Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26637 del 12/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 12/12/2011, (ud. 18/11/2011, dep. 12/12/2011), n.26637

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.B., rappresentata e difesa, in forza di procura

speciale in calce al ricorso, dagli Avv. Mansuelli Ferdinando e

Camillo Romano, elettivamente domiciliata nello studio di

quest’ultimo in Roma, piazza Dell’Unità, n. 24;

– ricorrente –

contro

F.A.;

– intimato –

per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione, 2^

sezione civile, 5 novembre 2009, n. 23494.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18 novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 5 settembre 2011, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.: “La s.p.a. Smirne, con contratto preliminare redatto dal notaio F., prometteva di vendere a C.B. un appartamento in (OMISSIS). La promittente acquirente si obbligava ad aderire al costituendo condominio e ad osservare il regolamento condominiale che doveva essere approvato, unitamente alle relative tabelle millesimali. Nell’occasione il notaio riceveva dalla C. un libretto di deposito a risparmio al portatore contenente la somma di L. 12.000.000 unitamente a lettera d’incarico fiduciario irrevocabile di disposizione dello stesso, con la previsione che l’apertura della busta doveva effettuarsi a trascrizione avvenuta del rogito di compravendita e comunque entro e non oltre una certa data (30.04.1980). Il rogito veniva stipulato in data 24.3.1980 e con esso l’acquirente si obbligava ad “aderire al condominio esistente” e dichiarava di “accettare le tabelle millesimali” che si trovavano allegate ad altro precedente rogito stipulato dallo stesso notaio in data 18.12.1979 (rogito Davoli).

La C. citava in giudizio il notaio F. per ivi sentir accertare e riconoscere la responsabilità di questo per i fatti esposti in narrativa e la sua condanna al risarcimento dei danni morali e materiali, da quantificarsi nel corso del giudizio.

Affermava l’attrice la responsabilità del professionista, che avrebbe illegittimamente svincolato e consegnato alla società venditrice la somma contenuta nel libretto al portatore, nonchè taciuto, in sede di stipula del rogito, dell’avvenuto mutamento delle tabelle millesimali rispetto a quelle esistenti al momento della redazione del contratto preliminare.

Il notaio F. contestava la domanda attrice assumendo di avere regolarmente assolto a tutti i propri obblighi professionali.

Il Tribunale di Bologna rigettava la domanda con la sentenza n. 480/1985, confermata anche in sede di gravame dalla Corte d’Appello di Bologna con la decisione n. 731/1997, avverso la quale la C. proponeva ricorso per Cassazione sulla base di quattro doglianze.

Con sentenza 6514/2000 venivano accolti per quanto di ragione il primo ed il secondo motivo, essendo stata ritenuta erronea la sentenza di secondo grado che aveva considerato “ultronei e defatigatori” i mezzi istruttori richiesti dalla ricorrente.

Il giudizio veniva quindi riassunto dalla C.. Il giudice del rinvio ammetteva le prove richieste (interrogatorio formale e testi);

quindi, con sentenza n. 718/2004, accoglieva le domande proposte da C.B. nei confronti del notaio F.A. e per l’effetto, riconosciuta la responsabilità professionale di quest’ultimo, lo condannava al pagamento in favore della C. della somma di L. 12.000.000, oltre accessori.

Avverso la suddetta pronuncia F.A. proponeva ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi ai quali resisteva la C..

Con sentenza 5/11/2009 la Corte di Cassazione rigettava il primo motivo di ricorso e accoglieva i restanti motivi, osservando: che con il secondo motivo del ricorso il F. aveva denunciato la contraddittorietà della motivazione, sottolineando che la somma di L. 12.000.000, liquidata in favore della C. a titolo di risarcimento del danno, non poteva ritenersi alla stregua di una caparra confirmatoria – come sostenuto dal giudice a quo – trattandosi invece del residuo prezzo della compravendita; che con il terzo motivo il ricorrente aveva denunciato la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e artt. 1123 e 2697 c.c., sostenendo che la C. non aveva dato la prova del danno che assumeva di aver subito “sia sotto il profilo dell’an che del quantum”; che le due doglianze – da esaminare congiunta mente stante la loro stretta connessione – erano fondate, risultando evidente che, se anche la somma ricordata di L. 12.000.000 fosse configurabile come caparra confirmatoria, questa non corrispondeva certo al danno subito per la perdita di una quota di comproprietà del cortile condominiale; che peraltro la caparra, potendo spiegare i suoi effetti solo tra le parti contraenti, non poteva spiegare effetti nei confronti di un terzo come il notaio F.; che mancava quindi la prova del danno, sia in punto di an che di quantum e che tale onere probatorio, in forza dei principi generali di cui all’art. 2697 c.c., incombeva alla C..

Avverso la detta decisione, B.C. ha proposto ricorso per revocazione con ricorso affidato ad un solo motivo.

L’intimato F.A. non ha svolto attività difensiva.

Con l’unico motivo di ricorso la C. sostiene che la Corte di Cassazione è incorsa in errore revocatorio sotto il profilo della esclusione della realtà di fatti viceversa positivamente affermati in corso di causa, avendo affermato che essa ricorrente non aveva fornito la prova dei danni patiti mentre al contrario due fatti sono incontestabili e certi sulla base degli atti e dei documenti acquisiti: 1) la mancata acquisizione della comproprietà del cortile; 2) la consegna a parte venditrice della somma vincolata a garanzia del corretto adempimento del preliminare. Con l’atto di riassunzione essa C. aveva chiesto la condanna del convenuto a titolo di risarcimento danni al pagamento di L. 12 milioni, posto che tale importo era stato consegnato al notaio e vincolato a garanzia dell’adempimento del preliminare. Pertanto l’affermazione della responsabilità del notaio stride con la presunta affermazione della mancanza della prova del danno che peraltro contrasta con la verità dei fatti quale risulta dalla carte processuali. Il relatore ritiene inammissibile il ricorso in guanto i prospettati errori sono diversi dall’errore di fatto di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4. Al riguardo va richiamato il principio, pacifico nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, la configurabilità dell’errore revocatorio presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale, quale documentata in atti, induce ad escludere od ad affermare; non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione. Pertanto l’errore di fatto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettivita; ne consegue che non è configurabile l’errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico- giuridico (tra le tante, decisione 22/6/2007, n. 14608). Da quanto precede discende l’impossibilità di configurare errore revocatorio nel giudizio espresso da questa Corte nell’impugnata sentenza 23494/09 in ordine alla mancata prova del danno subito dalla C.. La Corte è pervenuta a tale conclusione – in accoglimento delle censure mosse dal F. alla sentenza di rinvio – dopo aver valutato al fine in questione gli effetti derivanti dal versamento da parte della C. della somma di L. 12 milioni ed escludendo la corrispondenza di tale somma al danno per la perdita della comproprietà del cortile condominiale in questione.

E’ evidente che eventuali errori o incompletezze della menzionata attività di disamina svolta da questa Corte attengono solo alla valutazione delle risultanze probatorie con particolare riferimento al versamento della somma di L. 12 milioni effettuato dalla C..

Con la domanda revocatoria la ricorrente ha in sostanza cercato di provocare un riesame del pregresso giudizio di legittimità denunciando non un errore nella percezione ma un errore di valutazione ed un errore di giudizio formatosi sulla base di una valutazione. Va infine aggiunto che, comunque, con la sentenza impugnata la Corte ha deciso su un punto oggetto di contrasto tra le parti”.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi rilievi critici;

che pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione sesta civile – 2, della Corte suprema di Cassazione, il 18 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2011

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