Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26628 del 21/12/2016

Cassazione civile, sez. VI, 21/12/2016, (ud. 10/11/2016, dep.21/12/2016),  n. 26628

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3058/2016 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. BAIAMONTI

10, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE PONTORIERO, che lo

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO;

– resistente –

avverso il decreto n. 5762/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositato il 03/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Pasquale Pontoriero per il ricorrente.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Salerno, il ricorrente chiedeva la condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione per la irragionevole durata del procedimento penale svoltosi dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia, nel quale aveva assunto la qualità di imputato e che si era protratto dal maggio del 2007 sino alla data dell’8 aprile 2013, allorchè era stata emessa sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato.

Poichè il procedimento aveva avuto una durata complessiva di anni sei, aveva maturato il diritto alla liquidazione dell’equo indennizzo ai sensi della L. n. 89 del 2001.

Con decreto del 10/9/2014 il Consigliere delegato della Corte d’Appello di Salerno rigettava la domanda osservando che ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma quinquies, lett. e), così come introdotto dalla L. n. 134 del 2012, in assenza del deposito dell’istanza di accelerazione non poteva riconoscersi alcun indennizzo. Poichè il ricorrente non aveva provveduto a depositare nei trenta giorni dall’entrata in vigore della novella la detta istanza, il ricorso non poteva essere accolto.

A seguito di opposizione del C., la Corte di Appello in composizione collegiale, con decreto del 3/11/2015, confermava la decisione del Consigliere delegato, ritenendo che la modifica normativa era destinata a trovare immediata applicazione, ed anche per chi già si trovava nella situazione prevista dalla legge, decorrendo in tal caso il termine per la presentazione dell’istanza dalla data di entrata in vigore della legge stessa.

Confortava tale convincimento la previsione di cui all’art. 252 disp. att. c.c., la quale prevede che, in caso di prescrizione o di decadenza, ove il legislatore introduca un termine più breve, questo si applica anche all’esercizio di diritti sorti anteriormente o alle prescrizioni e usucapioni in corso, ma con decorrenza dalla entrata in vigore della nuova disciplina, ben potendosi estendere tale disposizione anche all’ipotesi in cui la legge posteriore introduca ex novo un termine di decadenza prima inesistente.

Per la cassazione di questo decreto il ricorrente ha proposto ricorso affidato ad un solo motivo.

L’intimato Ministero ha resistito ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione.

Con un solo motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2012, art. 2, comma 2 quinquies, lett. e), così come introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012, nella parte in cui lo si interpreta nel senso che la mancata presentazione dell’istanza di accelerazione nei trenta giorni dall’entrata in vigore della legge determina la perdita del diritto all’indennizzo anche nel caso in cui il processo penale avesse avuto una durata eccedente i termini previsti dalla legge in epoca anteriore all’entrata in vigore della novella. Si sostiene che in realtà la norma dovrebbe essere interpretata nel senso che dal calcolo per la determinazione dell’indennizzo andrebbe escluso il periodo di tempo successivo al 12 settembre 2012, restando intatto il diritto del ricorrente per il ritardo già anteriormente verificatosi.

Il motivo è fondato.

Ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-quinquies, lett. e), come introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, “Non è riconosciuto alcun indennizzo: (…) e) quando l’imputato non ha depositato istanza di accelerazione del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento dei termini cui all’art. 2-bis”.

La disposizione de qua, in forza del medesimo art. 55, comma 2, si applica “ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della Legge di Conversione del presente decreto”, e postula che l’istanza di accelerazione venga presentata nel procedimento penale allorquando questo abbia appena superato la durata ragionevole stabilita dall’art. 2.

Successivamente, con la L. n. 208 del 2015, in vigore dal 1 gennaio 2016, il legislatore ha modificato la disciplina dell’equa riparazione, introducendo l’istituto dei rimedi preventivi quale condizione per la possibilità di proporre la domanda di equa riparazione (L. n. 89 del 2001, art. 1-bis, comma 2, introdotto dalla citata L. n. 208 del 2015), ha abrogato l’art. 2, comma 2-quinquies, lett. e), prevedendo che “l’imputato e le altre parti del processo penale hanno diritto di depositare, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, un’istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’art. 2, comma 2-bis” (L. n. 89 del 2001, art. 1-ter, comma 2, introdotto dalla L. n. 208 del 2015), ma deve escludersi che la novella del 2015 sia applicabile alla vicenda in esame. Ed, invero alla luce di quanto previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 6, comma 2 bis, sempre come modificato dalla L. n. 208 del 2015, che prevede che “Nei processi la cui durata al 31 ottobre 2016 ecceda i termini ragionevoli di cui all’art. 2, comma 2-bis e in quelli assunti in decisione alla stessa data non si applica dell’art. 2 , comma 1”, non è possibile invocare le conseguenze derivanti dal mancato esperimento dei rimedi preventivi.

Tornando quindi alla previsione di cui all’art. 2, comma 2 quinquies, lett. e) nella formulazione scaturente dalla novella del 2012, ritiene la Corte che la stessa non sia applicabile ratione temporis alla fattispecie, in quanto nessuna disposizione transitoria prevede espressamente la sua applicabilità nei procedimenti pendenti che, alla data di entrata in vigore della Legge di Conversione n. 134 del 2012 (11 settembre 2012), abbiano superato la ragionevole durata.

La soluzione interpretativa offerta dalla Corte d’appello, secondo cui in assenza di istanza di accelerazione nel procedimento penale la domanda di equa riparazione sarebbe sostanzialmente improponibile appare errata e non coerente con il dato letterale della disposizione citata.

Nè appare possibile assimilare l’istanza de qua con la diversa ipotesi della istanza di prelievo nel procedimento amministrativo, in quanto è sufficiente rilevare che la formulazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 133 del 2008, modificata nel 2010 ad opera del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 3, comma 23, all. 4 (poi oggetto di correzione ad opera del D.Lgs. n. 195 del 2011), prevede esplicitamente che “La domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, non è stata presentata l’istanza di prelievo di cui all’art. 71, comma 2, del codice del processo amministrativo, nè con riguardo al periodo anteriore alla sua presentazione”, sicchè appare evidentemente preclusa la possibilità di una equiparazione delle due discipline, l’una, propria del giudizio amministrativo, esistente sin dal 1907; l’altra, introdotta nel 2012, e prevista per il solo processo penale, finalizzata unicamente ad introdurre una condizione per poter ottenere l’equa riparazione per il caso in cui il procedimento penale si sia irragionevolmente protratto. Osta alla possibilità di applicare l’art. 2-quinquies, lett. e) ai procedimenti pendenti che, alla data di entrata in vigore della L. n. 134 del 2012, avessero già superato la ragionevole durata, l’ulteriore considerazione secondo cui il termine per la presentazione della istanza sarebbe decorso, per tali giudizi, non dal superamento della durata ragionevole, ma dalla entrata in vigore della legge di conversione, con evidente mutamento dei presupposti applicativi della disposizione stessa.

Peraltro se la norma introdotta nel 2012, come sostanzialmente confermato anche dalla novella del 2015, laddove l’istanza di accelerazione è stata trasformata in un rimedio preventivo, assegna alla istanza de qua una funzione acceleratoria, tale finalità ha una sua ragione d’essere solo nel caso in cui il termine non sia ancora maturato ovvero sia decorso da appena trenta giorni poichè in tal modo la presentazione dell’istanza potrebbe essere lo stimolo per assicurare una sollecita definizione del giudizio, impedendo quindi il verificarsi del pregiudizio da durata irragionevole del processo.

La norma quindi conserva una sua logica se interpretata in un’ottica di prevenzione del danno, intesa cioè quale strumento in grado di impedire una dilatazione del processo, il cui omesso utilizzo implica la perdita del diritto all’indennizzo.

Effetti totalmente distorsivi avrebbe la sua estensione al diverso caso in cui, già alla data di entrata in vigore della legge del 2012, sia decorso il termine di cui all’art. 2.

In tal caso il pregiudizio derivante dalla durata eccessiva del giudizio si è già radicato nel patrimonio o comunque si è manifestato nei suoi effetti nei confronti della parte del processo, e quindi la mancata presentazione della istanza di accelerazione non potrebbe incidere anche sul danno già maturato. Alla parte verrebbe quindi imputata un’inerzia per una condotta che prima della riforma non era esigibile, mancando nell’ordinamento processuale penale una specifica disciplina dell’istanza di accelerazione così come configurata dal legislatore.

D’altronde le varie ipotesi di cui all’art. 2, comma 2 quinquies, vanno a sanzionare condotte colpevoli della parte, o per essere ab origine connotate da un abuso del processo, ovvero per avere successivamente consentito di abusare dello strumento processuale.

In tale prospettiva l’inerzia deve connotarsi per una colpevolezza del ricorrente, e conforta tale esegesi la previsione di chiusura di cui alla lett. f) dell’art. 2 co. 2 quinquies, che sanziona le condotte abusive che abbiano determinato una dilatazione dei tempi del processo.

Non appare poi pertinente il richiamo alla previsione di cui all’art. 252 disp. att. c.c., trattandosi di norma che, oltre che essere destinata a disciplinare i rapporti di diritto intertemporale derivanti dall’entrata in vigore nel secolo scorso delle novellate previsioni del codice civile, si riferisce chiaramente ai diversi istituti della prescrizione e della decadenza, ai quali, per quanto sopra evidenziato, non può essere assimilata la disciplina dettata dal legislatore in ordine alle conseguenze scaturenti dalla omessa presentazione dell’istanza di accelerazione.

Risulta, dunque, evidente l’errore nel quale è incorsa la Corte d’appello di Perugia nell’escludere il diritto all’equa riparazione per la irragionevole durata del procedimento penale presupposto – nel quale la durata ragionevole era stata superata da tempo – a causa della mancata presentazione della istanza di accelerazione nel termine di trenta giorni dalla entrata in vigore della L. n. 134 del 2012.

Resta, ovviamente, ferma la possibilità del giudice di merito di valutare il comportamento dell’imputato nel giudizio presupposto alfine di desumerne elementi significativi ai fini della determinazione dell’indennizzo.

Il ricorso va quindi accolto, con conseguente cassazione del decreto impugnato e con rinvio alla Corte d’appello di Salerno, la quale, in diversa composizione, procederà a nuovo esame alla luce del seguente principio di diritto: “in tema di equa riparazione per la irragionevole durata di un procedimento penale, la disposizione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-quinquies, lett. e) – a tenore della quale non è riconosciuto alcun indennizzo “quando l’imputato non ha depositato istanza di accelerazione del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento dei termini cui all’art. 2-bis” – non è applicabile in relazione alle domande di equa riparazione relative a procedimenti penali che, alla data di entrata in vigore della stessa, avessero già superato la durata ragionevole di cui all’art. 2-bis della medesima legge”.

Al giudice di rinvio è rimessa altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di Cassazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, e cassa il decreto impugnato con rinvio alla Corte di Appello di Salerno, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2016

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