Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26648 del 22/12/2016


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Cassazione civile, sez. un., 22/12/2016, (ud. 27/09/2016, dep.22/12/2016),  n. 26648

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente di Sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente di Sez. –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1929/2015 proposto da:

MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

B.M.C., R.E., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA OTTORINO LAZZARINI 19, presso lo studio degli avvocati

ANDREA SGUEGLIA ed UGO SGUEGLIA, che li rappresentano e difendono,

per delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

L.P., C.S., A.D.T.,

D.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 8086/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/09/2016 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

uditi gli avvocati Marina RUSSO per l’Avvocatura Generale dello Stato

ed Andrea SQUEGLIA;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. FUZIO

Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

1) Il tribunale e la Corte di appello di Roma hanno ritenuto illegittima la Delib. Comitato dei Capi di stato Maggiore del Ministero Difesa 20 gennaio 1999, con cui era stato ridisciplinato il periodo di impiego del personale civile del Ministero presso le Ambasciate estere e hanno dichiarato il diritto dei funzionari a permanere in servizio presso le sedi estere.

I dipendenti sono in servizio dal 1990-1997.

Il provvedimento è del 20 gennaio 1999 e prevedeva tre anni di permanenza poi elevato a 5 anni, dopo i quali i dipendenti sono stati richiamati.

Il Tribunale ha affermato il loro diritto a restare in servizio all’estero.

In sede di appello il Ministero della Difesa ha sostenuto che si era in presenza di atti di macroorganizzazione, non sindacabili dal giudice ordinario, trattandosi di potere autoritativo discrezionalmente esercitato dalla PA.

La Corte di appello con sentenza 13 gennaio 2014 ha rigettato il gravame e ha affermato che la determinazione della durata di un periodo di servizio è atto che riguarda la gestione del rapporto di lavoro. Ha ritenuto che esso non incida sulle modalità di costituzione e dotazione degli Uffici, ma sulla prestazione di servizio del singolo.

Il Ministero ricorre per la cassazione di questa sentenza, con quattro motivi illustrati da memoria.

I sigg. B. e R. hanno resistito con controricorso e hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2) Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza. Contrariamente a quanto dedotto dai resistenti, a pag. 3 del ricorso sono riportati i passi salienti delle delibere, in modo tale da consentire di comprendere adeguatamente il senso delle doglianze dell’avvocatura dello Stato.

3) Secondo la Corte di appello l’atto di Macroorganizzazione è un provvedimento che individua gli uffici, ne indica il rilievo, determina la complessiva dotazione di personale. La definizione non si attaglierebbe quindi a un provvedimento che determina la durata di un periodo di servizio del personale.

Il ricorso denuncia con il primo motivo (anteposto a quello sulla giurisdizione, per consentire “una corretta qualificazione giuridica” delle Delibere dalle quali è nata la controversia) violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 1 e art. 5.

Parte ricorrente sostiene che la previsione di una regola generale che fissa la durata massima del periodo di servizio del personale civile presso le Ambasciate, nonchè la sua turnazione, costituisce espressione del potere di fissare le linee fondamentali di organizzazione degli uffici. La natura di atto organizzativo non sarebbe snaturata dal successivo ripercuotersi dell’atto sui rapporti di lavoro di singoli dipendenti.

3.1) Il secondo motivo ripropone la tesi del difetto di giurisdizione del giudice adito. Il Ministero deduce che oggetto della controversia è la domanda di riconoscimento del preteso diritto a permanere nella sede di servizio, a fronte di note che in applicazione di atti macro-organizzativi preannunciano il richiamo in Italia. L’impugnazione diretta degli atti macro-organizzativi sarebbe rimessa alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo qualora la contestazione investa direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge degli atti organizzativi (Cass. 3052/09).

4) La censura è infondata.

Si legge nella recente Cass. SU 11387/16: “La giurisprudenza di queste Sezioni Unite ha affermato che, poichè la giurisdizione si determina in base al petitum sostanziale, che va individuato con riferimento ai fatti materiali allegati dall’attore e alle particolari caratteristiche del rapporto dedotto in giudizio, nella giurisdizione del giudice ordinario rientra il potere di verificare, in via incidentale, la legittimità degli atti generali di autoregolamentazione dell’ente pubblico (per eventualmente disapplicarli), qualora il giudizio verta su pretese attinenti al rapporto di lavoro e riguardi, quindi, posizioni di diritto soggettivo del lavoratore, in relazione alle quali i suddetti provvedimenti di autoregolamentazione costituiscono solamente atti presupposti (Sez. Un., 5 giugno 2006, n. 13169; Sez. Un., 16 febbraio 2009, n. 3677)”.

Si è ivi anche precisato che: “in tema di riparto di giurisdizione nelle controversie relative a rapporti di lavoro pubblico privatizzato, spetta alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo la controversia nella quale la contestazione investa direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge degli atti organizzativi, attraverso i quali le amministrazioni pubbliche definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici e i modi di conferimento della titolarità degli stessi (Sez. Un., 9 febbraio 2009, n. 3052; Sez. Un., 3 novembre 2011, n. 22733; Sez. Un., 16 dicembre 2015, n. 25210).

E ciò sul rilievo che possono darsi situazioni nelle quali la contestazione in giudizio della legittimità degli atti, espressione di poteri pubblicistici, previsti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 1, implica la deduzione di una posizione di interesse legittimo, nella quale il rapporto di lavoro non costituisce l’effettivo oggetto del giudizio, ma, per così dire, lo sfondo rilevante ai fini di qualificare la prospettata posizione soggettiva del ricorrente, derivando gli effetti pregiudizievoli direttamente dall’atto presupposto (Sez. Un., 8 novembre 2005, n. 21592; Sez. Un., 6 novembre 2006, n. 23605; Sez. Un., 1 dicembre 2009, n. 25254)”.

5) Facendo applicazione di tali principi, la giurisdizione deve essere regolata avendo riguardo agli atti con i quali i ricorrenti hanno intrapreso l’iniziativa giudiziaria.

Emerge da essi che i ricorrenti hanno inteso agire per far valere il diritto di rimanere a prestare servizio presso l’Ufficio, fuori Italia, cui sono attualmente addetti. A tal fine viene fatta valere la normativa di cui alla L. n. 838 del 1973, la condizione personale e familiare; l’assenza di disposizioni di legge che prevedano l’avvicendamento.

La richiesta di eventuale disapplicazione degli atti amministrativi, anche di carattere generale, che neghino tale diritto non risulta prospettata in via generale e definitiva, quale petitum sostanziale, al fine di ridiscuterne il fondamento anche per ulteriori fini. Essa è esclusivamente finalizzata al conseguimento del dichiarato scopo di mantenere il posto occupato presso l’amministrazione. Ne è riprova la circostanza che lo stesso ricorso B. al tribunale di Roma riferisce che il contenuto della determinazione del Comitato dei capi di Stato Maggiore era “del tutto sconosciuto”; che la ricorrente era stata trasferita in Francia con provvedimento della Direzione generale per gli Impiegati civili, i quali sfuggono alla competenza dello Stato Maggiore della Difesa che ha disposto il trasferimento.

Ne discende che in applicazione dei principi enunciati all’inizio del p. 4 va rigettata la censura relativa alla giurisdizione e dichiarato che la controversia appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario.

La causa va rimessa alla Sezione Lavoro di questa Corte per l’esame delle altre censure.

La Sezione semplice provvederà anche alla complessiva liquidazione delle spese e di ogni provvedimento accessorio che si dovesse rendere necessario relativamente a oneri e costi di lite.

PQM

La Corte rigetta la censura sulla giurisdizione.

Dichiara la giurisdizione del giudice ordinario.

Rimette la causa alla Sezione lavoro per l’esame delle altre censure.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 27 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016

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