Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2662 del 30/01/2019

Cassazione civile sez. I, 30/01/2019, (ud. 23/10/2018, dep. 30/01/2019), n.2662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24497/2015 proposto da:

Poste Italiane S.p.a., in persona legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Orazio, 3, presso lo studio

dell’avvocato Bellini Vito, che la rappresenta e difende, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Equitalia Sud S.p.a., in persona legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, P.za Barberini, 12, presso lo

studio dell’avv. Papa Malatesta Alfonso Maria, che la rappresenta e

difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1301/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 17/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/10/2018 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO;

udito l’Avv. Bellini Vito per la ricorrente, che si riporta ai motivi

del ricorso;

udito l’avv. Papa Malatesta Alfonso Maria per il controricorrente,

che ha chiesto il rigetto;

udito il Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha

chiesto il rinvio a nuovo ruolo per decisione pendente davanti alla

Corte di Giustizia Europea.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato il 28 febbraio 2002 Poste Italiane s.p.a. deduceva: che, intervenuta la sua trasformazione da ente pubblico economico in società di capitali, era venuto meno il precedente sistema di monopolio legale, col conseguente superamento del regime delle tariffe per i servizi postali affidati al Ministro delle poste e telecomunicazioni, di concerto con quello del tesoro; che la prescrizione secondo cui il pagamento in denaro dei tributi iscritti a ruolo poteva essere effettuato, oltre che presso la sede dell’esattoria, mediante il servizi di conto corrente postale, era stata superata dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 13, secondo cui il pagamento delle somme iscritte a ruolo può essere effettato presso gli sportelli del concessionario, le agenzie postali e le banche, con previsione, nel caso di pagamento presso agenzie postali e banche, di costi a carico dei contribuenti; che a norma della L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 19, “(i) servizi postali e di pagamento per i quali non è esplicitamente previsto dalla normativa vigente un regime di monopolio legale sono svolti dall’Ente poste italiane e dagli altri operatori in regime di libera concorrenza. In relazione a tali servizi cessa, con decorrenza dal 1 aprile 1997, ogni forma di obbligo tariffario o sociale posto a carico dell’Ente poste italiane nonchè ogni forma di agevolazione tariffaria relativa ad utenti che si avvalgono del predetto Ente”; che in base alle anzidette disposizioni era stata stabilita una commissione generale di Lire 100 per ogni operazione a carico dei correntisti e, dopo l’approvazione del regolamento sui servizi bancoposta di cui al D.P.R. 15 maggio 2001, n. 144, erano state pubblicate sulla Gazzetta ufficiale le nuove condizioni economiche del servizio che stabilivano la commissione unitaria per l’incasso di ogni bollettino di conto corrente postale nell’importo massimo di Lire 600; che a G.E.I. s.p.a., concessionaria del servizio di riscossione dell’I.C.I. per la provincia di Avellino, era stata richiesta la corresponsione della commissione di Lire 450 a partire dal 1 giugno 2001 per ogni bollettino “lavorato”; che G.E.I., con propria nota del 9 aprile 2001, aveva respinto tale richiesta. Sulla base di tali premesse Poste Italiane conveniva in giudizio G.E.I. innanzi al Tribunale di Avellino, chiedendo: di accertarsi e dichiararsi che essa attrice aveva diritto di applicare una commissione per ciascun versamento effettuato con bollettino postale I.C.I. sui conti correnti intestati a G.E.I. quale concessionaria del servizio di riscossione I.C.I. per la provincia di Avellino; di accertarsi e dichiararsi l’entità della predetta commissione nella misura, per ciascun bollettino, di Lire 100 dal 1 aprile 1997 e di Lire 450 dal 1 giugno 2001, ovvero nella diversa misura accertata e/o ritenuta; di condannarsi, per l’effetto, G.E.I. al pagamento della predetta commissione nella misura e decorrenza accertata per ciascun bollettino, il tutto con la maggiorazione di interessi e rivalutazione dalla data di ciascuna operazione ovvero dalla domanda; in via subordinata e sussidiaria, chiedeva di condannare G.E.I. ai sensi dell’art. 2041 c.c., al pagamento in favore dell’istante, del relativo indennizzo, indicato nella misura di cui sopra e salva la liquidazione equitativa.

Nella resistenza di G.E.I., il Tribunale di Avellino rigettava le domande proposte, ritenendo che G.E.I. fosse stata esentata dall’obbligo di pagamento con Delib. n. 57 del 1996, che esimeva dalla suddetta corresponsione gli enti e le amministrazioni pubbliche: e ciò sul presupposto che il concessionario del servizio di riscossione dei tributi dovesse qualificarsi come pubblica amministrazione in base al D.Lgs. n. 406 del 1991, art. 2.

2. – Poste Italiane proponeva appello.

Anche nella fase di gravame si costituiva la concessionaria, che assumerà poi la denominazione di Equitalia Sud s.p.a..

La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 17 marzo 2015, rigettava l’impugnazione: escludeva che G.E.I. potesse qualificarsi come amministrazione pubblica, rilevando come la società concessionaria avesse natura privata, e pertanto negava che l’esenzione valorizzata dal giudice di prime cure riguardasse l’appellata; affermava che Poste Italiane avesse titolo ad applicare le previste commissioni a carico del concessionario del servizio di riscossione per ogni pagamento eseguito dai contribuenti mediante il servizio postale, con bollettino di versamento in conto corrente; osservava, in proposito, richiamando pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, che dal regime di monopolio legale in cui operava Poste Italiane discendeva il solo obbligo di negoziare rispettando la priorità di trattamento, ma che ciò non implicava la gratuità del servizio; rilevava nondimeno che Poste Italiane non aveva quantificato nè documentato le operazioni di pagamento e che la stessa non aveva proposto una domanda di mero accertamento quanto al proprio diritto o una domanda di condanna generica, riservando a un separato giudizio la quantificazione del credito vantato; riteneva per conseguenza ad essa preclusa una pronuncia sull’an debeatur; reputava, infine, che non potesse trovare accoglimento la domanda di indennizzo ex art. 2041 c.c., sia in quanto l’azione proposta difettava, in concreto, di sussidiarietà (avendo l’ente diverso titolo per pretendere, nel periodo in considerazione, il pagamento della commissione deliberata dal suo consiglio di amministrazione), sia perchè non era stato offerto alcun elemento utile alla quantificazione del richiesto indennizzo.

3. – Contro tale sentenza ricorre per cassazione Poste Italiane, la quale fa valere dieci motivi di censura. Equitalia Sud resiste con controricorso e spiega una impugnazione incidentale condizionata basata su tre motivi. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi posti a fondamento del ricorso principale hanno il contenuto che segue.

1.1. – Il primo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c. e nullità della sentenza. La ricorrente lamenta che la Corte di merito abbia sollevato d’ufficio una questione (circa la formulazione di una domanda di condanna specifica) senza consentire ad essa istante di controdedurre in merito.

Il secondo motivo oppone la violazione o falsa applicazione degli artt. 278 e 112 c.p.c.. La censura investe l’affermazione della Corte di merito per cui non poteva affermarsi che Poste Italiane avesse proposto una domanda di mero accertamento ovvero una domanda di condanna generica: osserva l’istante che essa aveva chiesto l’accertamento del diritto a percepire una commissione unitaria a carico del concessionario per ogni bollettino di conto corrente postale ICI, l’accertamento del quantum della predetta commissione unitaria e la condanna al pagamento delle stessa, per ogni singolo bollettino. In conseguenza, la Corte di Napoli avrebbe per un verso mancato di pronunciare su tutte le domande proposte e, per altro verso, statuito oltre i limiti del petitum, non essendo mai stata richiesta la condanna specifica al pagamento di un importo complessivo.

Col terzo motivo si deduce violazione o falsa interpretazione ed applicazione degli artt. 278 e 112 c.p.c., oltre che degli artt. 99,100,115 e 116 c.p.c.. Viene rilevato: che la connessione tra domande di accertamento e di condanna non escluderebbe in alcun modo l’autonomia delle domande stesse; che la domanda di accertamento non era affatto inutile per Poste; che la norma di cui all’art. 278 c.p.c., non imporrebbe che la domanda di condanna generica contenga una espressa quantificazione del credito in un separato giudizio; che il giudice del gravame aveva omesso di apprezzare una serie di elementi da cui emergeva la volontà di essa ricorrente di proporre sia una domanda di mero accertamento che una domanda di condanna generica al pagamento di un importo unitario dovuto a titolo di commissione per ogni bollettino ICI (non già una domanda riferita a un importo globale predeterminato o da accertarsi all’esito di istruttoria).

Il quarto mezzo lamenta violazione o falsa applicazione delle norme di legge in materia di interpretazione negoziale, richiamando espressamente gli artt. 1362,1363 e 1367 c.c. e una ulteriore violazione dell’art. 278 c.p.c.. L’istante, citando le succitate norme ermeneutiche, si duole del fatto che, nel prendere in considerazione le proprie domande, la Corte distrettuale abbia mancato di apprezzare il comportamento processuale della controparte e l’insieme degli atti processuali che erano seguiti alla citazione introduttiva, nonchè omesso di interpretare gli atti stessi nel senso di attribuire loro un qualche effetto. L’applicazione dei canoni interpretativi sopra richiamati avrebbe infatti indotto il giudice del gravame a prendere atto della proposizione di una domanda di condanna generica volta al pagamento di una commissione unitaria per ogni bollettino lavorato.

Con il quinto motivo è denunciata la violazione o falsa applicazione degli artt. 99,100 e 112 c.p.c.. Il motivo lamenta il vizio di ultrapetizione per la pronuncia su di una domanda di condanna mai proposta, quello di extrapetizione, per la sostituzione d’ufficio di una domanda di condanna specifica a una domanda di condanna generica, il vizio di omessa pronuncia in relazione alla duplice domanda di accertamento e di condanna generica e la violazione del principio per cui l’azione giurisdizionale deve essere sorretta dall’interesse ad agire, avendo riguardo all’utilità perseguita con le pronunce conseguenti alle ultime domande che si sono indicate.

Il sesto motivo è svolto in via subordinata e lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oltre che la motivazione carente, insufficiente o contraddittoria. La censura è svolta muovendo dal mancato esame dei fatti e delle circostanze esposte nei precedenti motivi di impugnazione. Viene dedotto che il diritto al riconoscimento della commissione dell’importo unitario di Lire 100 a partire dal 1 aprile 1997 e di Lire 450 dal 1 giugno 2001 per ogni bollettino di conto corrente postale era stato prospettato fin dall’atto di citazione in primo grado, ove si era inoltre domandato di accertare il diritto di applicare una commissione per ciascun versamento effettuato con bollettino postale I.C.I. sui conti correnti intestati a G.E.I. quale concessionaria del servizio di riscossione I.C.I. per la provincia di Avellino e di accertarsi, altresì, l’entità della predetta commissione nelle misure sopra indicate.

Col settimo mezzo, pure proposto in via subordinata, è dedotta una ulteriore violazione dell’art. 278 c.p.c.. Osserva la ricorrente che, ove pure si fosse negata la proposizione di una iniziale domanda di condanna generica, il giudice di appello avrebbe comunque errato, avendo mancato di limitare la domanda di accertamento al profilo dell’an debeatur: infatti ai fini di una pronuncia nel senso indicato era sufficiente la mancata opposizione del convenuto, che nulla aveva eccepito al riguardo.

L’ottavo motivo, pure subordinato, denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 278,99 e 112 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Secondo la ricorrente, la Corte di Napoli avrebbe dovuto comunque valutare la domanda di Poste Italiane “quantomeno come limitazione della domanda di condanna specifica (ove mai potesse ritenersi tale) ad una richiesta di condanna generica, pienamente ammissibile e consentita in assenza (come nel caso di specie) di contestazioni”.

Col nono motivo, sempre proposto in via gradata, viene prospettata la violazione o falsa applicazione degli artt. 278,99,112,115 e 116 c.p.c.. Sostiene l’istante che ai fini dell’accoglimento della propria domanda non era necessario indicare il numero complessivo dei bollettini lavorati, nè fornire prove al riguardo, essendo sufficiente la prova dell’esistenza del credito e degli elementi di quantificazione del credito unitario dovuto, oltre che della sua delimitazione temporale: elementi, questi, acquisiti al giudizio. Aggiunge che gli elementi fattuali che consentivano la pronuncia non erano stati esaminati dalla Corte di appello e che ove taluno di essi non fosse risultato sufficientemente provato, ben avrebbe potuto operarsi la liquidazione equitativa, che la medesima ricorrente aveva espressamente invocato.

La doglianza espressa col decimo motivo del ricorso principale ha ad oggetto la violazione o falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c., nonchè la violazione delle norme e dei principi in materia di liquidazione equitativa. La censura investe il rigetto della domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento. Rileva l’istante che la domanda ex art. 2041 c.c., ben poteva essere proposta nel giudizio in cui era spiegata la domanda principale, basata su diverso titolo; osserva, inoltre, che la pretesa avanzata in via subordinata doveva essere accolta, potendo il giudice del merito accedere a una liquidazione equitativa dell’indennizzo richiesto.

1.2. – Il primo motivo è infondato.

E’ da premettere che nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda il giudice di merito, da un lato, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte, dall’altro, ha il potere-dovere di accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non solo dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte e dalle precisazioni dalla medesima fornite nel corso del giudizio, nonchè dal provvedimento concreto dalla stessa richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa a quella esercitata (Cass. 8 gennaio 2010, n. 75; Cass. 28 luglio 2005, n. 15802).

Ciò posto, è evidentemente escluso che il giudice del merito debba sollecitare il contraddittorio sulla mera interpretazione della domanda, giacchè tale tema inerisce all’oggetto stesso del giudizio di cui egli è investito ed è conseguentemente escluso che attraverso l’accertamento, a lui devoluto, del contenuto della pretesa azionata possa pervenirsi a una decisione a sorpresa, o della “terza via”. E’ da rammentare, in proposito, l’insegnamento della dottrina, secondo cui le questioni rilevabili d’ufficio cui fa riferimento dell’art. 101 c.p.c., comma 2, si identificano nelle questioni pregiudiziali in senso tecnico (non rimesse all’esclusiva

disponibilità delle parti) di cui all’art. 279 c.p.c., comma 2, nn. 1, 2 e 4: e tra esse non è certamente ricompreso quel profilo dell’attività giurisdizionale che involge l’interpretazione della domanda. Come è noto, infatti, le questioni pregiudiziali in senso tecnico concernono circostanze distinte ed indipendenti dal fatto costitutivo della pretesa (cfr., per tutte, in tema, Cass. Sez. U. 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243, in motivazione; sul punto cfr. pure la non recente Cass. Sez. U. 26 luglio 2004, n. 14060, il cui autorevole insegnamento continua a presentare oggi piena validità).

1.3. – L’esame va dunque spostato sui lamentati vizi processuali, che sono oggetto delle censure prospettate col secondo, col terzo, col quarto e col quinto motivo. E tali motivi, che possono esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono fondati nei termini che si vengono ad esporre.

Come in precedenza accennato, secondo la Corte di appello, Poste Italiane non aveva proposto una domanda di mero accertamento quanto al proprio diritto o una domanda di condanna generica, con riserva di far valere in un separato giudizio la quantificazione del credito vantato. Il giudice distrettuale ha in particolare osservato che la domanda giudiziale proposta doveva considerarsi unica, dal momento che qualsiasi azione di condanna presuppone anche l’accertamento del diritto e, pertanto, non si era in presenza di due capi distinti sull’an e sul quantum debeatur; d’altro canto – ha precisato la Corte di Napoli – non era concepibile una decisione che accertasse l’esistenza del diritto e, al contempo, respingesse la domanda di condanna, dal momento che il rigetto di quest’ultima avrebbe reso inutile la pronuncia di accertamento, la quale non avrebbe potuto invocarsi in un successivo giudizio nel quale il creditore avesse domandato la quantificazione del credito (a meno che il diritto in questione avesse avuto ad oggetto prestazioni diverse da quelle di cui qui si discorre).

Ora, è la stessa Corte territoriale a rammentare che l’odierna ricorrente ebbe a domandare di “accertare e dichiarare che la Soc. Poste Italiane s.p.a. ha diritto ad applicare una commissione per ciascun versamento effettuato con bollettino postale ICI correnti postali intestati alla G.E.I. s.p.a., quale concessionaria del servizio riscossione ICI per la provincia di Avellino; conseguentemente accertare e dichiarare l’entità della predetta commissione nella misura, per ciascun bollettino, di Lire 100 dal 1.4.1997 e di Lire 450 dal 1.6.2001, ovvero nella diversa misura accertata e/o ritenuta anche di giustizia; per l’effetto condannare la G.E.I. s.p.a., quale concessionaria del servizio riscossione ICI per la provincia di Avellino, al pagamento della predetta commissione nella misura e decorrenza accertata e/o muta per ciascun bollettino tutto con le maggiorazioni di interessi e rivalutazione dalla data di ciascuna operazione ovvero dalla domanda”.

Ben si intende, allora, che l’attrice avesse anzitutto richiesto un accertamento del proprio diritto all’applicazione della contestata commissione. In termini generali va rammentato che l’azione di accertamento è senz’altro proponibile allorquando esista una situazione attuale di obiettiva incertezza di diritto che determina l’interesse ad agire per accertare la sussistenza di un diritto già sorto e che possa competere all’attore ed evitare, così, il pregiudizio concreto (e non meramente potenziale) che può derivargli dalla descritta incertezza (Cass. Sez. U. 15 gennaio 1996, n. 264). Nella specie, Poste Italiane aveva un sicuro interesse all’accertamento oggetto della prima delle domande da essa proposte, dal momento che era controverso il proprio diritto di esigere la richiamata commissione: il vittorioso esperimento di un’azione di accertamento avrebbe dunque escluso, per il futuro, che la concessionaria contestasse la spettanza degli importi pretesi a fronte dell’esecuzione, da parte della società, del servizio di pagamento relativo all’imposta da versarsi all’agente della riscossione.

D’altro canto, la domanda di condanna svolta da parte attrice, di cui quella di accertamento costituisce presupposto, deve farsi certamente rientrare nella previsione dell’art. 278 c.p.c.. Come correttamente dedotto dalla società istante, infatti, la pretesa azionata non risulta punto indirizzata all’ottenimento di un importo globale da determinarsi all’esito dell’istruttoria: è anzi significativo che nelle rassegnate conclusioni non si faccia alcun cenno alla somma complessiva che la controparte avrebbe dovuto corrispondere, ma ci si limiti a menzionare la misura e la decorrenza della singola commissione che si assume competere all’attrice (Lire 100 a far data dal 1 aprile 1997 e Lire 450 a far data dal 1 giugno 2001, così come precisato al secondo capo delle conclusioni stesse, in cui è formulata una domanda di accertamento). Nè, del resto, la mancata proposizione di una domanda di condanna generica potrebbe ricavarsi, come suggerito dalla controricorrente, dalla avanzata richiesta, da parte dell’attrice, di maggiorazione dell’importo da essa preteso con interessi e rivalutazione monetaria. L’estensione della domanda a detti accessori non è infatti incompatibile con la pronuncia della condanna di cui all’art. 278 c.p.c.: la statuzione in questione partecipa infatti della declaratoria juris propria di tale condanna e si concreta, pur sempre, in una mera pronunzia sull’an debeatur relativamente alla prestazione controversa (in tema di risarcimento del danno cfr. Cass. 6 gennaio 1983, n. 75).

In conclusione, la società ricorrente aveva domandato la condanna generica di controparte al pagamento della remunerazione, nella misura unitaria indicata, del servizio da essa prestato, oltre che l’accertamento del proprio diritto all’esazione della commissione, che doveva fondare la detta pronuncia condannatoria. La sentenza gravata è pertanto errata laddove ha negato che Poste Italiane avesse proposto la domanda di condanna generica e affermato, per contro, che la domanda spiegata fosse indirizzata all’ottenimento dell’ammontare complessivo delle somme aventi titolo nel nominato diritto.

1.4. – Restano pertanto assorbiti i rimanenti cinque motivi del ricorso principale, che sono stati articolati in via subordinata.

2. – La fondatezza dell’impugnazione principale impone di prendere in esame il ricorso incidentale condizionato, che si compone, come detto, di tre motivi.

2.1. – Il primo di essi oppone l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Equitalia Sud lamenta che la Corte di appello non abbia preso in considerazione la rinuncia all’applicazione delle commissioni che Poste Italiane aveva formulato con la propria nota del 26 marzo 1997 e che, inoltre, la stessa controparte, nel periodo tra il 1997 e il 2001, non aveva applicato commissioni ai conti correnti destinati alla riscossione dell’ICI, così confermando, nei fatti, la predetta rinuncia.

Il secondo motivo lamenta la violazione o falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 2, commi 18 e 20, nonchè la violazione dell’art. 2597 c.c.. Rileva la ricorrente incidentale che le condizioni contrattuali stabilite da Poste Italiane non rispetterebbero la parità di trattamento tra i diversi correntisti e che la ricorrente avrebbe omesso di tener conto delle caratteristiche del servizio di pagamento e dei volumi di traffico cui il servizio stesso era correlato: ciò in ispregio delle prescrizioni contenute nella cit. L. n. 662 del 1996.

Un terzo motivo di ricorso incidentale, spiegato in via subordinata, propone più censure avendo riguardo all’asserita violazione di disposizioni dei trattati dell’Unione Europea e della Costituzione italiana.

Viene anzitutto lamentata la violazione dell’art. 108 TFUE, in combinazione con l’art. 107 dello stesso Trattato. Si sostiene, in sintesi, che la commissione obbligatoria richiesta da Poste Italiane integri un aiuto di Stato. In conseguenza, ad avviso della ricorrente per incidente, tale misura di aiuto avrebbe dovuto essere comunicata alla Commissione UE affinchè fossero formulate osservazioni sulla compatibilità delle misura stessa con il Trattato. E’ poi domandato, in via subordinata, che sul punto sia operato un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ex art. 267 TFUE.

Viene inoltre dedotta la violazione degli artt. 102 e 106 TFUE e dell’art. 4 TUE.. E’ osservato che, stante l’impossibilità, per i concessionari, di recedere dal contratto relativo ai servizi di pagamento in conto corrente, si configurerebbe una posizione dominante in capo a Poste Italiane nel segmento di mercato relativo alla corresponsione delle somme dovute a titolo di ICI. La controparte, inoltre, avrebbe abusato di tale posizione dominante decidendo unilateralmente di richiedere ex post il pagamento di una commissione per ogni versamento effettuato sui conti correnti postali accesi dai concessionari della riscossione. Anche a tale riguardo è richiesto, in via subordinata, il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.

E’ poi prospettata l’illegittimità costituzionale del combinato disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, commi 2 e 3, L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 18 e del D.P.R. n. 144 del 2001, art. 3, comma 2, per violazione dell’art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, con riferimento agli artt. 102,196,107 e 108 del TFUE. La questione è sollevata per l’ipotesi in cui questa Corte ritenesse le norme di diritto sovranazionale non dotate di efficacia diretta nel nostro ordinamento. La censura di costituzionalità investe la previsione della possibilità, per Poste Italiane, di stabilire unilateralmente un corrispettivo per il servizio prestato e di applicare ai clienti variazioni contrattuali sfavorevoli anche con riferimento al contratto di conto corrente stipulato dal concessionario della riscossione ai fini del pagamento dell’ICI, siccome imposto obbligatoriamente dall’art. 10 cit..

Le indicate norme sono sospettate di incostituzionalità avendo pure riguardo al parametro costituito dall’art. 3 Cost. e art. 41 Cost., comma 1 e 2. Si deduce che la disciplina legislativa ponga un vincolo alla libertà di iniziativa economica e al libero dispiegarsi dell’autonomia contrattuale che, oltre a creare una macroscopica e irragionevole disparità di trattamento, non risulta in alcun modo giustificato dalle ragioni indicate dal cit. art. 41.

Una questione di costituzionalità è da ultimo prospettata avendo ancora riguardo all’art. 3 Cost., sotto il profilo della intrinseca irragionevolezza della disciplina introdotta. Ad avviso dell’istante mancherebbe alcuna razionale giustificazione dell’attribuzione, a uno dei contraenti, del potere di determinare unilateralmente la controprestazione cui l’altro contraente sarebbe tenuto.

2.2. – I riassunti motivi sono inammissibili in quanto non investono la ratio decidendi della pronuncia impugnata.

Come si è visto, la Corte di merito ha respinto l’appello ritenendo che non fosse stata proposta alcuna domanda di condanna generica, implicante il correlativo accertamento del diritto alla riscossione del compenso tariffario, e negato che potesse pronunciarsi condanna nel quantum, in assenza dell’indicazione e documentazione delle operazioni di pagamento concretamente occorse.

Le considerazioni svolte nella sentenza impugnata con riguardo all’esistenza del diritto, da parte di Poste Italiane, ad applicare e a riscuotere la commissione per il servizio di pagamento fornito integrano, dunque, un obiter dictum, dal momento che il rigetto del gravame trova il suo fondamento nella mancata proposizione di una domanda che impegnasse il giudice del merito in un accertamento siffatto. Vale la pena di ricordare, al riguardo, che la Corte di appello ha ritenuto “(n)on (…) concepibile una decisione che per un verso accerti l’esistenza del diritto e, per altro verso, respinga la domanda di condanna”, in tal modo escludendo di poter essere investita della potestas judicandi sull’accertamento del diritto in presenza di una situazione che non le consentisse di emettere la statuizione condannatoria: situazione che – come rilevato in precedenza – è stata da essa positivamente riscontrata.

Ora, ove il giudice che si sia spogliato della potestas judicandi sul merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare tale statuizione, sicchè è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale, mentre è inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata (cfr. Cass. Sez. U. 20 febbraio 2007, n. 3840 nonchè, tra le pronunce più recenti in tema, Cass. 20 agosto 2015, n. 17004 e Cass. 19 dicembre 2017, n. 30393).

3. – In conclusione, va rigettato il primo motivo del ricorso principale, accolti, nei sensi di cui in motivazione, i motivi secondo, terzo, quarto e quinto del predetto ricorso e dichiarati assorbiti i restanti. I motivi del ricorso incidentale condizionato sono invece da dichiarare inammissibili.

4. – In relazione ai motivi accolti la sentenza è cassata e la causa deve essere rinviata alla Corte di appello di Napoli, che statuirà pure sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte:

accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo del ricorso principale, rigetta il primo e dichiara assorbiti gli altri; dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 23 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2019

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