Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26630 del 21/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 21/12/2016, (ud. 10/11/2016, dep.21/12/2016),  n. 26630

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4487-2016 proposto da:

C.P., elettivamente domiciliato in ROMA, CIRCONVALLAZIONE

CLODIA 29, presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA BUSUITO,

rappresentato e difeso dall’avvocato RICCARDO LEONARDI giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositato il

07/08/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso depositato in data 5 dicembre 2014, C.P. proponeva opposizione avverso il decreto del Consigliere delegato del 5/11/2014 con il quale era stato rigettato il ricorso per equa riparazione ex lege n. 89 DEL 2001, presentato in data 30/10/2013, e relativo alla pretesa durata irragionevole del processo penale all’esito del quale la Corte d’Appello di Ancona lo aveva assolto con sentenza del 30 luglio 2012.

La Corte di Appello di l’Aquila, in composizione collegiale, con decreto del 7/8/2015, riteneva effettivamente inapplicabile alla fattispecie la previsione di cui all’art. 2, comma 2 quinquies, lett. e), concernente la presentazione dell’istanza di accelerazione, la cui assenza aveva indotto il Consigliere delegato a rigettare la domanda del C., ma nel merito reputava che la richiesta non potesse comunque trovare accoglimento.

A tal fine rilevava che il processo in primo grado, nel quale il C. aveva assunto la qualità di imputato, si era concluso in data 22/7/2005 con la pronuncia di non doversi procedere per rimessione della querela sporta nei confronti del ricorrente, e quindi nel rispetto del termine di durata ragionevole di tre anni (il cui dies a quo andava individuato nella data dell’11/12/2002, allorquando l’imputato aveva avuto conoscenza dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari), ma che era stato lo stesso ricorrente a proporre appello al fine di essere assolto con la formula ampia per non aver commesso il fatto.

Effettivamente la decisione della Corte distrettuale, che aveva riconosciuto la fondatezza della richiesta dell’appellante, era intervenuta oltre il termine ragionevole previsto per la definizione del processo, ma ad avviso del decreto impugnato, doveva ritenersi che fosse stata vinta la presunzione circa l’esistenza di un danno non patrimoniale subito dal C. per la durata eccessiva del procedimento penale.

In particolare, doveva negarsi tale pregiudizio quando, in base alla valutazione, insindacabile in sede di legittimità, del giudice di merito, si ravvisino particolari circostanze idonee ad escludere la configurabilità di qualsivoglia patimento o stress, ricollegabile all’irragionevole protrarsi del giudizio.

Nella fattispecie, l’imputato era stato destinatario in primo grado di una pronuncia di non doversi procedere, per intervenuta rimessione della querela, sicchè, avendo egli stesso proposto appello, era consapevole dell’esito comunque positivo del giudizio penale, e per l’effetto doveva ritenersi che non fosse stata raggiunta la soglia minima di gravità al di sotto della quale il danno non è indennizzabile.

Per la cassazione di questo decreto il ricorrente ha proposto ricorso affidato a due motivi.

L’intimato Ministero non ha svolto difese in questa fase.

Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2012, art. 2 così come introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012 nonchè dell’art. 6 della CEDU. Si deduce che poichè ai sensi dell’art. 6 della CEDU ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, sussisteva il pieno diritto del ricorrente ad ottenere una pronuncia di merito che ne accertasse la totale estraneità rispetto ai fatti contestatigli, non potendo pretendersi che si dovesse accontentare di una pronuncia di carattere procedurale, quale quella adottata dal Tribunale.

Inoltre, non avendo le capacità tecniche per poter prevedere gli esiti del processo, non poteva avere la consapevolezza, al momento della proposizione dell’appello, che il giudizio di secondo grado si sarebbe concluso con la pronuncia a lui più favorevole, il che conferma la sussistenza di una sofferenza piscologica scaturente dal protrarsi del giudizio in sede di appello.

Inoltre l’esigenza di conseguire una sentenza che accerti la propria innocenza non può far ritenere che la posta in gioco sia esigua.

Il secondo motivo denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 111 e 24 Cost., con riferimento alla violazione del diritto ad una ragionevole durata del giudizio e del diritto di difesa.

Infatti la adozione di una definizione in rito del processo, così come operata dal Tribunale, non può far ritenere che il processo sia giusto, essendo legittima l’aspirazione del ricorrente ad una statuizione sul merito della propria innocenza o colpevolezza.

I due motivi che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, impongono la cassazione del decreto impugnato.

Emerge appunto che il ricorrente, sebbene il giudizio penale in primo grado avesse avuto per lui esito favorevole, ancorchè in ragione di una definizione a carattere esclusivamente processuale, ha legittimamente, ed al fine di perseguire l’obiettivo di una decisione di merito che ne accertasse la totale innocenza nel merito, impugnato la sentenza del Tribunale, mostrando quindi di avere un interesse indubbiamente meritevole di tutela e considerazione, ad una definizione del processo che lo riguardava, al fine appunto di fruire di una più ampia formula assolutoria nel merito.

Ad avviso della Corte la circostanza che, anche in caso di rigetto dell’appello proposto, non vi sarebbero state ricadute pregiudizievoli in punto di affermazione della sua responsabilità penale, se può sicuramente incidere sulla individuazione dell’ammontare del pregiudizio ricollegabile alla durata irragionevole del processo, non esclude tuttavia che, proprio alla luce dell’intento commendevole di ottenere un accertamento pieno della propria innocenza, che il protrarsi oltre i termini di ragionevolezza del processo possa avere determinato un pregiudizio suscettibile di essere indennizzato ai sensi della L. n. 89 del 2001.

D’altronde, la stessa giurisprudenza di questa Corte, nell’esaminare casi in cui ha escluso che fosse anche in astratto prospettabile un pregiudizio per la parte di un processo ha preso in considerazione l’atteggiamento neghittoso o di totale disinteresse della parte stessa (cfr. Cass. n. 24696/2011), che, per quanto ora esposto, deve sicuramente escludersi che abbia connotato la condotta del ricorrente (in tal senso si veda anche Cass. n. 11936/2015, a mente della quale anche l’esiguità del valore monetario del giudizio presupposto inferiore ai cinquecento Euro – non esclude la tutela indennitaria, se l’apprezzamento concreto della fattispecie faccia emergere un effettivo interesse alla decisione).

La differenza tra una definizione del processo penale in rito ed una assoluzione nel merito non si palesa come priva di rilevanza, quanto meno sul piano morale e per ciò che attiene all’interesse dell’imputato alla tutela della propria reputazione sociale, sicchè il protrarsi del processo in grado di appello non consente di affermare che la lite avesse rivestito ormai carattere bagatellare o che la posta in gioco, sempre per l’imputato, fosse del tutto irrilevante e tale da fargli perdere ogni concreto interesse (cfr. a tal fine, Cass. n. 633/2014).

Il ricorso pertanto deve essere accolto, ed il decreto impugnato deve essere cassato con rinvio alla Corte di Appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione sesta civile – 2 della Corte suprema di cassazione, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2016

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