Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26612 del 22/10/2018

Cassazione civile sez. II, 22/10/2018, (ud. 30/05/2018, dep. 22/10/2018), n.26612

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 14001/’14) proposto dal:

B.P., (C.F.: (OMISSIS)) e B.S. (C.F.:

(OMISSIS))), il secondo nella sola qualità di procuratore speciale

di B.P., rappresentati e difesi, in forza di procura

speciale apposta a margine del ricorso, dagli Avv.ti Lorenzo Marco

Agnoli e Leonardo Zanetti ed elettivamente domiciliati presso lo

studio dell’Avv. Guido Fiorentino, in Roma, v. Tibullo, n. 10;

– ricorrenti –

contro

COMUNE di BOLOGNA, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato

e difeso, in virtù di procura speciale a margine del controricorso,

dagli Avv.ti Maria Montuoro, Giulia Carestia e Giorgio Stella

Richter ed elettivamente domiciliato presso lo studio del terzo, in

Roma, v. Orti della Farnesina, n. 126;

– controricorrente –

e

D.G.; M.M.; R.G.C.;

A.E.; C.G.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 1910/2013,

depositata il 29 ottobre 2013 (e notificata il 27 marzo 2014);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 30

maggio 2018 dal Consigliere relatore Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Patrone Ignazio, che ha concluso, in via principale,

per l’inammissibilità del ricorso e, in via subordinata, per il suo

rigetto;

uditi l’Avv. Guido Fiorentino (con delega) per il ricorrente e l’Avv.

Giorgio Stella Richter per il controricorrente Comune di Bologna.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 137/2012 il Tribunale di Bologna accoglieva le domande proposte dai sigg. D.G. e M.M. nei confronti di B.P. e B.S. (nel cui giudizio erano chiamati in causa, ad istanza dei medesimi convenuti, a titolo di garanzia, il Comune di Bologna e i suoi dipendenti, in proprio, R.G.C., A.E. e C.G.) e, per l’effetto, dichiarava legittimo il recesso esercitato dagli attori in data 29 maggio 2008, ai sensi dell’art. 1385 c.c. (per grave inadempimento dei promittenti venditori B. in conseguenza della impossibilità della stipula del contratto definitivo di compravendita di un immobile sito in (OMISSIS), siccome risultato privo del certificato di agibilità), condannando gli stessi convenuti alla corresponsione della somma di Euro 120.000,00, oltre interessi dalla messa in mora al saldo; con la stessa decisione l’adito Tribunale rigettava le domande formulate dai convenuti in danno del Comune di Bologna, provvedendo alla conseguente regolazione delle spese processuali in base al principio della soccombenza.

Sull’appello proposto dai convenuti soccombenti B.P. e B.S. (quest’ultimo non in proprio ma sempre nella qualità di procuratore speciale del primo), nella costituzione degli appellati D.G. e M.M. nonchè dell’appellato Comune di Bologna (nel mentre gli altri appellati rimanevano contumaci), la Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 1910/2013 (depositata il 29 ottobre 2013), rigettava il gravame e condannava gli appellanti alla rifusione delle spese del grado.

A sostegno dell’adottata decisione la Corte felsinea riteneva, in primo luogo, infondata la doglianza formulata dagli appellanti circa il prospettato illegittimo diniego della sospensione del giudizio civile in attesa della definizione di quello pendente dinanzi al T.A.R. Emilia Romagna (siccome considerata dal Tribunale non rientrante tra i casi di sospensione obbligatoria, alla stregua dell’oggetto dei due processi e della loro autonomia).

Con riferimento ai motivi attinenti propriamente al merito della controversia, il giudice di appello osservava che la sentenza di primo grado aveva dato conto della sussistenza di tutti i presupposti per ravvisare il grave inadempimento dei promittenti venditori, avuto riguardo alla situazione oggettiva dell’immobile costituente oggetto del contratto preliminare di vendita, all’assenza di agibilità dello stesso e agli specifici rapporti contrattuali intercorsi tra le parti, evidenziando, in particolare, come gli appellanti avessero garantito la conformità dell’immobile alla normativa edilizia ed il possesso del certificato di agibilità, obbligandosi a consegnare ai promissari acquirenti la relativa documentazione entro il termine (da qualificarsi essenziale e senza che fosse sopravvenuta alcuna proroga convenzionale) previsto per la stipula del contratto definitivo, senza, però, poi essere in grado di ottemperare agli obblighi contrattuali assunti, non sortendo alcuna rilevanza sul punto che il certificato di abitabilità fosse stato ottenuto dal B.P. in epoca successiva.

Infine la Corte di secondo grado riteneva inammissibili le altre doglianze prospettate dagli appellanti siccome afferenti a questioni nuove.

Avverso la suddetta sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in sette motivi (da intendersi proposti in via gradatamente subordinata), B.P. e B.S. (quest’ultimo sempre nella sola spiegata qualità di procuratore speciale del primo), al quale ha resistito con controricorso il solo Comune di Bologna, mentre le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva in questa fase.

Con atto depositato il 19 giugno 2014 i ricorrenti hanno dichiarato di rinunciare, ai sensi dell’art. 390 c.p.c., al ricorso per cassazione nei soli confronti degli intimati D.G. e M.M. (accettando che la sentenza impugnata passasse in giudicato a vantaggio degli stessi, con compensazione delle spese del giudizio di legittimità).

La difesa del controricorrente Comune di Bologna ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In linea pregiudiziale bisogna dare atto – come già evidenziato in narrativa – che la difesa della parte ricorrente ha depositato, ai sensi dell’art. 390 c.p.c., apposito atto di rinuncia parziale al ricorso, siccome rivolto nei soli confronti degli intimati D.G. e M.M., ragion per cui, ai sensi dell’art. 391 c.p.c., occorre pronunciare l’estinzione del giudizio limitatamente al rapporto processuale instauratosi in sede di legittimità tra i ricorrenti e i predetti intimati.

Sulla base di tale presupposto è necessario rilevare che – avendo la parte ricorrente denunciato con il terzo motivo (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) la supposta violazione delle regole sui presupposti dell’azione e il vizio di omessa pronuncia in ordine all’argomento secondo cui le parti avevano consensualmente superato il termine per la stipula del contratto definitivo e che, al momento dell’inizio del giudizio, l’appartamento possedeva l’agibilità – l’esame di tale censura, siccome riferita nei soli riguardi del D. e del M., rimane assorbito in dipendenza della sopravvenuta rinuncia parziale al ricorso (per effetto dell’intervenuta carenza di interesse del ricorrente alla inerente pronuncia) nei confronti dei suddetti intimati.

2. Rileva, poi, il collegio in via preliminare che il ricorrente (così come rappresentato anche da B.S.) ha richiesto, anche nella presente sede di legittimità, la sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c. in attesa della definizione del giudizio di appello dinanzi al Consiglio di Stato avverso la sentenza (di rigetto) di primo grado del T.A.R. Emilia Romagna n. 19/2010 adito dalle parti D.G. e M.M. in ordine alla pratica di agibilità dell’immobile oggetto della controversia civile.

2.1. Osserva il collegio che l’istanza è inammissibile.

Infatti, al di là dell’assorbente circostanza che – nelle more del presente giudizio – è intervenuta la sentenza n. 4810 del 2014 della 4^ Sezione del Consiglio di Stato (come prodotta in udienza dal P.G.), con la quale, per effetto del rigetto dell’appello proposto dal B.P., il ricorso amministrativo di quest’ultimo è stato definitivamente respinto, occorre evidenziare che la suddetta richiesta di sospensione formulata ai sensi dell’art. 295 c.p.c., non può considerarsi propriamente proponibile in sede di legittimità in quanto involgente valutazioni di merito (cfr., ad es., Cass. n. 5108/1978 e Cass. n. 7932/2012), mentre è, eventualmente, impugnabile nei modi previsti dalla legge, l’omessa pronuncia sull’istanza di sospensione o con regolamento di competenza (ai sensi dell’art. 42 c.p.c.) l’ordinanza dichiarativa della sospensione per pregiudizialità logico-giuridica.

3. Chiarito questo profilo preliminare e passando all’illustrazione dei motivi formulati (con superamento dell’esame del terzo, come già posto in risalto), si osserva che con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la (supposta) violazione dell’art. 295 c.p.c. e il vizio di omessa pronuncia in ordine alla richiesta di sospensione del processo.

4. Con la seconda doglianza i ricorrenti hanno prospettato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione degli artt. 233 e 345 c.p.c. e l’ulteriore vizio di omessa pronuncia con riferimento alla richiesta di deferimento del giuramento decisorio.

5. Con la quarta censura i ricorrenti hanno dedotto – ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione delle regole sulla potestas decidendi in caso di controversie tra privati in cui rilevino degli atti della P.A. e l’omissione di pronuncia in ordine alla richiesta di conoscere incidenter tantum l’annullamento in autotutela dell’agibilità.

6. Con il quinto motivo i ricorrenti hanno denunciato – in relazione sempre all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione delle regole sull’istruttoria e l’omessa pronuncia in ordine all’argomento secondo cui la comunicazione di avvio della procedura di annullamento in autotutela dell’agibilità pervenne il giorno dopo la stipula del preliminare, per cui avrebbe potuto ottenersi, al più, la restituzione della caparra e non il doppio della stessa.

7. Con la sesta doglianza (contenente uno sviluppo del precedente motivo) i ricorrenti hanno dedotto – sempre in virtù dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – la violazione delle regole sull’istruttoria e/o il vizio di omissione di pronuncia in ordine alla presunta novità-inammissibilità dell’argomento secondo cui al più sarebbe stata dovuta la restituzione della caparra e non del doppio della stessa.

8. Con il settimo ed ultimo motivo – formulato ancora con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – i ricorrenti hanno inteso denunciare la violazione delle regole sulla responsabilità della P.A. e/o dei suoi funzionari, nonchè la violazione del principio jura novit curia e il vizio di omessa pronuncia in ordine alla presunta novità-inammissibilità della domanda contro il Comune di Bologna e sigg. R.G., A. e C..

9. La prima doglianza è manifestamente infondata poichè non sussiste il supposto vizio di omessa pronuncia avendo la Corte di appello di Bologna – nel confermare il percorso logico adottato dal giudice di primo grado – comunque deciso sul motivo relativo alla mancata applicazione dell’art. 295 c.p.c. e, in ogni caso, essa con ordinanza incidentale, aveva già respinto l’istanza di sospensione del giudizio per assunta pregiudizialità logico-giuridica con il dedotto giudizio amministrativo (la cui ragione d’essere – come già rimarcato è venuta, oltretutto, meno per la sopravvenuta definizione, in senso negativo per il ricorrente, del giudizio amministrativo, il cui esito era stato ritenuto potenzialmente pregiudicante la risoluzione della causa civile).

10. Anche la seconda censura è all’evidenza destituita di fondamento, dal momento che – dall’esame degli atti del giudizio consentito anche nella presente sede in conseguenza della deduzione di un vizio processuale – dal verbale di udienza (allegato alla sentenza qui impugnata adottata ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c.) emerge che, effettivamente, la Corte di appello, prima dell’emissione della decisione sul merito del gravame, ebbe a pronunciarsi sull’avvenuto deferimento (ad istanza dell’attuale parte ricorrente) del giuramento decisorio, rigettando la relativa richiesta per inidoneità delle circostanze individuate a definire la controversia e per l’inammissibilità delle circostanze che ne costituivano l’oggetto siccome riferite a valutazioni e non a fatti.

11. Pure il quarto motivo non coglie nel segno e deve essere disatteso.

Infatti, il giudice di appello – oltre a confermare l’insussistenza dei presupposti per la sospensione ex art. 295 c.p.c. – ha dato atto della correttezza della motivazione del giudice di prima istanza che, in via incidentale, appositamente sollecitato, aveva ravvisato la legittimità dell’attività del Comune di Bologna in ordine alla pratica amministrativa inerente il rilascio del certificato di agibilità e della regolarizzazione urbanistica dell’immobile oggetto del contratto, in tal senso non rilevando – seppure “incidenter tantum” – alcuna illegittimità di atti amministrativi e, quindi, pronunciando su tale aspetto, senza, perciò, incorrere nel denunciato vizio di “omessa pronuncia”.

12. Il quinto ed il sesto motivo (quest’ultimo qualificato dal ricorrente come sviluppo del precedente) sono esaminabili congiuntamente in quanto strettamente connessi.

Essi sono inammissibili perchè – in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), – la parte ricorrente non ha riportato – nel corpo delle censure – pedissequamente il contenuto della specifica eccezione asseritamente formulata in primo grado e riferita al possibile suo diritto di restituire la sola caparra e non il doppio della stessa. La difesa del ricorrente (v. pag. 48 del ricorso) sostiene di aver formulato l’eccezione fin dalla comparsa di costituzione e risposta, ma dal tenore della difesa – che risulta richiamata – non emerge alcun riferimento puntuale ed in termini univoci alla proposizione di siffatta eccezione, ponendosi riferimento alla questione dell’assunta inimputabilità al B.P. della mancanza di agibilità (per factum principis o per imprevedibilità delle inerenti circostanze), ma non alla confutazione delle conseguenze scaturenti dal suo inadempimento così come dedotto in citazione dagli originari attori.

In virtù di tale svolgimento della vicenda processuale ne consegue che la Corte di appello ha ritenuto legittimamente come nuova – e, perciò, inammissibile la relativa richiesta formulata univocamente per la prima volta in appello.

13. Il settimo ed ultimo motivo è inammissibile con riguardo al dedotto vizio motivazionale sull’assunta esclusione – ritenuta con la sentenza di appello della responsabilità del Comune di Bologna e dei tre suoi dipendenti intimati anche in questa sede ed infondato nel resto.

Sotto il primo profilo si osserva che, in seguito alla riformulazione di tale disposizione normativa (“ratione temporis” applicabile nel caso di specie siccome la sentenza impugnata è stata pubblicata successivamente all’il settembre 2012), intervenuta per effetto del D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 8053/2014 e Cass. n. 23940/2017).

Inoltre, come per i precedenti due motivi, la difesa del ricorrente ha omesso, anche per il profilo in questione, di riportare specificamente il testo delle difese mediante le quali – fin dalla comparsa di costituzione e di risposta in primo grado e anche negli atti difensivi successivi – aveva richiesto che qualsiasi debenza a suo carico avrebbe dovuto impegnare la responsabilità del Comune di Bologna e dei suoi funzionari che avevano seguito le varie pratiche sull’immobile (in solido fra loro). Invero, al di là di un generico riferimento a dette difese nei termini appena riportati (v. pag. 49 del ricorso), non risultano richiamati, in modo puntuale ed univoco, i passaggi e la cronologia della deduzione di tali difese, ragion per cui – anche su tale punto – risulta giustificata la pronuncia di inammissibilità operata dal giudice di secondo grado sul presupposto che trattavasi di questioni prospettate per la prima volta in appello.

Va, in ogni caso, rilevato che – ove anche si volesse ritenere che tale profilo fu ammissibilmente dedotto in appello – non può, comunque, dirsi sussistente il supposto vizio di omessa pronuncia e il giudice di appello (v. pag. 15 dell’impugnata sentenza), confermando anche sul punto la statuizione del giudice di prime cure, ha motivato sull’insussistenza della responsabilità da contatto amministrativo del Comune di Bologna e dei suoi dipendenti evocati in giudizio, sul presupposto che – in base agli accertamenti istruttori esperiti – la condotta osservata dal suddetto ente comunale non era stata tale da ingenerare alcun legittimo affidamento sul rilascio del certificato di conformità edilizia.

14. In definitiva, sulla scorta delle argomentazioni complessivamente esposte, dichiarata l’estinzione parziale del giudizio di cassazione nei confronti degli intimati D.G. e M.M. per intervenuta rinuncia al ricorso nei loro riguardi, il ricorso – così come proposto contro le altre parti intimate – deve essere respinto, con la conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento – nei soli confronti del controricorrente Comune di Bologna – delle spese del presente giudizio, liquidate nella misura di cui in dispositivo.

Nulla per le spese nei riguardi delle altre parti rimaste intimate.

Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte degli stessi ricorrenti in via solidale, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’estinzione del giudizio di legittimità nei confronti degli intimati D.G. e M.M. per intervenuta rinuncia al ricorso nei loro riguardi ai sensi degli artt. 390 e 391 c.p.c., con conseguente assorbimento del terzo motivo.

Rigetta il ricorso così come proposto nei confronti delle altre parti e condanna la parte ricorrente al pagamento – in favore del controricorrente Comune di Bologna – delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario al 15%, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 30 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018

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