo capitolo di prova e quanto contenuto nel doc. 14 di parte convenuta in primo grado, attestante i volumi di recapito ed i relativi picchi per il periodo dal giugno 2007 a giugno 2008, documento invece diretto a far confermare la circostanza che il C. non era stato assunto per assenze di personale, in quanto presso l’ufficio di destinazione l’organico era completo, ma per far fronte ad un aumento di lavoro, cioè della maggiore corrispondenza arrivata e da smaltire. Non avrebbe poi la sentenza motivato rispetto agli atri capitoli di prova, in cui si chiedeva di provare che l’aumento della corrispondenza determinava anche l’aumento del lavoro di recapito e quindi anche del lavoro dei cd, furgonisti. Sarebbe poi errata anche la valutazione che la corte ha effettuato circa la mancata valenza probatoria del doc. 14.

Che il motivo è inammissibile in primo luogo per difetto di autosufficienza. La società ricorrente lamenta un’errata valutazione da parte della corte del prospetto di cui al documento n. 14 della parte convenuta in primo grado, relativo ai volumi medi giornalieri di recapito con i relativi picchi, sostenendo altresì che la corte avrebbe anche confuso il collegamento di tale documento con il capitolo di prova per il quale la società lo aveva prodotto. Tuttavia la mancata trascrizione in ricorso di detto documento nella sua parte rilevante, oltre che l’omessa indicazione della sua esatta collocazione nel fascicolo di parte, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 2, n. 6, non consentono di comprendere appieno la doglianza della società. Comunque le censure sono confuse, non essendo stati neanche trascritti in maniera completa tutti i capitoli di prova distintamente, al fine di valutare l’eventuale errore commesso dalla corte nell’esaminare i dati sui volumi di recapito, che la società assume collegati solo a determinate deduzioni di tale capitolazione e non ad altre.

2) la violazione dell’art. 1372 c.c., in relazione all’eccezione di risoluzione per muto consenso. Avrebbe errato la corte nel ritenere che non fosse rilevante la circostanza che il lavoratore aveva nel frattempo intrattenuto altri rapporti di lavoro, a riprova della volontà risolutiva.

Che il motivo è infondato. L’accertamento di una concorde volontà delle parti diretta a sciogliere un contratto costituisce un giudizio che attiene al merito della causa (cfr. Cass. SU n. 21691/2016) costituendo un accertamento in fatto. Ciò comporta che, ove nel giudizio di merito sia stato valutato il comportamento delle parti e non si sia ritenuta l’esistenza di un comportamento omissivo perchè assenti ulteriori elementi convergenti, tale giudizio è sindacabile in sede di legittimità solo in base alle regole dettate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, secondo la formulazione vigente ratione temporis.

Che tale orientamento ha espresso la cassazione anche con la sentenza n. 29781/2017 che, sulla scia della decisione prima ricordata, a cui questo collegio ritiene di dare continuità, ha rilevato come non è conferito alla Cassazione di riesaminare gli aspetti in fatto della vicenda processuale, solo potendosi valutare la coerenza logico-formale e la correttezza giuridica della decisione assunta dal giudice di merito, “senza che sia consentito al giudice di legittimità sostituire una diversa massima di esperienza diversa da quella utilizzata, quando questa non sia neppure minimamente sorretta o sia addirittura smentita”.

Che nel caso in esame la corte di merito ha valutato che l’elemento temporale, ossia il tempo intercorso tra la fine della prestazione lavorativa – gennaio 2008 – e la data di messa in mora di Poste 3.6.2008, con deposito del ricorso ex art. 414 c.p.c., nel maggio 2010,non era rilevante, e la rioccupazione avvenuta con rapporti precari che aveva dovuto rispondere ad esigenze primarie, non potevano costituire da soli elementi significativi, apprezzabili come circostanza utile per la configurazione di una volontà dismissiva del rapporto. La motivazione della corte territoriale sul punto non può ritenersi priva di logicità e dunque non è sindacabile in questa sede, dove “l’oggetto del sindacato non è il rapporto sostanziale intorno al quale le parti litigano, bensì unicamente la sentenza di merito che su quel rapporto ha deciso” (così Cass. n. 29781/2017 cit.).

3) la violazione art. 1419 c.c., in relazione al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5 e all’art. 1418 c.c., per avere erroneamente applicato la corte di merito il principio dell’invalidità parziale relativa alla sola clausola del termine.

Che anche tale motivo non merita accoglimento. Questa Corte ha più volte ribadito che il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1,ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria anche nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Da ciò deriva che, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative, e pur in assenza di una norma che ne sanzioni espressamente la mancanza, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, all’illegittimità del termine, ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso, consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola, pur se eventualmente dichiarata essenziale, e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (così Cass. 12985/2008, Cass. n. 7244/2014).

4) la violazione L. n. 183 del 2010, art. 32, in relazione alla L. n. 604 del 1966, art. 8 ed all’art. 1227 c.c., oltre che di omesso esame di un punto oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: non avrebbe la corte motivato perchè i presupposti invocati – la breve durata del rapporto e la protratta durata dell’inerzia nel mettere in mora la società – comportassero una liquidazione dell’indennità quasi nella misura massima, laddove tale inerzia avrebbe giustificato una liquidazione nella misura minima. Non erano stati poi presi in considerazione l’accettazione del TFR senza riserve e l’aver omesso di produrre la documentazione relativa al proprio reddito nel periodo successivo alla cessazione dei contratti, avendo lavorato per due anni.

Che anche tale motivo non merita accoglimento. La determinazione dell’indennità è oggetto del giudizio di merito, non sindacabile in sede di legittimità ove effettuata senza violazione dei canoni indicativamente presi in considerazione dalla norma di legge – L. n. 604 del 1966, art. 8. Nel caso in esame la corte territoriale ha motivato ritenendo il fattore tempo preminente e tale valutazione non è sindacabile.

5) la violazione art. 429 c.p.c., comma 3, con riferimento alla decorrenza degli accessori: non trattandosi di credito retributivo, la corte ha errato nel riconoscere interessi e rivalutazione, in subordine la corte ha errato nel determinarli a far tempo dalla cessazione del contratto.

Tale motivo è parzialmente fondato. Questa corte (Cfr. Cass. n. 5344/2016) ha che precisato che: “L’art. 429 c.p.c., comma 3, in tema di rivalutazione monetaria dei crediti di lavoro trova applicazione anche nel caso dell’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, in quanto si riferisce a tutti i crediti connessi al rapporto e non soltanto a quelli aventi natura strettamente retributiva, fermo restando che alla natura di liquidazione forfettaria e onnicomprensiva dell’indennità consegue la decorrenza, della rivalutazione monetaria e degli interessi legali, dalla data della sentenza che dispone la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato”. Che la sentenza della Corte di Appello, nella parte in cui ha condannato la società Poste Italiane al pagamento della rivalutazione monetaria e degli interessi legali dalla scadenza del termine apposto al contratto di lavoro invece che dalla sentenza di primo grado, che aveva accertato la nullità del termine, non si è adeguata ai predetti principi e pertanto deve essere cassata limitatamente al capo investito dal quinto motivo del ricorso, rigettati gli ulteriori motivi.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, può procedersi alla pronuncia di merito, dichiarando che la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sono dovuti dal datore di lavoro a decorrere dalla data della sentenza di primo grado. Le spese del presente giudizio di legittimità possono compensarsi tra le parti in ragione di un quinto, stante la parziale soccombenza del contro ricorrente, molto limitata, con condanna di Poste spa alla rifusione in favore del C. degli ulteriori 4/5. che si liquidano come da dispositivo.

Vanno confermati gli importi per i gradi di merito, come determinati nella sentenza impugnata ed in quella di primo grado.

P.Q.M.

Accoglie il quinto motivo,nei sensi di cui in motivazione, rigettati gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito dispone che gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dovuti sull’ importo dell’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, a decorrere dalla sentenza del 20.10.2010 Condanna la ricorrente al pagamento delle spese dei due gradi di merito in misura pari a quelle indicate nelle relative sentenze e, per il giudizio di legittimità, al pagamento di 4/5 delle spese, compensata la restante parte, che si liquidano in Euro 160 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarsi in favore dell’avvocato Angelo Pagliarello, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 23 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018

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