Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26618 del 23/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/11/2020, (ud. 29/10/2020, dep. 23/11/2020), n.26618

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14735-2018 proposto da:

IPM INDUSTRIA PREFABBRICATI MEDITERRANEI SRL, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

PARIOLI 54, presso lo studio dell’avvocato SIRO UGO VINCENZO

BARGIACCHI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

LUCIANA FRANCIOSO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), AGENZIA DELLE ENTRATE –

RISCOSSIONE, (OMISSIS), in persona dei rispettivi Direttori pro

tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che le rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 9344/24/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 07/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 29/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. VITTORIO

RAGONESI.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria provinciale di Benevento, con sentenza n. 497/16, sez. 7, accoglieva il ricorso proposto dalla IPM Industria fabbricati mediterranei srl avverso l’avviso di accertamento (OMISSIS) per Ires 2010.

Avverso la detta decisione l’Agenzia delle Entrate proponeva appello innanzi alla CTR Campania.

La contribuente, a sua volta, proponeva appello incidentale in ordine ai motivi di cui al ricorso introduttivo su cui non vi era stata pronuncia.

Il giudice di seconde cure, con sentenza 9344/2017, accoglieva l’impugnazione principale e rigettava quella incidentale.

Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la società contribuente sulla base di tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la contribuente si duole del fatto che l’appello è stato accolto sulla base di un documento (questionario munito della regolare notifica) presentato soltanto nel secondo grado di giudizio.

Con il secondo motivo lamenta che, a seguito della notifica del questionario, l’Agenzia ha emesso l’avviso di accertamento senza che fosse redatto il verbale di chiusura delle operazioni D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32,D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 51, e L. n. 4 del 1929, ex art. 24, nonchè: senza invito del contribuente a comparire; senza dare la possibilità di produrre documentazione; senza notifica del verbale di chiusura delle operazioni.

Il motivo lamenta inoltre il vizio di difetto di motivazione.

Con il terzo motivo deduce l’illegittima applicazione del criterio delle percentuali di ricarico.

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che, nell’ambito del processo tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, consente la produzione in appello di qualsiasi documento, anche al di fuori degli stretti limiti posti dall’art. 345 c.p.c. (Cass. 29568/18).

La medesima giurisprudenza ha ulteriormente precisato che tale attività processuale va esercitata – stante il richiamo operato dal citato D.Lgs., art. 61, alle norme relative al giudizio di primo grado – entro il termine previsto dallo stesso decreto, art. 32, comma 1, ossia fino a venti giorni liberi prima dell’udienza, con l’osservanza delle formalità di cui all’art. 24, comma 1, dovendo, peraltro, tale termine ritenersi, anche in assenza di espressa previsione legislativa, di natura perentoria, e quindi previsto a pena di decadenza, rilevabile d’ufficio dal giudice. (Cass. 29087/18; Cass. 3661/15; Cass. 655/14).

Nel caso di specie, dunque, non essendovi contestazione sulla tempestività del deposito del questionario munito di notifica, deve ritenersi del tutto legittima la produzione del documento in questione in appello con conseguente rigetto del motivo.

Il secondo motivo di ricorso è anch’esso manifestamente infondato laddove prospetta vizi di ordine procedimentale e di violazione del diritto di difesa..

In primo luogo, in riferimento alla censura recante il numero 1, si osserva che la redazione del verbale di chiusura delle operazioni e la sua notifica nonchè la possibilità da parte del contribuente di presentare osservazioni e richieste entro 60 giorni è prevista dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, solo nella ipotesi di accessi, ispezioni e verifiche presso i locali di esercizio dell’attività da parte del contribuente; ipotesi non ricorrente nel caso di specie in cui non vi è stato alcun accesso.(Cass. 7960/14).

Nel caso, infatti, di accertamento standardizzato mediante parametri e studi di settore, il termine predetto previsto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, che deve necessariamente intercorrere tra il rilascio al contribuente del verbale di chiusura delle operazioni (accessi, ispezioni o verifiche eseguite nei locali destinati all’esercizio dell’attività) e l’emanazione del relativo avviso di accertamento, non è applicabile, essendo già prevista, a pena di nullità, una fase necessaria di contraddittorio procedimentale, che garantisce pienamente la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente prima dell’emissione dell’accertamento. (Cass. 7960/14).

Nel caso di specie vi è stato un accertamento basato su studi di settore per il quale è prevista, come già rilevato, a pena di nullità, una fase necessaria di contraddittorio procedimentale, costituita dall’invio di un questionario che garantisce pienamente la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente prima dell’emissione dell’accertamento.

In tale fase, infatti, il contribuente ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento. Tuttavia, ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente ometta di parteciparvi ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione, l’ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri. (Cass. 27617/18Cass. 17646/14).

La Commissione regionale ha accertato l’avvenuto invio del questionario al quale la ricorrente non ha fornito risposta e, pertanto il contraddittorio deve ritenersi correttamente rispettato.

Quanto all’invito a comparire ai sensi del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5, tale invito è previsto per il procedimento di accertamento con adesione anch’esso non ricorrente nel caso di specie.

Il motivo è poi inammissibile laddove prospetta un vizio di motivazione.

Questa Corte ha ormai da tempo chiarito che in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, (da ultimo ex plurimis Cass. 22598/18).

Nel caso di specie la società ricorrente avanza censure con cui si deduce la carenza e la contraddittorietà della motivazione senza in alcun modo dedurne la mancanza o la mera apparenza.

Aggiungasi che il motivo non prospetta neppure un vizio di omessa motivazione su un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti che costituisce l’unico vizio di motivazione attualmente deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il terzo motivo di ricorso appare manifestamente infondato e per certi versi inammissibile.

E’ principio ripetutamente affermato da questa Corte che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il comportamento del contribuente, che ometta di rispondere ai questionari previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 4, e non ottemperi alla richiesta di esibizione di documenti e libri contabili relativi all’impresa esercitata, in tal modo impedendo o comunque ostacolando la verifica, da parte dell’Ufficio, dei redditi prodotti, vale di per sè solo ad ingenerare un sospetto in ordine all’attendibilità di quelle scritture, rendendo “grave” la presunzione di attività non dichiarate desumibile dal raffronto tra le percentuali di ricarico applicate e quelle medie del settore e legittimo l’accertamento induttivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), (Cass. 17968/13; Cass. – 12262/07).

La sentenza impugnata, in applicazione di detto principio, ha rilevato che la società si era discostata dagli studi di settore dichiarando tra l’altro costi per il personale doppi rispetto ai guadagni perseguiti.

In tal senso ha osservato che il provvedimento era giustificato non solo dal citato discostamento ma anche da elementi probanti una gestione antieconomica quale, in presenza di crisi del settore edilizio, il mantenimento del personale senza neppure avvalersi degli ammortizzatori sociali.

Conclusivamente ha osservato che la contribuente non aveva fornito alcuna prova concreta circa l’incidenza e gli effetti della crisi di settore sulla situazione economico – contabile dell’impresa.

A tale proposito occorre osservare che in presenza di elementi presuntivi desunti dalla discrepanza rispetto agli studi di settore e da altri elementi accertati dall’Ufficio si determina una presunzione in relazione alla quale spetta al contribuente fornire elementi di prova in senso contrario.

A fronte di tale motivazione viene lamentato con il motivo in esame che: non si sarebbe tenuto conto della situazione personale del contribuente e della realtà economica in cui opera; non sarebbero state verificate le ragioni a giustificazione della scostamento dei ricavi rispetto a quelli previsti per le percentuali di ricarico; senza fornire prova della effettiva esistenza di un maggior ricarico rispetto a quello dichiarato.

Le censure che la ricorrente muove a tale motivazione appaiono del tutto generiche senza riferimento specifico a quanto dedotto e documentato in senso contrario nei gradi di merito ed appaiono per molti versi investire il merito della decisione.

Conclusivamente il ricorso va respinto.

Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 18000,00 oltre spese prenotate a debito. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2020

 

 

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