Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26641 del 21/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 21/12/2016, (ud. 01/07/2016, dep.21/12/2016),  n. 26641

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIERA Carlo – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6638/2016 proposto da:

Y.B., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CASSAZIONI, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO MANGINO,

giusta procura a margine del ricorso; (AMMESSO G.P.);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

e contro

PUBBLICO MINISTERO, in persona del Procuratore Generale presso la

CORTE DI CASSAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1478/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO del

26/06/2015, depositata il 31/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’01/07/2016 dal Consigliere Relatore Dott. CARLO DE CHIARA;

udito l’Avvocato Antonella Ciervo (delega avvocato Mancino) difensore

del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

PREMESSO

Che è stata depositata relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., nella quale si legge quanto segue:

“1. – Il sig. B.Y., cittadino turco di etnia curda, ricorse al Tribunale di Torino avverso il diniego di protezione internazionale disposto dalla competente Commissione territoriale. Il Tribunale respinse il ricorso con ordinanza impugnata dal soccombente davanti alla Corte d’appello, la quale ha respinto il gravame ritenendo non credibile il racconto del sedicente sig. B., avendo questi reso davanti al Tribunale dichiarazioni contrastanti con quanto riferito alla Commissione, finalizzate ad arricchire la tesi della persecuzione nei propri confronti allegando, in particolare, la militanza nel partito curdo BDP e un arresto con trattenimento in carcere per tre giorni da parte della polizia. L’accertata violazione del dovere di lealtà e non reticenza da parte del richiedente asilo, con la conseguente inattendibilità del suo racconto, impedisce, secondo la Corte territoriale, di accogliere la domanda di protezione, non essendovi prova dell’esposizione dell’istante a pericolo in caso di rimpatrio.

Nè, infine, ad avviso della medesima Corte, ha rilevanza la documentazione relativa al disagio psicologico del richiedente e alla circostanza che altri suoi parenti abbiano ottenuto il riconoscimento della protezione, “atteso che è alla attendibilità del singolo istante che si deve avere riguardo e non alla generalizzata situazione dei richiedenti asilo, nè al solo fatto di essere di etnia curda”.

2. – Il sig. B. ha proposto ricorso per cassazione articolando due motivi di censura, cui l’amministrazione intimata non ha resistito.

3. – Il primo motivo di ricorso, rubricato come denuncia di violazione di norme di diritto, contiene in realtà, accanto a considerazioni di puro merito, una sola questione di diritto, e cioè la tesi secondo cui l’inattendibilità del ricorrente non avrebbe rilievo allorchè si tratti di accertare non già i presupposti del diritto allo status di rifugiato o alla protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. 9 novembre 2007, n. 251, bensì i presupposti della protezione umanitaria di cui al D.Lgs. 5 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6.

3.1. – Sotto tale profilo, tuttavia, il motivo è infondato, dato che anche con riguardo alla protezione umanitaria non può evidentemente prescindersi, nella mancanza di prove del racconto dell’interessato, quantomeno dalla credibilità soggettiva del medesimo, analogamente a quanto è previsto quanto al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria.

4. – Con il secondo motivo, denunciando nuovamente violazione di norme di diritto, si censura la “erronea restrizione dei presupposti legittimanti il riconoscimento della protezione umanitaria”, per avere la Corte d’appello escluso il diritto alla protezione umanitaria pur in presenza di una documentata situazione di vulnerabilità del ricorrente, costituita dal suo stato di salute e dal positivo percorso di integrazione in Italia intrapreso.

4.1. – Il motivo è infondato, giacchè la protezione umanitaria non può essere riconosciuta per il semplice fatto di versare in non buone condizioni di salute, occorrendo invece che tale condizione sia l’effetto della grave violazione dei diritti umani dell’interessato nel paese di provenienza. Nè rilevano, all’evidenza, le buone prospettive di integrazione in Italia in mancanza del diritto di soggiornarvi”;

che tale relazione è stata notificata agli avvocati delle parti costituite;

che non sono state presentate memorie.

Diritto

CONSIDERATO

Che il Collegio condivide le considerazioni svolte nella relazione sopra trascritta;

che la difesa di parte ricorrente ha invocato a sostegno del ricorso, anche nella discussione orale, un precedente di questa Sezione, l’ordinanza n. 22111 del 2014;

che, però, il precedente richiamato si riferisce ad un caso in cui, essendo stato invocato il presupposto della violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), i giudici di merito avevano negato il riconoscimento della protezione sussidiaria, e conseguentemente di quella umanitaria, per difetto di collegamento della violenza indiscriminata con la vicenda soggettiva del richiedente, mentre questa Corte ha valorizzato, per certi versi, la deduzione di quella situazione oggettiva di violenza indiscriminata anche ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria;che quindi il richiamo di detto precedente non è pertinente, atteso che il ricorrente non riferisce di avere tempestivamente dedotto tale violenza indiscriminata nel corso del giudizio di merito e nello stesso ricorso per cassazione non vi fa che un vago accenno;

che pertanto il ricorso deve essere rigettato;

che le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 2.500 per compensi di avvocato, oltre spese prenotate a debito e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la insussistenza dei presupposti dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2016

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