Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26637 del 30/09/2021

Cassazione civile sez. I, 30/09/2021, (ud. 12/05/2021, dep. 30/09/2021), n.26637

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21075/2020 proposto da:

S.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Davide Verlato,

domiciliato presso la Cancelleria della Corte;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato domiciliato in Roma, via

dei Portoghesi n. 12, costituito al solo fine di partecipare ex art.

370 c.p.c., comma 1, all’eventuale udienza di discussione della

controversia;

– resistente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA n. 382/20,

depositata il 6 febbraio 2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/5/2021 dal Consigliere GORI PIERPAOLO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. Con sentenza numero 382 del 2020 depositata il 6 febbraio 2020 nel processo iscritto al numero di registro 710 del 2018 la Corte d’appello di Venezia rigettava l’appello di S.S. avverso l’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., del Tribunale di Venezia pronunciata in data 29 gennaio 2018 con la quale era stata rigettata l’opposizione avverso il decreto che aveva negato lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria nonché quella umanitaria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e il Testo Unico immigrazione, art. 5 comma 6.

2. In particolare, il ricorrente rendeva noto di essere cittadino senegalese e di aver dovuto lasciare il Paese, a seguito della morte del fratello avvenuta 10 anni prima, per effetto delle conseguenze della guerra civile in Casamance, propria regione di provenienza, conflitto non ancora del tutto risolto. Abbandonato il Senegal, attraverso il Mali, il Burkina Faso e il Niger giungeva infine in Libia e, quindi, in Italia.

3. Contro tale decisione propone ricorso il richiedente per due motivi mentre il Ministero dell’Interno si è costituito con mera comparsa ai fini dell’eventuale partecipazione alli udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

4. Con il primo motivo di ricorso – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – viene dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in tema di onere della prova e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in tema di disponibilità e valutazione delle prove in sede processuale, nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 comma 2 e art. 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e c), in tema di criteri applicabili all’esame della domanda di protezione, per essere stata l’istruttoria carente ed incompleta. Nel dettaglio – nel corpo della censura – il richiedente deduce che una dovuta istruttoria avrebbe potuto condurre ad un favorevole esito, tanto con riferimento alla domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b) o c), quanto con riferimento a quelle di protezione umanitaria.

5. Con il secondo motivo di ricorso – formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – viene prospettato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione alle richieste contenute nel ricorso di primo grado di concessione di un permesso per motivi umanitari. Viene inoltre dedotta l’assenza o carenza di motivazione in punto di rigetto della domanda di protezione umanitaria nonché l’erronea valutazione e il difetto di motivazione sulla sopravvenuta integrazione del richiedente in Italia agli effetti del giudizio sulla vulnerabilità del cittadino straniero in violazione anche dell’art. 8 CEDU e art. 19, comma 1 e comma 1.1. del TU Immigrazione. Nel corpo del motivo viene anche prospettata la mancata valutazione del principio di non refoulement e del passaggio in Libia ove sarebbe stato trattenuto per parecchi mesi, anche in carcere per qualche tempo, subendo maltrattamenti e lesioni della dignità umana.

6. I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, incentrati sulla protezione sussidiaria ed umanitaria e sugli obblighi di cooperazione istruttoria indipendentemente dalla ritenuta non credibilità del racconto, sotto i due angoli della violazione di legge e del vizio motivazionale, e sono infondati.

Innanzitutto non è condivisibile la deduzione secondo cui la Corte d’appello avrebbe mancato di esercitare la cooperazione istruttoria, e di valutare i profili di vulnerabilità del ricorrente per la semplice sua non credibilità. A differenza di quanto ritenuto dal richiedente in ricorso, la Corte d’appello ha assolto agli obblighi di cooperazione istruttoria con riferimento alle condizioni del Paese di origine (Senegal), richiamando quanto al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) puntuali e aggiornate fonti conoscitive internazionali (tra cui COI Easo Senegal Focus Paese 2018, cfr. p.11 della sentenza gravata).

7. Inoltre la Corte d’appello prende in carico anche l’allegazione di violazione dei diritti inviolabili dell’uomo, vagliandole e non condividendole. Tale statuizione è argomentata, con riferimenti circostanziati al racconto del richiedente, tanto avuto riguardo alla richiesta di protezione sussidiaria quanto a quella umanitaria. Ne’ sussiste un pari obbligo di cooperazione con riferimento alla lett. b) allorquando, come nel caso di specie, alla ritenuta e motivata assenza di credibilità del dichiarante (cfr. Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 16122 del 28/07/2020) si aggiunga il fatto che le censure non sono individualizzate.

8. Orbene, gli accertamenti in fatto operati dalla Corte d’appello e sopra riassunti, che implicano anche l’esercizio di reperimento di informazioni d’ufficio, adempimento esercitato già in primo grado e ribadito dalla sentenza impugnata nel quadro dei poteri devolutivi del giudice di appello, non sono superati dalle deduzioni contenute nei motivi in esame ma, in sintesi, alle statuizioni in fatto adottate dal giudice di appello viene semplicemente contrapposta una ricostruzione diversa secondo cui vi sarebbero serie compressioni di diritti fondamentali a danno del richiedente, deduzioni tuttavia non supportate da allegazioni in fatto circostanziate ma assolutamente generiche (la libertà di espressione e di riunione ecc…) senza indicazione e riproduzione puntuale di fonti e di circostanze di fatto decisive.

Inoltre il ricorrente non ha allegato COI aggiornate e attendibili dimostrative dell’esistenza, nella regione di provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, di indicarne gli estremi e di riassumerne (o trascriverne) il contenuto, al fine di evidenziare che, se il giudice ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso, non potendo altrimenti la Corte apprezzare l’astratta rilevanza del vizio dedotto e, conseguentemente, valutare l’interesse all’impugnazione ex art. 100 c.p.c. dell’accertamento sfavorevole operato dalla Corte territoriale (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 21932 del 09/10/2020, Rv. 659234 – 01).

9. Va al proposito ribadito che il dovere di cooperazione istruttoria del giudice è sì disancorato dal principio dispositivo e libero da preclusioni e impedimenti processuali, ma presuppone l’assolvimento da parte del richiedente dell’onere di allegazione dei fatti costitutivi della sua personale esposizione a rischio, a seguito del quale opera il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine del richiedente si verifichino fenomeni tali da giustificare l’applicazione della misura richiesta, non potendosi considerare fatti di comune e corrente conoscenza quelli che vengono via via ad accadere nei Paesi estranei alla Comunità Europea (cfr. quanto alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 11096 del 19/04/2019 e, quanto all’umanitaria, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 14548 del 09/07/2020, Rv. 658136 – 01), al fine di contrastare gli specifici accertamenti in fatto a sé sfavorevoli operati dalla Corte d’appello.

10. Nel caso di specie, il giudice d’appello ha argomentatamente accertato in fatto che nella fattispecie mancano i presupposti per accedere alle forme di protezione richieste, ed è carente di decisività l’allegazione contraria del contribuente, sia con riferimento al Paese di origine, Senegal, sia quanto alle violenze subite nei Paesi di passaggio, Mali, Burkina Faso e Libia, per arrivare in Italia, sia circa la non violazione del principio del non refoulement. Ciascuno di tali aspetti è stato espressamente oggetto di valutazione da parte della Corte d’appello (e la valutazione della sicurezza nel Paese al punto 3.2 della decisione è all’evidenza pertinente, cfr. Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 21932 del 09/10/2020) e le censure del ricorrente non sono adeguatamente sostanziate e personalizzate.

11. In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato e, in assenza di svolgimento di difese effettive da parte del Ministero, nessuna statuizione dev’essere adottata sulle spese di lite.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza allo stato dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021

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