Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26640 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/11/2020, (ud. 17/07/2020, dep. 24/11/2020), n.26640

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Riccardo – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2069-2013 proposto da:

D.F., D.E., SOCIETA’ FUTURA 88 di D.E. s.n.c.

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 63,

presso lo studio dell’avvocato MARIO CONTALDI, che li rappresenta e

difende;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI AOSTA DIREZIONE REGIONALE VALLE

D’AOSTA;

– intimata –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 4/2012 della COMM.TRIB.REG. di AOSTA,

depositata il 26/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/07/2020 dal Consigliere Dott. RAFFAELE ROSSI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

A seguito di rigetto di interpello disapplicativo (formulato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 8), l’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale della Valle d’Aosta emise nei confronti della società Futura 88 di D.E. & C. s.n.c. (nonchè nei confronti dei soci di essa, D.F. ed D.E.) avviso di accertamento per recupero dell’imposta sui redditi riferita all’anno 2006, fondato sulla ritenuta non operatività della società (in quanto limitata al mero godimento di beni immobili, senza esercizio di attività d’impresa) e sulla conseguente determinazione presuntiva dei redditi secondo i parametri stabiliti dalla L. n. 724 del 1994, art. 30.

L’impugnativa giurisdizionale dell’avviso proposta dai contribuenti, accolta in primo grado, è stata disattesa dalla Commissione Tributaria Regionale della Valle d’Aosta (in appresso, per brevità: C.T.R.) con la sentenza n. 4/01/2012 del 26 ottobre 2012.

Ricorrono per cassazione uno actu la s.n.c. Futura 88 di D.E. & C., D.F. ed D.E., affidandosi a quattro motivi; l’intimata Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione finalizzato alla partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo – cumulativamente ascritto a violazione e falsa applicazione di norme di legge, ad omessa, illogica e contraddittoria motivazione nonchè ad omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione – il ricorrente assume che la pronuncia gravata, facendo indebita applicazione al caso della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4 bis, nella formulazione novellata dalla L. n. 296 del 2006, abbia ritenuto la necessità della prova della esistenza di circostanze straordinarie (e non già di mere situazioni oggettive, come previsto dal disposto ratione temporis applicabile) impeditive del conseguimento dei ricavi e dei redditi minimi presunti, senza peraltro (in ciò risiedendo l’apoditticità e la mera apparenza della motivazione) precisare, in modo chiaro ed univoco, il contenuto della “prova contraria” alla presunzione di legge.

Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

1.1. E’ infondato laddove lamenta un preteso errore nell’individuazione della regula iuris operante nel caso concreto.

In tema di società non operative, la L. n. 724 del 1994, art. 30 è stato interessato nel corso dell’anno 2006 da una duplice novella: dapprima (con il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, comma 15, lett. d) con l’introduzione del comma 4 bis, recante la possibilità per il contribuente di esperire la procedura di interpello volta alla disapplicazione delle norme antielusione; successivamente (con la L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 109, lett. h)) con la modifica di detto comma in senso favorevole al contribuente, consistita nella eliminazione dell’attributo “di carattere straordinario” qualificante le situazioni oggettive impeditive del conseguimento dei redditi e dei ricavi presuntivamente determinati.

Orbene, la C.T.R. non ha affatto applicato detta norma nel tenore più rigoroso e restrittivo per il contribuente: dopo aver riportato sinteticamente l’evoluzione del dettato positivo, non ha fatto alcun cenno all’insussistenza nella specie di circostanze straordinarie bensì, con affermazione più volte reiterata, ha escluso la ricorrenza della prova di situazioni sic et simpliciter oggettive idonee a superare la presunzione di non operatività della società destinataria dell’avviso.

Concordi ed univoci in tal senso i passaggi della motivazione della decisione impugnata in cui, per giustificare la fondatezza della pretesa tributaria azionata, si imputa ai ricorrenti di non aver dimostrato l’esistenza “di situazioni obiettive che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e di proventi, nonchè di reddito, richieste dall’art. 30”, “di specifiche e concrete cause di inidoneità reddituale dei relativi elementi dell’attivo patrimoniale”, “di situazioni oggettive che abbiano impedito il conseguimento dei ricavi e del reddito determinabile ai sensi della L. n. 724 del 1994”: come è evidente, nessun richiamo alla natura straordinaria di dette situazioni.

1.2. Il motivo è inammissibile quando prospetta vizi motivazionali.

In ragione dell’epoca della pronuncia (ottobre 2012) il paradigma di riferimento è rappresentato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134: il sindacato di legittimità, per tale ragione di impugnazione, è consentito soltanto in presenza di un’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, e che si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (sul punto, basti il richiamo a Cass., Sez. U, 22/09/2014, n. 19881 e a Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).

Nella vicenda de qua, la motivazione della pronuncia gravata è ben lungi dall’essere apodittica o meramente apparente: essa illustra invece, con chiarezza e analiticità, le ragioni della insufficienza degli elementi fattuali addotti dal contribuente e si diffonde, altresì, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, sull’oggetto e sul contenuto della dimostrazione occorrente per vincere la presunzione legale di non operatività della società (“la prova dell’obsolescenza dei beni aziendali (..) e della natura e consistenza degli interventi manutentivi posti in essere dall’affittuario”; “incombeva sulla società, inoltre, l’obbligo di dimostrare l’eventuale inidoneità a produrre reddito della restante parte del complesso dei beni aziendali non concessi in locazione”).

2. Con il secondo ed il terzo motivo – affastellando anche qui violazione di norme di diritto, omessa, insufficiente ed illogica motivazione nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio – il ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito abbia valutato non assolto l’onere probatorio gravante sul contribuente benchè la documentazione prodotta dimostrasse:

– l’obsolescenza del bene (impianto di produzione di calcestruzzo) facente parte del ramo di azienda concesso in affitto, il suo non utilizzo per lungo arco di tempo, l’effettuazione di interventi di manutenzione straordinaria a carico dell’affittante (secondo motivo);

– la congruità del canone di affitto concordato tra i contraenti rispetto alle peculiari caratteristiche del bene (natura, vetustà, ubicazione, stato manutentivo), tali da rendere non conseguibile un maggior corrispettivo dalla concessione in godimento (terzo motivo).

2.1. Con il quarto motivo – per omessa, insufficiente ed illogica motivazione e per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio si rileva come la C.T.R. non abbia considerato che il contratto di affitto dell’impianto di produzione di calcestruzzo, quantunque riferito ad un “ramo di attività aziendale” avesse in realtà ad oggetto (circostanza evincibile dai documenti acquisiti) l’intera azienda, e da ciò abbia inferito la disponibilità, da parte della società, di ulteriori beni dei quali non era asseverata l’inidoneità a produrre reddito.

I motivi ora riassunti, congiuntamente esaminabili per la stretta connessione intercorrente tra gli stessi, sono inammissibili.

2.2. Con le doglianze in tal guisa articolate, infatti, in luogo di denunciare l’erronea ricognizione della fattispecie astratta disegnata dalle norme di legge richiamate, il ricorrente allega una (in thesi non corretta) ricostruzione del giudice a quo della concreta vicenda litigiosa a mezzo delle risultanze di causa: operazione attinente non all’esatta interpretazione delle norme di diritto, bensì alla tipica valutazione del giudice del merito, passibile di censura in sede di legittimità unicamente nei ristretti confini del vizio di motivazione.

Ciò precisato, per quanto più innanzi già illustrato, la combinata valutazione delle circostanze di fatto posta dalla C.T.R. a fondamento dell’adottata statuizione non può, in alcun modo, considerarsi apparente, cioè a dire argomentata su elementi privi, ictu oculi, di quella minima capacità rappresentativa suscettibile di giustificare l’apprezzamento compiuto.

Per converso, la lunga dissertazione contenuta nel ricorso introduttivo del presente giudizio non attinge minimamente la soglia minima dell’anomalia motivazionale sussumibile nell’àmbito dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come sopra definito: essa si risolve (e, ad un tempo, si esaurisce) nel richiedere a questa Corte un (inaccettabile) riesame delle emergenze istruttorie, un vaglio su questioni di mero fatto ed un apprezzamento di attendibilità e di concludenza di determinati documenti, attività tutte esclusivamente riservate al giudice di merito ed estranee alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità.

Del pari, le censure del ricorrente non possono essere esaminate nemmeno nel prisma dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti: come condivisibilmente affermato dal giudice della nomofilachia, siffatto vizio non è integrato dall’omesso esame di elementi istruttori o di questioni afferenti l’interpretazione di un contratto, se (come nella specie) il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (da ultimo, ex plurimis, Cass. 13/08/2018, n. 20718; Cass. 29/10/2018, n. 27415; Cass. 08/11/2019, n. 28887; Cass., Sez. U, 27/12/2019, n. 34476).

3. Rigettato il ricorso, non va pronunciata la condanna del ricorrente soccombente alla refusione delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle Entrate vittoriosa: alla mera costituzione in lite dell’Avvocatura dello Stato, con deposito di atto privo di argomentazioni difensive poichè dichiaratamente finalizzato alla “eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ex art. 372 c.p.c.”, non ha fatto seguito lo svolgimento di alcuna attività processuale di deposito di memoria, nè assume rilevanza al riguardo la circostanza che – a seguito della modifica dell’art. 380 bis c.p.c., operata dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1, comma 1 bis, convertito dalla L. n. 197 del 2016 – sia stata preclusa la possibilità dell’audizione della parte in adunanza camerale (così Cass. 07/07/2017, n. 16921).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Quinta Sezione Civile, il 17 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

 

 

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