Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26631 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/11/2020, (ud. 01/07/2020, dep. 24/11/2020), n.26631

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18371/2014 R.G. proposto da:

R.A., elett.te dom.ta in Roma alla via della Conciliazione n.

44, presso lo studio dell’avv. Luca Di Pretoro, unitamente all’avv.

Maria Assunta Bovio da cui è rapp.ta e difesa come da procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elett.te

domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 905/33/14 della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, depositata il 3/2/2014, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1

luglio 2020 dalla Dott.ssa Milena d’Oriano.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

1. con sentenza n. 905/33/14, depositata il 3 febbraio 2014, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Campania accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 152/2/12 della Commissione Tributaria Provinciale di Benevento, con compensazione delle spese di lite;

2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di una cartella di pagamento relativa all’imposta di registro richiesta in relazione ad una sentenza del Tribunale di Benevento con cui era stato disposto il trasferimento ex art. 2932 c.c. di un appartamento sito nel Comune di San Giorgio del Sannio in favore della R. e del coniuge; la contribuente eccepiva che nelle more del giudizio di appello, a seguito di una transazione con la parte venditrice, era stato stipulato un contratto di compravendita già sottoposto ad imposta e lamentava pertanto una duplicazione di imposta;

3. la CTP di primo grado aveva accolto il ricorso, sul presupposto che la sentenza ex art. 2932 c.c. avesse natura meramente dichiarativa e che la tassa non potesse essere richiesta prima dell’effettivo trasferimento del bene;

4. la CTR, rilevato che la cartella esattoriale era stata emessa sulla base della sentenza passata in giudicato con cui era stato rigettato il ricorso proposto avverso l’avviso di liquidazione in precedenza notificato alla contribuente, avente ad oggetto la medesima imposta, in riforma della decisione di primo grado, dichiarava l’inammissibilità del ricorso con cui erano stati fatti valere vizi propri di un atto ormai divenuto definitivo per il passaggio in giudicato della sentenza che aveva rigettato il ricorso avverso lo stesso proposto;

5. avverso la sentenza di appello, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, consegnato per la notifica in data 11 luglio 2014, affidato ad un unico ma articolato motivo, e depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c.; l’Agenzia si costitutiva tardivamente, ai soli fini della eventuale partecipazione all’udienza.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con un motivo articolato su tre punti la ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, l’errata e insufficiente motivazione del fatto controverso e decisivo per il giudizio già oggetto di discussione tra le parti, l’illegittimità della cartella esattoriale e la violazione del principio del ne bis idem, censurando l’impugnata sentenza per non aver considerato che al momento in cui si era formato il giudicato l’atto di compravendita era già stato stipulato ed il tributo già pagato, che la sentenza oggetto di imposizione aveva natura dichiarativa, che le condizioni della compravendita erano state modificate dalle parti, che andavano ritenuti autonomamente impugnabili tutti gli atti idonei a portare a conoscenza la pretesa impositiva.

OSSERVA CHE:

1. Il ricorso è inammissibile.

1.1 La sentenza impugnata si fonda su di un’unica e chiara ratio decidendi, che ha portato la CTR a dichiarare inammissibile il ricorso originario della contribuente che aveva ad oggetto una cartella esattoriale emessa sulla base di un avviso di liquidazione, già impugnato dalla parte e divenuto definitivo a seguito del passaggio in giudicato di altra sentenza emessa dal giudice tributario, rilevando che la cartella era stata impugnata non per far valere vizi propri, bensì vizi relativi all’avviso reso già incontrovertibile dal giudicato.

Il motivo – con una formulazione ai limiti dell’ammissibilità, in quanto censura la decisione della CTR sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegati in modo specifico alle fattispecie tassative di vizio enucleate dall’art. 360 c.p.c., privi dell’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente violazioni di singole norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione – non si confronta in alcun modo con l’assunto posto a fondamento della decisione, da individuarsi appunto nella definitività dell’atto presupposto della cartella, conseguente al passaggio in giudicato della sentenza che aveva concluso il giudizio avente ad oggetto la sua impugnazione, ma si limita a riproporre doglianze attinenti al merito della pretesa.

1.2 Ebbene il motivo che non si correla alla ratio decidendi effettiva della sentenza, ed anzi ne postula una inesistente, è inammissibile alla stregua del principio di diritto (già affermato da Cass. n. 359 del 2005, seguita da numerose conformi, fatto proprio dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 7074 del 2017 e già anteriormente da Sez. U n. 16598 e n. 22226 del 2016), secondo cui: “Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4″.

2. In ogni caso la sentenza risulta conforme a principi consolidati in base ai quali la cartella esattoriale recante intimazione di pagamento di credito tributario, avente titolo in un precedente avviso di accertamento notificato a suo tempo e non impugnato, o divenuto definitivo a seguito di giudicato, può essere contestata innanzi agli organi del contenzioso tributario, ed essere da essi invalidata, solo per vizi propri, ma non già per vizi suscettibili di rendere nullo o annullabile l’avviso di accertamento presupposto (Vedi Cass. n. 25995, n. 12244 e n. 11610 del 2017; n. 4818 del 2015).

2.1 Rileva inoltre, nella specie, che indubbiamente il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino, cui corrisponde il dovere di collaborazione della P.A., reso esplicito in materia tributaria dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 1, (Statuto dei diritti del contribuente), trova origine nei principi affermati dagli artt. 3,23,53 e 97 Cost.., espressamente richiamati dall’art. 1 del medesimo statuto, ed è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico, costituendo uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazioni di cui limita l’attività legislativa e amministrativa (vedi Cass. n. 21513 del 2006 e n. 370 del 2019), tuttavia, l’attuazione del principio dell’affidamento non può che soggiacere alle ordinarie regole processuali, sicchè, il contribuente che intenda contestare una pretesa a suo giudizio divenuta illegittima per circostanze sopravvenute ha l’onere di farle valere tempestivamente in giudizio (Vedi Cass. n. 4614 del 2018).

2.2 Nel caso in esame la contribuente, a fronte di un atto di compravendita stipulato il 23-7-09, avrebbe potuto e dovuto far valere tale circostanza nel giudizio tributario in corso o impugnare la decisione della CTP del 3-5-10 che aveva respinto il suo ricorso avverso l’avviso di liquidazione, senza attendere che la formazione del giudicato sulla legittimità di quell’avviso le precludesse il dedotto ed il deducibile, residuandole allo stato, come unica possibilità, quella di esercitare il diritto alla restituzione dell’imposta in presenza dei presupposti indicati dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 37.

3. In assenza di censure in ordine all’unica ratio decidendi, il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

3.1 Nulla sulle spese, stante l’omesso deposito di memorie nel termine di cui all’art. 380-bis 1 c.p.c. da parte dell’Agenzia, tardivamente costituita.

3.2. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, in quanto notificato dopo tale data, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione dichiarata inammissibile.

P.Q.M.

La Corte, dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

 

 

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