Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26614 del 12/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 12/12/2011, (ud. 16/11/2011, dep. 12/12/2011), n.26614

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2712-2011 proposto da:

ENEL SERVIZIO ELETTRICO SPA (OMISSIS) – Società con unico

azionista, soggetta all’attività di direzione e coordinamento di

Enel SpA in persona del procuratore, nella sua qualità di

beneficiaria del ramo di azienda della ENEL DISTRIBUZIONE SPA,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA G. DA CARPI 6, presso lo studio

dell’avvocato SZEMERE RICCARDO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GUERRA PIETRO, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

D.S.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1441/2010 del TRIBUNALE di AVELLINO del

20.9.2010, depositata il 02/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/11/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTA VIVALDI;

udito per la ricorrente l’Avvocato Riccardo Szemere che insiste per

l’accoglimento del ricorso;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. BASILE

Tommaso che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con sentenza depositata il 2.10.2010 il Tribunale di Avellino rigettò l’appello proposto da Enel Distribuzione S.p.A. avverso la sentenza del Giudice di Pace che l’aveva condannata a risarcire a D.S.C. il danno da inadempimento del contratto di somministrazione di energia elettrica.

2. – L’inadempienza venne ravvisata nel mancato rispetto del provvedimento dell’Autorità Garante per l’Energia Elettrica e il Gas che aveva previsto l’obbligo per il fornitore di predisporre una modalità gratuita di pagamento dell’energia, in tal senso integrando – ex art. 1339 c.c. – il contratto di somministrazione.

3 – Avverso la suddetta sentenza Enel Servizio Elettrico s.p.a., nella qualità di procuratore speciale di Enel Distribuzione S.p.A. nonchè Enel Servizio Elettrico s.p.a., quale beneficiaria di ramo di azienda di Enel Distribuzione spa, hanno proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.

L’utente intimato non ha espletato attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo di ricorso denuncia “violazione e falsa applicazione della L. 14 novembre 1995, n. 481, art. 2”, assumendosi che la deliberazione n. 200 del 1999 e particolarmente l’art. 6, comma 4, di essa non aveva avuto l’effetto di integrare il contratto di utenza, perchè la L. n. 481 del 1995 e in specie l’art. 2, comma 12, lett. h) di essa attribuirebbe questo effetto solo alle delibere in tema di produzione ed erogazione di servizi, mentre il citato comma 4, dell’art. 6 avrebbe riguardato materia estranea a tali concetti.

Il secondo motivo lamenta “difetto di motivazione in ordine ad un fatto decisivo e controverso”.

Il terzo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 1339 cod. civ. – Omessa motivazione su punti decisivi della controversia”, sotto il profilo che erroneamente il Tribunale avrebbe attribuito comunque efficacia integrativa del contratto all’art. 6, comma 4, citato, invocando l’art. 1339 c.c.: tale norma non poteva, invece, trovare applicazione, perchè rende possibile l’inserzione automatica di clausole nel contratto solo in sostituzione di quelle difformi previste e non invece, l’inserimento in assenza di una specifica pattuizione contrattuale. D’altro canto, l’inserimento non era stato possibile anche perchè l’inosservanza della delibera da parte dell’Enel era espressamente sanzionabile dall’Autorità ai sensi della citata L. n. 481 del 1995, art. 2, comma 20, lett. c).

Il quarto motivo lamenta “insufficiente motivazione su fatti decisivi e controversi”, rappresentati dall’obiettiva inidoneità dell’art. 6, comma, 4, a porre un ipotetico precetto integrativo, sotto il profilo che non risultava determinato in che cosa dovesse consistere la modalità gratuita di pagamento, tenuto conto che il pagamento presso gli sportelli siti nei capoluoghi di provincia poteva costringere l’utente a sobbarcarsi spese ben maggiori di quelle del pagamento di un euro tramite il bollettino postale.

2.- I primi quattro motivi, afferendo alla questione della idoneità dell’art. 6, comma 4, della nota deliberazione a svolgere efficacia integrativa del contratto, possono essere considerati unitariamente, con l’avvertenza che le considerazioni che si verranno svolgendo ed approderanno alla conclusione della sua inidoneità si giustificano sia a livello interno alla L. n. 481 del 1995, sia considerandola in riferimento al meccanismo civilistico di cui all’art. 1339 c.c., espressamente evocato dall’Enel, sia considerandola in riferimento alla norma sull’integrazione del contratto ai sensi dell’art. 1374 c.c., evocata fugacemente dalla decisione impugnata, ma non nei motivi della ricorrente.

3.- Il Collegio ritiene che l’art. 6, comma 4, della deliberazione non abbia determinato in alcun modo nè l’inserimento della relativa previsione nel contratto di utenza, nè l’integrazione di esso.

Queste le ragioni.

3.1 – Deve innanzitutto ritenersi che non è condivisibile la prospettazione dell’Enel secondo cui l’art. 2, comma 12, lett. h) sarebbe da interpretare nel senso che le deliberazioni adottate dall’A.E.G.G. ai sensi di essa (fra le quali rientra quella di cui all’art. 6, comma 4) possano svolgere efficacia integrativa dei contratti di utenza individuali, attraverso la mediazione dell’integrazione del regolamento di servizio predisposto dal concessionario, soltanto per quanto attiene alla produzione ed alla erogazione del servizio, intese come relative all’esecuzione della prestazione del concessionario del servizio e non invece quanto alle modalità di esecuzione della prestazione dell’utente, come nella specie la modalità dell’adempimento.

Questa lettura della norma non appare conforme alla sua corretta esegesi sia sul piano letterale sia su quello teleologico.

3.2 – Le ragioni sono le seguenti. Va premesso che la L. n. 481 del 1995, art. 1, comma 1 (recante: “Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità”), prevede, sotto la rubrica “Finalità” che “Le disposizioni della presente legge hanno la finalità di garantire la promozione della concorrenza e dell’efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità, di seguito denominati servizi nonchè adeguati livelli di qualità nei servizi medesimi in condizioni di economicità e di redditività, assicurandone la fruibilità e la diffusione in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale, definendo un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela degli interessi di utenti e consumatori, tenuto conto della normativa comunitaria in materia e degli indirizzi di politica generale formulati dal Governo. Il sistema tariffario deve altresì armonizzare gli obiettivi economico-finanziari dei soggetti esercenti il servizio con gli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse”.

Il lettore della norma percepisce fra le finalità della legge v’è anche quella di promuovere “la tutela degli interessi di utenti e consumatori”.

Il successivo art. 2, comma 12, dopo avere previsto che “Ciascuna Autorità nel perseguire le finalità di cui all’art. 1 svolge le seguenti funzioni”, che poi provvede ad elencare in una serie di lettere, nella lett. h) dispone che l’A.E.G.G. “emana le direttive concernenti la produzione e l’erogazione dei servizi da parte dei soggetti esercenti i servizi medesimi, definendo in particolare i livelli generali di qualità riferiti al complesso delle prestazioni e i livelli specifici di qualità riferiti alla singola prestazione da garantire all’utente, sentiti i soggetti esercenti il servizio e i rappresentanti degli utenti e dei consumatori, eventualmente differenziandoli per settore e tipo di prestazione; tali determinazioni producono gli effetti di cui al comma 37”.

Ora, la struttura di questa norma consente di affermare che dall’esercizio da parte dell’A.E.G.G. del potere da essa previsto possa senz’altro derivare una integrazione del contratto di utenza ai sensi dell’art. 1339 c.c. (possibile anche senza una sostituzione di clausola prevista, sostituzione che può, comunque, essere anche solo parziale e, quindi, modificativa).

Il punto da chiarire concerne, per un verso la definizione dell’ambito oggettivo di tale possibile integrazione e, per altro verso l’individuazione delle condizioni in presenza delle quali l’esercizio del potere può avere l’effetto integrativo.

Che in astratto l’integrazione possa avvenire si desume dal fatto che il potere di cui alla norma in esame è potere esercitabile attraverso atti di natura certamente amministrativa, qualificabili, allorquando abbiano carattere normativo, cioè idoneità a prescrivere comportamenti ai soggetti esercenti, come regolamenti propri del settore cui appartiene il singolo servizio e cui soprintende la specifica autorità, oppure, se si da rilievo alla limitatezza della platea di detti soggetti ed al loro carattere predefinito in un dato momento, e da tanto si inferisca la mancanza del carattere dell’astratta indeterminatezza dei soggetti destinatari, come atti amministrativi precettivi collettivi, cioè diretti verso soggetti determinati. Poichè tali atti sono emanati sulla base di una previsione di legge, allorchè il loro profilo funzionale ed il loro contenuto possa essere considerato come determinativo di una clausola rispetto al contratto di utenza, l’applicabilità dell’art. 1339 c.c., appare in linea generale giustificata, perchè, quando detta norma allude alle “clausole” imposte dalla legge non si riferisce soltanto al caso nel quale la legge individui essa stessa direttamente la clausola da inserirsi nel contratto (come sarebbe stato se il Codice avesse richiesto che la clausola sia prevista “direttamente” o “espressamente” dalla legge), ma allude anche all’ipotesi in cui la legge preveda che l’individuazione della clausola sia fatta da una fonte normativa da essa autorizzata.

Il che accade nella specie, poichè la previsione di legge dell’art. 2, comma 12, lett. h), nell’attribuire all’autorità e fra queste all’A.E.G.G., il potere di direttiva – se si ritiene che tale potere possa concretarsi nell’individuare clausole dei contratti di utenza – avrebbe appunto l’indicata funzione autorizzatoria, nel senso che la direttiva determinerebbe l’integrazione del contratto in quanto abilitatavi da una previsione di legge.

E’ vero che nella norma non v’è alcun riferimento ai contratti di utenza. Tuttavia, la mancanza di tale riferimento non è affatto decisiva, perchè l’ultimo inciso della norma, prevedendo che le determinazioni dell’autorità producano gli effetti del successivo comma 37, consente che l’integrazione dei contratti di utenza possa avvenire mediatamente. Il comma 37 dell’art. 2, infatti, stabilisce che “il soggetto esercente il servizio predispone un regolamento di servizio nel rispetto dei principi di cui alla presente legge e di quanto stabilito negli atti di cui al comma 36. Le determinazioni delle Autorità di cui al comma 12, lett. h), costituiscono modifica o integrazione del regolamento di servizio”, è allora chiaro che una integrazione del regolamento di servizio, qualora si concreti nella previsione che il contratto di utenza debba contenere una certa clausola, rappresentando il regolamento di servizio sostanzialmente le condizioni generali di contratto alle quali debbono adeguarsi i contratti di utenza, si risolve in via mediata in una integrazione autoritativa dello stesso contratto.

3.3 – Ciò chiarito, riprendendo l’interrogativo su indicato a proposito della necessità di definire il possibile ambito oggettivo della integrabilità dei contratti di utenza per il tramite del potere di cui all’art. 2, comma 12, lett. h), si deve rilevare che l’oggetto di tale potere, là dove (oltre che alla produzione) si riferisce alla “erogazione dei servizi”, ove venga messo in relazione con la proclamazione della L. n. 481 del 1995, art. 1, comma 1, in ordine alla tutela degli interessi di utenti e consumatori, si presta ad essere riferito all’intero ambito del rapporto di utenza individuale, perchè l’erogazione del servizio, essendo diretta verso gli utenti ed avvenendo sulla base dei rapporti individuali di utenza, è formulazione talmente generale da apparire di per sè idonea a comprendere anche il profilo del contenuto di detti rapporti. L’interesse degli utenti e dei consumatori, infatti, non può non essere tutelato anche con riferimento a quell’aspetto delle modalità di erogazione del servizio che si estrinseca nei rapporti individuali. Nè in senso contrario assume un qualche valore l’espressione con la quale la lett. h) specifica “in particolare” che le direttive debbono definire “i livelli generali di qualità riferibili al complesso delle prestazioni e i livelli specifici di qualità riferibili alla singola prestazione da garantire all’utente”. In tal modo si assegna un contenuto minimo necessario alle direttive, ma non si sminuisce il valore onnicomprensivo del riferimento all’erogazione del servizio per come giustificato dall’art. 1, comma 1.

Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale non appare fondata neppure una giustificazione delle lettura restrittiva della lett. h) nel senso – come scrive il Tribunale stesso – ch’esso riguarderebbe comunque solo la prestazione del concedente, mentre gli obblighi dell’utente sarebbero considerati dalle lett. l) ed n) dello stesso art. 2, comma 12. In disparte il rilievo che non è chiaro perchè prescrizioni contenutistiche circa i contratti di utenza, dirette a disciplinare gli obblighi del concedente, non afferiscono almeno indirettamente comunque, cioè anche quando siano dirette a regolare i comportamenti da tenersi da parte dell’utente, alla prestazione del concessionario, posto che ad essa essi si correlano nel sinallagma contrattuale, si osserva che il contenuto delle lett. l) ed n) semmai conferma la lettura estensiva della lett. h).

La lett. l) dispone che l’autorità “pubblicizza e diffonde la conoscenza delle condizioni di svolgimento dei servizi al fine di garantire la massima trasparenza, la concorrenzialità dell’offerta e la possibilità di migliori scelte da parte degli utenti intermedi o finali”. E la lett. n) che l’autorità “verifica la congruità delle misure adottate dai soggetti esercenti il servizio al fine di assicurare la parità di trattamento tra gli utenti, garantire la continuità della prestazione dei servizi, verificare periodicamente la qualità e l’efficacia delle prestazioni all’uopo acquisendo anche la valutazione degli utenti, garantire ogni informazione circa le modalità di prestazione dei servizi e i relativi livelli qualitativi, consentire a utenti e consumatori il più agevole accesso agli uffici aperti al pubblico, ridurre il numero degli adempimenti richiesti agli utenti semplificando le procedure per l’erogazione del servizio, assicurare la sollecita risposta a reclami, istanze e segnalazioni nel rispetto dei livelli qualitativi e tariffari”.

Invero, la previsione della lett. l) attiene a compiti di diffusione di informazione presso gli utenti e la lett. n) disciplina i poteri di verifica dell’Autorità, ma l’una e l’altra attività nulla hanno a che fare con la possibile determinazione, attraverso le direttive cui allude la lett. h), del contenuto del contratto di utenza attraverso la mediazione dell’intervento sul regolamento di servizio.

3.4 – Deve, dunque, affermarsi che l’A.E.G.G. attraverso le direttive previste dalla lett. h), dell’art. 2, comma 12, bene può dettare precetti che, in quanto integrano il contenuto del regolamento di servizio cui allude il comma 37 della norma dello stesso art. 12 possono produrre l’integrazione dei contratti di utenza pendenti attraverso la previsione dell’art. 1339 c.c..

A fini di nomofilachia, prima di definire le condizioni in presenza delle quali ciò può avvenire e, quindi, di chiarire se sia avvenuto in concreto con riguardo alla specie che si giudica, il Collegio reputa opportuno formulare una precisazione, che concerne sempre il profilo oggettivo dell’ambito entro il quale le direttive della lett. h) possono svolgere la funzione di integrazione ai sensi dell’art. 1339 c.c..

La precisazione è nel senso che, avvenendo l’integrazione con riferimento a rapporti pur sempre espressione della privata autonomia ed articolandosi attraverso manifestazioni normative secondarie regolamentari oppure integranti atti amministrativi precettivi collettivi, sia pure autorizzate dalla previsione di legge, essa può comportare interventi che incidano sui rapporti di utenza in modo derogatorio anche di norme di legge, se del caso dello stesso codice civile, che abbiano, però, un contenuto meramente dispositivo, cioè derogabile dalla privata autonomia, mentre deve escludersi che possa giustificare interventi in senso derogatorio di norme previste da disposizioni legislative di contenuto imperativo. Invero, mentre l’intervento sulle norme del primo tipo è pienamente giustificabile perchè incide su previsioni legislative che le stesse parti, con il loro accordo, potrebbero derogare, sì che appare giustificato a maggior ragione che sia l’Autorità preposta al settore a prevedere la deroga, seppure con il limite funzionale e di scopo di cui immediatamente si dirà, viceversa, in presenza di una norma imperativa di legge, il principio di legalità impone di intendere il fenomeno di attribuzione di poteri di disciplina, con fonti di rango secondario o addirittura non aventi nemmeno contenuto normativo, in modo restrittivo. E, dunque, in mancanza di un’espressa attribuzione del potere di deroga alle norme imperative da parte di una norma di legge (o, deve ritenersi, di rango comunitario ad effetti diretti nell’ordinamento interno), come non esercitabile in deroga ad esse.

Solo in questo senso e nei limiti ora detti si intende condividere l’affermazione di Cons. Stato, 6^ Sezione, 11 novembre 2008, n. 5622 circa l’esegesi del potere di normazione di cui all’art. 2, comma 12, lett. h), che, invece, quel consesso parrebbe avere inteso come riferita ad ogni norma di legge.

3.5- Sciogliendo la riserva espressa poco sopra, il Collegio ritiene, inoltre, che la stessa possibilità di deroga a norme di legge meramente dispositive sia, però, da restringere sotto il profilo funzionale in senso unidirezionale, cioè sia limitata ad una deroga a favore dell’utente o del consumatore. Lo impone sempre il precetto espresso nel comma 1 dell’art. 1 della legge di settore in precedenza ricordato circa il necessario indirizzarsi dell’attività dell’Autorità a tutela degli interessi di utenti e consumatori.

Ciò, naturalmente, con l’eccezione che vi sia una norma di legge o di rango comunitario ad efficacia diretta che abiliti anche alla deroga a norme imperative. Sicchè il principio di diritto che può affermarsi è il seguente: “Il potere normativo secondario (o, secondo una possibile qualificazione alternativa, di emanazione di atti amministrativi precettivi collettivi) dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. h), si può concretare anche nella previsione di prescrizioni che, attraverso l’integrazione del regolamento di servizio, di cui al comma 37 dello stesso art. 2, possono in via riflessa integrare, ai sensi dell’art. 1339 c.c., il contenuto dei rapporti di utenza individuali pendenti anche in senso derogatorio di norme di legge, ma alla duplice condizione che queste ultime siano meramente dispositive e, dunque, derogabili dalle stesse parti, e che la deroga venga comunque fatta dall’Autorità a tutela dell’interesse dell’utente o consumatore, restando, invece, esclusa – salvo che una previsione speciale di legge o di una fonte comunitaria ad efficacia diretta – non la consenta – la deroga a norme di legge di contenuto imperativo e la deroga a norme di legge dispositive a sfavore dell’utente e consumatore”.

3.6 – Può passarsi a questo punto a definire le condizioni in presenza delle quali la normazione o l’atto di esercizio di poteri amministrativi precettivi a contenuto collettivo ai sensi dell’art. 2, comma 12, lett. h), con i limiti indicati, può integrare, attraverso la mediazione dell’integrazione del regolamento di servizi, i contratti di utenza individuale. Tale definizione deve partire dal dato che il potere di normazione o di amministrazione de quo è qualificato con un’espressione, quella di direttiva, che si presta a comprendere: a) l’imposizione di precetti al destinatario sub specie di indicazione di un risultato da raggiungere, se del caso con o senza assegnazione di un limite di tempo, salva la individuazione da parte di esso del modo con cui pervenire al risultato, ch’egli, dunque, può in sostanza poi scegliere; b) l’imposizione di un precetto specifico che non lasci al destinatario alcuna possibilità di scelta sui tempi e sui modi. Ebbene, l’idoneità della direttiva a determinare, tramite la mediazione dell’integrazione del regolamento di servizio, l’integrazione dei contratti di utenza per la via dell’art. 1339 c.c., è configurabile soltanto nel secondo caso. Non lo è, invece, nel primo. Soltanto nel secondo caso, l’imposizione di un precetto specifico si può connotare sub specie di clausola, cioè di diretta regolamentazione prima del regolamento di servizio e, quindi, del contratto di utenza.

Invero, una clausola, identificando una parte del regolamento contrattuale deve avere di norma un contenuto determinato, cioè specifico (art. 1346 c.c.). E’ vero che la clausola può avere anche un contenuto determinabile (sempre art. 1346 c.c.), ma allora – ammesso che sia sostenibile un’integrazione ai sensi dell’art. 1339 c.c., di un contratto, attraverso una norma che si limiti a prevedere che debba assicurarsi un risultato, lasciandone però i modi alla determinazione di una delle parti del contratto – l’onere di specificazione si trasferisce almeno al procedimento ed ai contenuti della determinazione.

Ora, la previsione della Delib. n. 200 del 1999, art. 6, comma 4, imponendo all’esercente “di offrire al cliente almeno una modalità gratuita di pagamento della bolletta” si connotava certamente come prescrizione del tutto inidonea ad integrare una clausola di contenuto determinato. In tanto, la previsione della modalità come concorrente con altre di effetto diverso lasciava al concessionario il potere di individuare questa modalità in concorso con altre e, quindi, lo facultava a prevedere più di una modalità. In secondo luogo, il concessionario era facultato ad individuare gli stessi termini della modalità gratuita. Nè potrebbe dirsi che la prescrizione integrasse una clausola il cui contenuto era rimesso all’individuazione dello stesso concessionario, sì da integrare una clausola di contenuto determinabile: occorre, infatti, tenere presente che la determinabilità, una volta che la modalità gratuita non veniva prevista come esclusiva, era sostanzialmente insussistente, in quanto l’esercizio del potere di determinazione da parte del concessionario doveva muoversi pur sempre lasciando intatta la previsione del codice civile, di cui alla norma dispositiva sul pagamento, prevista nell’art. 1196 c.c., secondo la quale “le spese del pagamento sono a carico del debitore”. Previsione questa che implica che il costo dell’attività necessaria al debitore per pagare è di norma a suo carico e che, per essere apprezzata nel suo effettivo significato, deve essere coordinata anche con quelle sul luogo del pagamento, espresse nell’art. 1182 c.c., e particolarmente con quella sul luogo del pagamento delle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro determinate, che il primo inciso del terzo comma della norma, indica nel domicilio del creditore. L’art. 1196, in sostanza, in riferimento a dette obbligazioni, fra le quali rientrano quelle dell’utente relative al pagamento della bolletta (o fattura) (modalità di richiesta del pagamento sostanzialmente prevista come necessaria dall’art. 6, comma 1, della nota deliberazione), comportava che la spesa necessaria all’utente per recarsi a pagare al domicilio del soggetto esercente fosse a carico di lui. Onde, la previsione di una modalità gratuita di pagamento, in mancanza sia di un’espressa deroga all’art. 1196 c.c., sia di una deroga implicita, siccome rivelava la previsione come soltanto una delle modalità (e, quindi, alternativa) di quella gratuita, non poteva certo implicare che l’utente dovesse essere esentato da detta spesa, ma, semmai, poteva giustificare che l’esercente non potesse imporre in caso di pagamento al suo domicilio (o ad uno dei suoi domicili) un addebito ulteriore: la spesa per l’esecuzione del pagamento al detto domicilio e, quindi, il costo dell’attività ed il dispendio di attività per farlo ai sensi dell’art. 1196 c.c., erano a carico dell’utente, stante la mancata deroga a detta norma.

Nel contempo, la mancanza di deroga all’art. 1196, e, quindi, la conservazione dell’onere del debitore di sopportare eventuali costi per l’attività necessaria per adempiere al domicilio dell’esercente, implicava che lo stesso parametro della “gratuità” dovesse essere valutato comparativamente con il costo di modalità di pagamento che, pur imponendo all’utente un costo, come il pagamento con domiciliazione bancaria o su conto corrente postale, tuttavia, l’avessero esentato dalla spesa necessaria per recarsi presso il domicilio (più o meno lontano) dell’esercente, spesa che poteva essere più o meno rilevante a seconda della sua distanza. In questa situazione la prescrizione dell’art. 6, comma, 4 non aveva nemmeno un contenuto tale da poter essere mutuato come clausola a contenuto determinabile e, dunque, – anche a voler (problematicamente) concedere che un’integrazione ai sensi dell’art. 1339 c.c., sia possibile da parte di una clausola a contenuto rimesso alla determinazione di una parte – non era idonea a modificare o integrare il regolamento di servizio all’epoca vigente e, quindi, di risulta i contratti di utenza individuali.

3.7- In realtà, una prescrizione come quella in discorso, per la sua indeterminatezza assegnava all’esercente una sorta di obbligo di perseguimento di un risultato con ampi poteri di scelta, salva la valutazione dell’A.E.G.G. circa il raggiungimento del risultato attraverso i poteri di ispezione, accesso ed acquisizione di documentazione e notizie, previsti dall’art. 2, comma 12, lett. g) e quelli di valutazione di reclami, istanze e segnalazioni della successiva lett. m), con conseguente possibilità dell’Autorità all’esito di esercitare il potere previsto dall’art. 2, comma 20, lett. d), cioè di ordinare “al soggetto esercente il servizio la cessazione di comportamenti lesivi dei diritti degli utenti, imponendo, ai sensi del comma 12, lett. g), l’obbligo di corrispondere un indennizzo al soggetto esercente il servizio la cessazione di comportamenti lesivi dei diritti degli utenti, imponendo, ai sensi del comma 12, lett. g), l’obbligo di corrispondere un indennizzo”.

Inoltre, l’A.E.G.G., a parte il potere di intervenire con una prescrizione nuova sufficientemente specifica da produrre l’effetto dell’art. 1339 c.c., avrebbe avuto anche il potere di segnalare all’amministrazione concedente, in sede di parere ai sensi della L. n. 481 del 1995, art. 2, comma 34, l’opportunità all’atto del rinnovo della concessione o di una sua revisione di prevedere nella convenzione o nel contratto di programma di cui al comma 36 la prescrizione.

4. – Deve, dunque, sulla base delle complessive considerazioni svolte escludersi che la prescrizione della Delib. A.E.E.G. n. 200 del 1999, art. 6, comma 4, abbia comportato la modifica o integrazione del regolamento di servizio del settore esistente all’epoca della sua adozione e, di riflesso, l’integrazione dei contratti di utenza ai sensi dell’art. 1339 c.c., di modo che l’azione di responsabilità per inadempimento contrattuale esercitata dalla parte attrice risulta priva di fondamento, perchè basata su una clausola contrattuale inesistente, perchè non risultava introdotta nel contratto di utenza.

5.- Va a questo punto precisato che nella specie, avuto riguardo al riferimento della sentenza impugnata all’integrazione per effetto della deliberazione dell’A.E.E.G. anche ai sensi dell’art. 1374 c.c., le stesse considerazioni svolte a proposito della inidoneità a svolgere la funzione di cui all’art. 1339 c.c., sarebbero riproponibili anche sotto il profilo dell’art. 1374 c.c..

Mette conto di osservare, tuttavia, che la pertinenza nella specie dell’istituto di cui all’art. 1374 c.c., sembrerebbe doversi escludere, poichè la norma postula l’integrazione del contratto con riguardo ad aspetti non regolati dalle parti e, quindi, svolge tradizionalmente una funzione suppletiva e non di imposizione di una disciplina imperativa, come accade per l’istituto di cui all’art. 1339 c.c..

Nella logica del sistema di cui alla L. n. 481 del 1995, la previsione del potere di integrazione del contratto di utenza, esercitabile dall’A.E.E.G. nei sensi su indicati, è certamente espressione non di supplenza, ma di imposizione di un regolamento ritenuto autoritativamente dovuto.

6. – Conclusivamente il ricorso è accolto per quanto di ragione sulla base dello scrutinio complessivo ed unitario dei primi quattro motivi e la sentenza è cassata.

Gli ulteriori motivi di ricorso restano assorbiti, perchè, se l’integrazione del contratto non è avvenuta, non può esservi stato alcun inadempimento.

Il Collegio reputa a questo punto che non vi sia necessità di rinvio, potendo la causa essere decisa nel merito, in quanto non occorrono accertamenti di fatto per ritenere che la domanda proposta dall’utente debba essere rigettata. Al riguardo, la sua infondatezza emerge anche per il profilo subordinato, inerente il preteso inadempimento dell’obbligo di informazione: è evidente che, se la delibera non ha integrato il contratto per la sua indeterminatezza, l’oggetto dell’obbligo de quo non può essere insorto.

7. – Le spese delle fasi di merito, sulle quali questa Corte deve provvedere, possono essere integralmente compensate, giacchè è notorio che nella giurisprudenza di merito la questione di diritto dell’efficacia della norma della nota deliberazione è stata decisa in modi opposti, come risulta anche da ricorsi esaminati nella stessa odierna udienza, nei quali l’Enel era convenuta.

Le spese del giudizio di cassazione seguono invece la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione riguardo ai primi quattro motivi. Dichiara assorbiti i successivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione e, decidendo la causa nel merito, accoglie l’appello e rigetta la domanda della parte intimata. Compensa le spese dei gradi di merito. Condanna la parte intimata al pagamento, in favore delle ricorrenti, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro seicento, di cui Euro duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 16 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA