Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26651 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/11/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 24/11/2020), n.26651

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15655-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE E DEL TERRITORIO, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente-

contro

G.V.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 512/2013 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

CATANIA, depositata il 12/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

G.V. proponeva distinti ricorsi avverso un avviso di recupero credito e tre avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate, accertata la mancanza dei requisiti normativi, recuperava il credito d’imposta utilizzato in compensazione per gli anni 2003 – 2007, nonchè di conseguenza la indebita detrazione Iva per gli anni 2004 – 2006.

Il recupero era motivato dal fatto che il contribuente non aveva realizzato beni strumentali all’attività d’impresa, cioè da utilizzare per fini produttivi, bensì immobili aventi caratteristiche di edilizia residenziale, segnatamente, villette per civile abitazione.

La Commissione Tributaria Provinciale di Ragusa, riuniti i ricorsi, li accoglieva.

La sentenza, appellata dall’Agenzia delle Entrate, veniva confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, la quale osservava che, come già argomentato dal giudice di prime cure, l’Amministrazione finanziaria non aveva fornito elementi probatori idonei a superare le risultanze catastali che vedevano i due immobili rappresentati sotto la categoria C/2 (magazzini e locali di deposito) e D/8 (fabbricati costruiti o adattati per speciali esigenze di un’attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni).

Avverso la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione sulla base due motivi, mentre l’intimato non si è costituito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 8, comma 1 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che i due immobili non presentano i requisiti di cui alla norma richiamata in quanto hanno non caratteristiche di strumentalità all’attività di impresa, ma quelle di edifici ad utilizzazione abitativa, e che l’impugnata sentenza non ha fatto cenno alcuno alla circostanza che gli immobili, in violazione della normativa di riferimento, non sono entrati in funzione entro due anni dall’ultimazione.

Con il secondo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115,116, e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, atteso che la CTR non ha tenuto in debito conto le circostanze di fatto segnalate dai verificatori nel verbale redatto il 31/7/2009, e in particolare il fatto che gli immobili non sono entrati in funzione nei due anni dalla loro ultimazione, per cui non ha fatto corretto uso dei principi che disciplinano la valutazione della prova.

Le censure, scrutinabili congiuntamente, sono fondate e meritano accoglimento per le ragioni di seguito esposte.

Giova premettere che la L. n. 388 del 2000, art. 8, collega l’attribuzione del beneficio per cui è causa, nella forma del credito d’imposta, alla effettuazione di nuovi investimenti nelle aree svantaggiate, avuto riguardo alla idoneità degli stessi a promuovere lo sviluppo della zona interessata, per cui “va escluso il diritto a fruire delle agevolazioni in parola per investimenti relativi ad immobili – merce, cioè quelli alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa, la quale abbia come oggetto tipico l’attività immobiliare di compravendita o l’attività di costruzione e successiva vendita di fabbricati” (Cass. n. 8120/2015).

Per quanto concerne l’esatta individuazione del concetto di destinazione (e mantenimento per il quinquennio previsto dalla norma) del bene alla struttura produttiva originaria, il D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 7, comma 1 – bis, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, ha introdotto una norma di interpretazione autentica della citata L. n. 388 del 2000, art. 8, comma 7, per la quale la disposizione di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 8, comma 7, secondo periodo, si interpreta nel senso che “gli immobili strumentali per natura, ai sensi del T.U.I.R., D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 43, comma 2, secondo periodo, i quali costituiscono un complesso immobiliare unitario polifunzionale destinato allo svolgimento di attività commerciale, qualora siano locati a terzi, non si intendono destinati a struttura produttiva diversa, a condizione che gli stessi vengano destinati allo svolgimento di attività d’impresa ai sensi del citato testo unico art. 55 “.

Solo in presenza dei presupposti suindicati risulta rispettata la finalità della norma antielusiva, volta ad impedire l’immissione temporanea dei beni nell’impresa al solo fine di fruire dell’agevolazione, in quanto viene confermata la stabilità dell’investimento nell’originario territorio.

Orbene, il requisito della strumentalità degli immobili costruiti dal contribuente, esercente attività di “lavori generali di costruzione edifici”, è stato considerato sussistente dalla CTR in ragione della “avvenuta accatastazione nelle categorie C/2 (magazzini e locali di deposito) e D/8 (Fabbricati costruiti o adattati per speciali esigenze di un’attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni)”.

Tale elemento probatorio – per quanto è dato ricavare dalla motivazione della impugnata sentenza – è stato considerato dal giudice di appello risolutivo “per ritenere prive di fondamento le ipotesi formulate circa l’assenza di strumentalità dei beni di cui si discute” non avendo l’Agenzia delle entrate adeguatamente provato i diversi “usi civili” dei beni agevolati, all’uopo non bastando il solo riferimento “ai requisiti tecnico – impiantistici (quali attacchi di acqua, luce e gas) che avrebbero dimostrato la potenzialità abitativa degli immobili oggetto di contenzioso”.

L’odierna ricorrente sottolinea di aver inutilmente richiamato, anche in grado di appello, l’ulteriore circostanza, accertata dai verificatori nel verbale redatto il 31/7/2009, che “i locali in questione non erano ancora utilizzati per lo svolgimento dell’attività d’impresa”, e che quindi gli immobili neppure “erano entrati in funzione il secondo anno successivo a quello di ultimazione”.

Alla luce del principio secondo cui si è in presenza di un investimento agevolabile solo quando sia dimostrata la sua strumentalità esclusiva all’esercizio dell’impresa, mediante l’utilizzo del bene nella struttura produttiva dell’impresa, per gli investimenti in immobili strumentali per natura è necessario che si tratti effettivamente di beni destinati alla struttura produttiva dell’impresa, accertamento che non può risolversi nella verifica di mere indicazioni formali (la categoria e la classe catastale), laddove l’Amministrazione finanziaria abbia contestato, sia pure sulla base di elementi presuntivi, il difetto di collegamento tra utilizzo del bene (insussistente) e natura dell’attività dell’impresa, e l’onere di tale dimostrazione, trattandosi del riconoscimento di un beneficio, spetta a chi invoca la sussistenza dei relativi presupposti, cioè al contribuente (Cass. n. 1691/2016; n. 29469/2008; n. 12999/2007).

La decisione della CTR si fonda sul dato catastale ritenuto di per sè elemento sufficiente a provare la strumentalità degli immobili, ma ciò non è in linea con la innanzi richiamata giurisprudenza di legittimità in quanto deve osservarsi che il dato formale non basta se è contestato con elementi presuntivi di segno contrario, e che in tal caso il giudice tributario di merito è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono).

E nella fattispecie in esame il giudice di secondo grado non ha valutato la mancata utilizzazione nel biennio (di per sè causa di revoca e qui posta a conferma della mancanza di strumentalità effettiva – e non solo formale – dei beni), circostanza che unitamente “ai requisiti tecnico – impiantistici (quali attacchi di acqua, luce e gas) che avrebbero dimostrato la potenzialità abitativa degli immobili oggetto del contenzioso”, secondo quanto incontroverbilmente accertato dai verbalizzanti all’atto della verifica, costituisce ragione del mancato riconoscimento dell’agevolazione.

Così facendo la CTR ha omesso di considerare che la prova contraria, rispetto a quanto desumibile dal dato catastale allegato a proprio favore dal contribuente, può essere fornita anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, e senza necessità che l’Amministrazione fornisca al riguardo prove “certe”, che inoltre un investimento può ritenersi agevolabile solo quando si dimostri la sua strumentalità esclusiva all’esercizio dell’impresa (a prescindere dalla mera indicazione formale della qualità del bene), che infine l’onere di tale dimostrazione, trattandosi del riconoscimento di un beneficio, spetta a chi invoca la sussistenza dei relativi presupposti, cioè al contribuente (Cass. n. 1691/2016; n. 20143/2016).

La decisione impugnata non ha fatto corretta applicazione della normativa di riferimento e sui diversi e contrari elementi fattuali rassegnati dalla parte pubblica (come sopra illustrati) in punto di strumentalità del bene all’esercizio dell’attività di impresa, la motivazione non entra assolutamente nel merito delle ragioni prospettate dall’Agenzia e che pure andavano valutate.

La sentenza impugnata, pertanto, merita di essere cassata e poichè la causa non può essere decisa nel merito, va rinviata alla C.T.R. della Sicilia, in diversa composizione, la quale procederà al riesame della controversia, attenendosi ai principi sopra enunciati, e provvederà anche a liquidare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, in altra composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

 

 

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