Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26639 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/11/2020, (ud. 17/07/2020, dep. 24/11/2020), n.26639

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 857-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.B.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 53/2011 della COMM.TRIB.REG. di TORINO,

depositata il 11/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/07/2020 dal Consigliere Dott. RAFFAELE ROSSI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

All’esito di verifica contabile nei confronti di P.B., titolare di ditta individuale esercente attività di “altri lavori di completamento degli edifici”, l’Agenzia delle Entrate, a fronte dell’omessa presentazione di dichiarazione fiscale per l’annualità di imposta 2005, determinava il reddito d’impresa rilevante ai fini delle imposte dirette e dell’IRAP (e il volume d’affari imponibile ai fini IVA) mediante accertamento in via induttiva, quantificando i componenti positivi del reddito rapportando a dodici il fatturato medio mensile risultante dalle fatture attive esibite dal contribuente, relative solo a sei mesi dell’anno, e, con apposito avviso, recuperava a tassazione le imposte IRPEF, IVA ed IRAP, maggiorate di sanzioni ed interessi.

In parziale accoglimento del ricorso spiegato dal contribuente, la Commissione Tributaria Provinciale di Vercelli (con la sentenza n. 42/02/2010) quantificava il reddito imponibile e il volume di affari in misura pari all’importo delle sole fatture attive documentate ed espungeva gli importi ascritti a titolo di sanzioni, ritenendo esente da colpa il contribuente per aver questi affidato ad un professionista l’incarico della compilazione della dichiarazione dei redditi e della successiva sua trasmissione in via telematica.

L’appello interposto dall’Ufficio finanziario veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale di Torino (in appresso, per brevità: C.T.R.) con sentenza n. 53/28/2001 resa in data 10 novembre 2011.

Ricorre per cassazione, articolando tre motivi, l’Agenzia delle Entrate; alcuna attività processuale svolge la parte intimata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso, per violazione e falsa applicazione di plurime disposizioni di legge, si deduce l’erronea applicazione delle norme (in tema di imposte dirette, IRAP ed IVA) regolanti la determinazione del reddito del contribuente sulla base di presunzioni semplici, in caso di omessa dichiarazione fiscale.

Con il secondo motivo, per omessa e insufficiente motivazione su fatti decisivi e controversi in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si assume che la impugnata sentenza, rinviando per relationem alla motivazione della decisione di prime cure, non abbia esaminato nè in alcun modo considerato gli elementi presuntivi addotti dall’Ufficio per la ricostruzione del reddito imponibile.

Le doglianze – avvinte da nesso di stretta connessione e quindi da esaminarsi congiuntamente – sono fondate.

1.1. Secondo il consolidato orientamento espresso da questa Corte, in caso di omessa presentazione delle dichiarazioni reddituali e a fini IVA ad opera del contribuente, l’Amministrazione Finanziaria – i cui poteri trovano fondamento non già nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 (accertamento sintetico) o art. 39 (accertamento induttivo), bensì nell’art. 41 (c.d. accertamento d’ufficio) – può procedere alla ricostruzione del reddito complessivo “sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza”, e, all’uopo, utilizzare qualsiasi elemento probatorio e fare ricorso al metodo induttivo, avvalendosi anche di presunzioni c.d. supersemplici (prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui al citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3), prescindendo, in tutto o in parte, dalle eventuali scritture contabili (ancorchè regolarmente tenute). Qualora l’accertamento sia in tal guisa operato, grava poi sul contribuente, ricorrente in via giurisdizionale, l’onere di fornire prova contraria (con qualsiasi mezzo: così Cass. 13/02/2019 n. 4212; Cass. 15/11/2018 n. 29479), di confutare cioè la ricostruzione reddituale compiuta dall’Ufficio e di indicare elementi intesi a dimostrare che il reddito non sia stato prodotto o sia stato prodotto in misura inferiore a quella indicata, senza che a tale onere possa supplire un apprezzamento discrezionale del giudice tributario (ex plurimis, Cass. 17/07/2019, n. 19191; Cass. 15/06/2017, n. 14930; Cass. 20/01/2017, n. 1506; Cass. 03/10/2007, n. 20708; Cass. 13/02/2006, n. 3115).

Analogamente, in tema di IVA, in caso di mancata presentazione della dichiarazione annuale, l’Ufficio impositore è abilitato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55 a determinare induttivamente l’ammontare imponibile e l’aliquota “sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’Ufficio”, determinandosi anche in tale evenienza l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, tenuto a vincere con dati certi, supportati da idonea documentazione probatoria, le presunzioni alla base dell’avviso di accertamento (così Cass. 22/01/2014, n. 1240; Cass. 04/12/2015, n. 24778; Cass. 24/02/2017, n. 4785).

1.2. Dagli enunciati principi si è discostata l’impugnata pronuncia.

Invero, la C.T.R., nel confermare la decisione di prima istanza, pur rilevando che “nel caso in esame il comportamento del contribuente integrava gli elementi indiziari richiesti ai fini della legittimità dell’accertamento induttivo” ha proceduto, in accoglimento delle deduzioni del contribuente, a rideterminare il reddito imponibile in entità ragguagliata all’importo delle sole fatture attive, assumendo che “non si capisce la ragione in forza della quale sarebbe lecito presumere che il reddito medio mensile (calcolato sulla base delle predette fatture) debba essere applicato anche in relazione ai sei mesi in cui non risultano emesse fatture”.

La testè trascritta argomentazione integra (come puntualmente censurato dal ricorrente ed apprezzabile da questa Corte in ragione dell’epoca di emissione della pronuncia, anteriore alla riforma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) motivazione insufficiente – in quanto mancante dell’apprezzamento degli indici presuntivi fondanti l’accertamento del reddito compiuto dall’ufficio – ed altresì illogica e contraddittoria, in tutta evidenza ponendosi la premessa svolta in antitesi con la conclusione esplicitata.

Ancora (e soprattutto): il percorso argomentativo del giudice di merito sovverte l’innanzi illustrato criterio di riparto dell’onere probatorio in tema di accertamento di ufficio.

In presenza di elementi a valenza presuntiva di sicura pregnanza astrattamente giustificanti l’operato dell’Amministrazione finanziaria (il riscontro della partita IVA attiva per l’intera annualità d’imposta, l’esistenza di fatture di costo e di acquisti documentati di materiale nel mese di settembre, epoca successiva all’ultima fattura attiva emessa nell’anno) e legittimanti il convincimento della continuità dell’impresa per l’intero corso dell’anno, la C.T.R. non avrebbe potuto sic et simpliciter quantificare in misura differente il reddito imponibile, dovendo invece valutare la idoneità e concludenza degli argomenti di prova (eventualmente) dedotti dal contribuente a confutazione dell’accertamento.

2. Con il terzo motivo, per violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5 e del D.P.R. n. 322 del 1998, artt. 2 e 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si censura la ritenuta inapplicabilità delle sanzioni (e, quindi, la dichiarata illegittimità dell’avviso nella parte relativa alla comminatoria di esse) motivata, nella gravata pronuncia, sul fatto che “il contribuente, affidato ad un professionista di sua fiducia il compito di predisporre la dichiarazione dei redditi e di provvedere poi al suo inoltro in via telematica, ed avendo mantenuto con detto professionista i necessari contatti, ha agito secondo una diligenza media che vale a sottrarlo dall’assoggettamento a sanzioni per la mancata trasmissione”.

Sostiene per contro il ricorrente che, atteso il carattere personale e non delegabile dell’obbligo dichiarativo su di lui gravante, il contribuente, al fine di escludere ogni profilo di negligenza, sia tenuto a controllare l’effettiva esecuzione degli adempimenti fiscali affidati (in base ad un rapporto giusprivatistico, ex se non opponibile al fisco) al professionista (in specie, in caso di invio telematico, attraverso la consultazione del servizio Entrate o la richiesta a qualunque Ufficio delle Entrate), sicchè la omessa presentazione determina una culpa in vigilando in capo allo stesso contribuente, giustamente passibile delle previste sanzioni.

La doglianza è fondata e merita accoglimento.

2.1. Come ha già avuto modo di chiarire questa Corte, in tema di sanzioni per le violazioni di disposizioni tributarie, secondo le regole generali dell’illecito amministrativo, la prova dell’assenza di colpa grava sul contribuente, il quale risponde per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del professionista incaricato della relativa trasmissione telematica ove non dimostri di aver vigilato su quest’ultimo, tenendo condotte agevolmente realizzabili senza eccessivo sforzo (quali la richiesta di copia della ricevuta di trasmissione della dichiarazione), non essendo invece sufficiente, per l’esonero da responsabilità, la mera proposizione di una denuncia penale nei confronti del professionista (tra le tante, cfr. Cass. 02/03/2020, n. 5661; Cass. 15/05/2019, n. 12901; Cass. 20/07/2018, n. 19422; Cass. 17/03/2017, n. 6930).

Nella vicenda, un’attività di controllo del genere non è stata nemmeno allegata dal contribuente, ragion per cui non è conforme a diritto il suo esonero dagli importi intimati a titolo di sanzioni.

3. In sintesi, accolti tutti i motivi di ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale di Torino, in diversa composizione, cui è demandata anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale di Torino, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Quinta Sezione Civile, il 17 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

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