Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26624 del 12/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 12/12/2011, (ud. 29/09/2011, dep. 12/12/2011), n.26624

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 11493-2010 proposto da:

STUDIO BASSO & DAL CIN – DOTTORI COMMERCIALISTI E REVISORI

ASSOCIATI

(OMISSIS) in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 20, presso lo

studio dell’avvocato PERSICHELLI CESARE, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FRANCESCHINIS SILVIO, giusta mandato a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO IMPRESA DI COSTRUZIONI PITTARO ANDREA & C. SAS,

P.

A. – già legale rappresentante della società Impresa di

Costruzioni Pittaro Andrea & C. Sas;

– intimati –

avverso il decreto n. 1581/09 del TRIBUNALE di PORDENONE del 19.3.2

010, depositato il 23/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/09/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO CECCHERINI;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. FUCCI

Costantino.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

che:

1. – E’ stata depositata la seguente relazione a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con decreto in data 23 marzo 2010 il Tribunale di Pordenone ha respinto l’impugnazione proposta da Studio Basso & Dal Cin dottori commercialisti e revisori associati in persona del legale rappresentante pro tempore dott. Comm. B.P., a norma della L. Fall., art. 98, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo del fallimento dell’Impresa di Costruzioni Pittaro Andrea &

s.a.s., che aveva ammesso solo parzialmente e con il grado chirografario il credito vantato per prestazioni professionali prestate dallo Studio istante.

Per la cassazione del decreto ricorre il creditore istante, per sette mezzi d’impugnazione. La curatela fallimentare non ha svolto difese.

Il ricorso può essere deciso in camera di consiglio, se saranno condivise le considerazioni che seguono.

Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione della L. Fall., art. 95, perchè il privilegio di cui all’art. 2751 bis c.c., n. 2 era stato escluso dal giudice d’ufficio, sulla base di una circostanza – la natura associativa dello studio professionale ricorrente – non fatta valere in via di eccezione dal curatore fallimentare.

Il motivo è manifestamente infondato. In ordine al mancato riconoscimento del privilegio il tribunale ha premesso che l’opponente prospetta direttamente in capo a sè la titolarità del credito in esame, producendo, a dimostrazione dell’esistenza del credito, il contratto d’incarico, che indica quali contraenti, da un lato la società in bonis, e, dall’altro lo studio associato; e ha aggiunto che l’associazione non afferma di operare quale mandataria dei suoi partecipanti. Escludendo che lo studio associato possa far valere in causa il privilegio in questione, riconosciuto dall’art. 2751 bis, n. 2 soltanto ai professionisti singolarmente, il tribunale non ha escluso che il privilegio potesse spettare a quello o quelli dei professionisti associati che avessero svolto le attività professionali in questione, ma solo che il privilegio potesse essere fatto valere in nome proprio dall’associazione professionale, della quale ha pertanto negato sul punto la legitimatio ad causam. Ora, le questioni di legittimazione sostanziale sono sempre rilevabili d’ufficio dal giudice, in ogni stato e grado del giudizio, salvo il limite del giudicato eventualmente formatosi (Cass. 7 maggio 2003 n. 6935).

Con il secondo, il terzo e il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 2751 bis c.c., n. 2 e il vizio di motivazione sull’esclusione del privilegio. Si sostiene che il privilegio spetta al professionista, ancorchè inserito in un’associazione professionale.

I motivi sono inammissibili. Questa corte ha avuto occasione di chiarire innanzi tutto che, nell’art. 2751 bis c.c., n. 2 “non confluisce solo l’aspetto compensativo di un’attività di natura oggettivamente professionale, ma altresì, ed essenzialmente, l’aspetto retributivo di un’attività soggettivamente professionale”.

Sicchè “non rientra nella previsione il compenso ad un professionista per un’attività non professionale, ma in essa non rientra neppure, nella sua letterale formulazione che fa espresso riferimento ai professionisti ed ai prestatori di opera intellettuale, un compenso per un’attività identica a quella integrante la professionalità, ma svolta da soggetto cui la qualifica di prestatore d’opera intellettuale, nelle forme delle professioni protette o non, non competa” (Cass., sez. 1A, 14 aprile 1992, n. 4549, m. 476784).

Ciò premesso, è decisivo il rilievo che, per costante giurisprudenza di questa corte, solo quando l’oggetto della prestazione di cui si chiede la liquidazione non presupponga la personalità del rapporto fra cliente e professionista l’associazione professionale, costituendo un autonomo centro di imputazione di interessi, ha la capacità di stare in giudizio in persona dei componenti o di chi ne abbia la rappresentanza legale (Cass. 16 novembre 2006, n. 24410). Ne consegue che lo studio professionale, che agisce nel presente giudizio, non è legittimato a far valere in nome proprio un privilegio spettante al professionista singolo che ne fa parte.

Con il quinto motivo si denuncia la violazione dell’art. 2233 c.c., avendo il tribunale confermato la legittimità della riduzione e la conseguente rideterminazione del credito apportata in sede di ammissione al passivo fallimentare, sul presupposto che la somma così ridotta appariva congrua rispetto all’attività prestata dall’opponente.

“Il motivo è manifestamente fondato. Secondo la giurisprudenza di questa corte, il compenso per prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa ed adeguato all’importanza dell’opera solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto l’art. 2233 cod. civ. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e poi, solo in mancanza di quest’ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice (Cass. 5 ottobre 2009 n. 21235). Il principio è stato violato dalla statuizione censurata.

“I motivi successivi, vertenti sullo stesso capo oggetto della censura di cui al punto precedente, sono assorbiti.

“Si propone pertanto che il ricorso sia dichiarato in camera di consiglio manifestamente infondato quanto al primo motivo, inammissibile quanto ai motivi secondo, terzo e quarto, e manifestamente fondato quanto al quinto, con assorbimento degli altri motivi, a norma dell’art. 375 c.p.c., nn. 1 e 5.

2. – La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata alle parti. La ricorrente ha depositato memoria, nella quale richiama a sostegno del ricorso altri precedenti di questa sezione.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

3. – Il collegio ha esaminato il ricorso, la relazione, e la memoria, e ha ritenuto che non sussistano i presupposti per la decisione in camera di consiglio.

P.Q.M.

La corte rimette la causa alla pubblica udienza.

Così deciso a Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione della Corte suprema di cassazione, il 29 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2011

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