Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26612 del 18/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 18/10/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 18/10/2019), n.26612

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27074-2014 proposto da:

ALMAVIVA CONTACT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8,

presso lo studio degli avvocati MAURIZIO MARAZZA, DOMENICO DE FEO,

MARCO MARAZZA, che la rappresentano e difendono;

– ricorrente principale –

contro

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato ENRICO LUBERTO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO INCHES;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

nonchè contro

ALMAVIVA CONTACT S.P.A. in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8,

presso lo studio degli avvocati MAURIZIO MARAZZA, DOMENICO DE FEO,

MARCO MARAZZA, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 7117/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/11/2013 R.G.N. 4407/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2019 dal Consigliere Dott. MAROTTA CATERINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e rigetto del ricorso incidentale; uditi gli Avvocati

MARCO INCHES, ENRICO LUBERTO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.G., assunto dalla Atesia S.p.A., nel periodo (OMISSIS), con distinti contratti di collaborazione autonoma e continuativa quindi con contratti a progetto, come operatore di call center, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Roma la società chiedendo l’accertamento della natura subordinata del rapporto e la declaratoria di prosecuzione dello stesso con nullità e/o inefficacia del licenziamento intimatogli e condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro in precedenza occupato nonchè al risarcimento del danno, pari alle retribuzioni maturate dal licenziamento alla effettiva riammissione in servizio.

2. Il Tribunale respingeva la domanda escludendo la asserita natura subordinata del rapporto e la sottoposizione al potere gerarchico e disciplinare tipico del datore di lavoro e ritenendo altresì infondata la domanda subordinata relativa alla illegittimità delle proroghe del contratto di collaborazione coordinata.

3. La decisione era in parte riformata dalla Corte d’appello di Roma che dichiarava la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro subordinato part-time a tempo indeterminato, con inquadramento nel 3 livello del c.c.n.l. di settore, con decorrenza dal (OMISSIS), e la prosecuzione dello stesso con condanna della società alla regolarizzazione contributiva ed al risarcimento del danno nella misura pari a tre mensilità.

Rilevava la Corte territoriale che, al momento della instaurazione dei rapporti, la società, oltre a fornire istruzioni tecniche sull’uso dei terminali, avesse disciplinato compiutamente le modalità di utilizzo delle postazioni, non limitandosi a pretendere il rispetto di quelle che la difesa della appellata aveva ritenuto essere elementari regole di buona educazione.

Evidenziava che nelle campagne cosiddette outbound dovesse essere rigidamente rispettato lo schema predisposto dalla Atesia S.p.A. sulla base delle indicazioni della ditta committente e che, in particolare, l’operatore fosse tenuto a condurre le interviste senza potersi discostare, nella formulazione delle domande, persino dall’ordine delle stesse.

Rilevava che anche le risposte alle chiamate ricevute (cosiddette chiamate inbound) prevedessero il rispetto di frasi di apertura e chiusura della conversazione e che per garantire la uniformità delle risposte o delle interviste o delle promozioni venissero organizzati incontri, cosiddetti briefings, finalizzati alla formazione degli operatori, i quali non avevano una gestione autonoma dei contatti ed erano anche sottoposti ad uno stringente controllo da parte degli assistenti che li richiamavano nel caso in cui le conversazioni non fossero state correttamente condotte.

Riteneva che la valutazione complessiva del materiale probatorio acquisito consentisse di pervenire alla qualificazione del rapporto nei termini sollecitati dall’appellante, essendo risultato provato l’esercizio del potere direttivo e gerarchico del datore di lavoro, manifestatosi attraverso le puntuali e specifiche direttive impartite, il cui mancato rispetto, accertato per il tramite degli assistenti di sala, determinava, quale reazione, il diniego di rinnovo del contratto.

Quanto alla cessazione del rapporto, evidenziava che fosse risultato dagli atti che F.G. era stato estromesso dal lavoro in data 1 luglio 2007 a seguito del rifiuto di sottoscrivere la proposta di stabilizzazione.

Precisava che, nel caso di specie, alla scadenza dell’ultimo contratto, non fosse stato intimato alcun licenziamento ma solo comunicata l’impossibilità di svolgimento dell’attività lavorativa senza rinnovo del contratto scaduto.

Riteneva inapplicabili le norme relative alla reintegrazione nel posto di lavoro e alla decadenza L. n. 604 del 1966, ex art. 6, ma, data la nullità del termine e della conseguente conversione, considerava il rapporto proseguito ed ancora in atto.

Ai fini dell’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 50, escludeva innanzitutto che il lavoratore avesse nel periodo pregresso svolto mansioni superiori a quelle del formale inquadramento.

Sulla base di tale premessa, rilevava che la proposta contrattuale operata da Almaviva Contact S.p.A. (incorporante l’Atesia S.p.A.) in favore dell’appellante in data 26 novembre 2010 di assunzione a decorrere dal 10/1/2011, con inquadramento nel 3 livello c.c.n.l. Imprese Esercenti Servizi di Telecomunicazione, profilo di “addetto al call center”, e rapporto a tempo parziale di 20 ore settimanali distribuite su 4 ore giornaliere, per cinque giorni a settimana (dal lunedì alla domenica), con un giorno di libertà ed uno di riposo a settimana a rotazione, fosse tale da integrare un’offerta congrua in quanto consequenziale ed omogenea alla precedente offerta formulata all’appellante con telegramma del 1 giugno 2007 ai sensi della legge di stabilizzazione ed in conformità dell’accordo aziendale di stabilizzazione del 13/12/06 L. n. 296 del 1996, ex art. 1, commi 1202 e segg., prevedente i medesimi orari e lo stesso inquadramento.

Considerava, poi, che detta norma, in una interpretazione costituzionalmente orientata ed altresì conforme all’ordinamento sovranazionale, non avesse introdotto una speciale misura sanzionatoria in deroga all’ordinario regime applicabile in caso di accertamento della reale natura subordinata di un rapporto di lavoro e quindi non precludesse l’applicazione delle comuni regole in tema di conversione del rapporto di lavoro.

Riteneva che la prevista indennità economica di ammontare oscillante tra le 2,5 e le 6 mensilità si sostituisse a tutte le normali conseguenze che derivano dall’accertamento della natura subordinata del rapporto sotto il profilo esclusivamente patrimoniale, vale a dire sia i danni derivanti dall’inadempimento e dall’ingiustificata estromissione da parte del datore di lavoro sia i crediti retributivi vantati in relazione alla prestazione svolta, limitatamente, tuttavia, al solo periodo “intermedio”, cioè a quello che corre dalla cessazione della funzionalità del rapporto sino alla sentenza che ne opera la conversione.

4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale Almaviva Contact S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi.

5. F.G. ha resistito con controricorso e formulato altresì ricorso incidentale con un motivo cui la società ha resistito con controricorso.

6. La causa, originariamente chiamata all’adunanza camerale del 9 gennaio 2019, è stata rinviata a nuovo ruolo per la trattazione in udienza pubblica.

7. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia la violazione dell’art. 2094 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla ritenuta sussistenza della prova della natura subordinata del rapporto.

Rileva che gli aspetti evidenziati dalla Corte d’appello a sostegno di tale natura fossero in realtà riconducibili ad una forma di coordinamento tipicamente connotante i rapporti di lavoro autonomo.

Evidenzia che l’operato aziendale, lungi dall’essere espressivo di un potere direttivo e disciplinare, mostrasse piuttosto l’esigenza della società di fornire ai propri clienti un servizio adeguato ed efficace.

Sostiene che sull’attività degli operatori non fosse esercitato alcun controllo.

Deduce che le motivazioni della sentenza presentino incongruità logiche.

2. Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 67, comma 2, (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla valutazione del recesso della società quale elemento a sostegno dell’esercizio del potere disciplinare e dunque della natura subordinata del rapporto.

Assume che tale recesso, riconducibile alla previsione di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 67, comma 2, ed adeguato rispetto alla natura autonoma del rapporto di collaborazione ed al particolare grado di fiducia che esso postula, fosse un elemento neutro ai fini della qualificazione del rapporto.

3. Con il terzo motivo la ricorrente principale denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5) e violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla valutazione degli elementi istruttori.

Sostiene che la Corte di merito non avrebbe esaminato determinati fatti riferiti dai testimoni (e così, in particolare, l’assenza per gli operatori di vincoli di orario) che erano elementi costitutivi del rapporto in contestazione e non avrebbe tenuto conto del fatto che la prova della subordinazione deve essere rigorosa.

4. Con il quarto motivo la ricorrente principale denuncia la violazione della L. n. 183 del 2010, art. 50, in relazione alla ritenuta conversione del rapporto.

Assume che la Corte territoriale avrebbe del tutto disatteso il dettato della norma prevedente unicamente l’indennizzo in favore del prestatore e non anche la conversione del rapporto.

Valorizza in particolare l’offerta della stipulazione di un rapporto di lavoro subordinato da parte del datore di lavoro che sarebbe tale da giustificare la deroga all’ordinario regime applicabile in caso di accertamento della reale natura subordinata di un rapporto di lavoro.

5. Con l’unico motivo del ricorso incidentale il lavoratore denuncia la violazione della L. n. 183 del 2010, art. 50, in relazione alla ritenuta congruità dell’offerta da parte della società ed in relazione al mancato ristoro economico strutturalmente ed ontologicamente connesso all’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

Sostiene che la prima delle due proposte cui in sentenza si fa riferimento non sarebbe mai stata formulata al lavoratore e che la seconda non sarebbe stata congrua in quanto avente ad oggetto mansioni non equivalenti a quelle in precedenza svolte e limitata ad un orario inferiore rispetto a quello svolto.

Ripropone le questioni di costituzionalità della norma per violazione degli artt. 3,24,101,102 e 111 Cost..

6. Sono infondati il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso principale (da trattarsi congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi).

6.1. Invero la denunciata violazione di legge postula l’erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina: così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Corte regolatrice di adempiere al proprio compito istituzionale di verifica del fondamento della violazione denunziata (v. Cass. n. 16038/2013; Cass. n. 3010/2012; Cass. n. 12984/2006).

Ed allora il motivo che pretenda di desumere tale violazione dall’erronea valutazione del materiale probatorio è già in contrasto con le suddette indicazioni.

6.2. Peraltro, la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi, che rivelino l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (v. Cass. 27 luglio 2007, n. 16681; Cass. 23 giugno 2014, n. 14160).

6.3. Quanto alle ulteriori censure, va ricordato che la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., non è ravvisabile nella mera circostanza che il giudice di merito abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, ma soltanto nel caso in cui il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (v. ex aliis Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598; Cass. 10 giugno 2016, n. 11892) e che la violazione dell’art. 116 c.p.c. è configurabile solo allorchè il giudice apprezzi liberamente una prova legale, oppure si ritenga vincolato da una prova liberamente apprezzabile (Cass., Sez. Un., n. 11892/2016 cit.; Cass. 19 giugno 2014, n. 13960; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965), situazioni queste non sussistenti nel caso in esame.

6.4. Per il resto le doglianze, nonostante il formale richiamo al vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, si risolvono nella critica della sufficienza del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi (e così di determinate circostanze asseritamente risultanti dalle prove testimoniali che si assume non siano state esaminate dalla Corte territoriale e che avrebbero consentito di ritenere non sussistente alcuna subordinazione), affinchè se ne fornisca una valutazione diversa da quella accolta dalla sentenza impugnata, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012.

Va, al riguardo osservato, con riferimento alla denuncia di omissione motivazionale, che come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. Un., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; è, pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che implica una violazione di legge costituzionalmente rilevante e che integra un “error in procedendo”; a chiarimento dell’indicato principio, le sezioni unite hanno precisato che comporta la nullità della sentenza solo la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, la “motivazione apparente”, il “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, non essendo invece più consentita la formulazione di censure per il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione (Cass., Sez. Un., 10 luglio 2015, n. 14477; ex multis, tra le sezioni semplici, Cass. 6 dicembre 2018, n. 31543).

E’ stato, anche, precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass., Sez. Un., 3 novembre 2016, n. 22232).

6.5. Tali evenienze non sono riscontrabili nel caso di specie: la Corte territoriale ha spiegato, in maniera esaustiva e niente affatto perplessa, le ragioni della decisione evidenziando come emergessero elementi univoci della sussistenza di un vincolo di subordinazione; secondo la Corte di merito, la compiuta disciplina delle modalità di utilizzo delle postazioni, la necessità di un rigoroso rispetto degli schemi predisposti dalla Atesia S.p.A. sulla base delle indicazioni della ditta committente, l’obbligo per gli operatori di non discostarsi nella formulazione delle domande agli intervistati neppure dall’ordine delle stesse, l’assenza di ogni gestione autonoma dei contatti, la sottoposizione a richiami nel caso in cui le conversazioni non fossero state correttamente condotte, integrassero nel complesso circostanze significative dell’esercizio del potere direttivo e gerarchico del datore di lavoro.

Si tratta di un impianto argomentativo assolutamente comprensibile, in relazione al quale può discutersi della sua plausibilità e condivisibilità ma non di una inesistenza motivazionale.

7. L’esame del quarto motivo del ricorso principale e del motivo di ricorso incidentale impone alcune preliminari considerazioni sull’interpretazione della L. n. 183 del 2010, art. 50.

7.1. La norma che viene qui in discussione ha formato oggetto di studio da parte della dottrina essendosi rilevati plurimi profili suscettibili di differenti interpretazioni ed essendosi, in particolare, il dibattito incentrato sulla questione se tale norma stabilisca “unicamente” la sanzione indennitaria a fronte del rifiuto, da parte del lavoratore, di due offerte di stabilizzazione del rapporto di lavoro ovvero faccia comunque salva la conversione o ricostituzione del rapporto (melius assunzione a tempo indeterminato).

Il suddetto art. 50 stabilisce che: “Fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di accertamento della natura subordinata di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche se riconducibili ad un progetto o programma di lavoro, il datore di lavoro che abbia offerto entro il 30 settembre 2008 la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato ai sensi della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 1202 e seguenti, nonchè abbia, dopo la data di entrata in vigore della presente legge, ulteriormente offerto la conversione a tempo indeterminato del contratto in corso ovvero offerto l’assunzione a tempo indeterminato per mansioni equivalenti a quelle svolte durante il rapporto di lavoro precedentemente in essere, è tenuto unicamente a indennizzare il prestatore di lavoro con un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità di retribuzione, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8”.

La disposizione introduce un regime speciale finalizzato a limitare, a determinate condizioni, le conseguenze sanzionatorie in caso di esito vittorioso del giudizio intentato dal lavoratore, volto all’accertamento della natura subordinata del rapporto di collaborazione continuativa e coordinata, anche a progetto.

7.2. L’esame della previsione non può prescindere da una sintetica ricostruzione del più ampio quadro normativo in cui essa interviene (L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 1202 – 1210).

7.3. L’incipit della norma “fatte salve le sentenze passate in giudicato” rende, innanzitutto, chiaro che l’ambito di applicazione della stessa sia da riferirsi tanto alle controversie ancora da promuovere, quanto a quelle in corso. Ed anzi, proprio l’espresso richiamo alla L. 296 del 2006, è indicativo della voluntas legis di dettare una normativa finalizzata a proseguire il percorso, intrapreso dalla predetta L. n. 296, inteso a facilitare l’emersione di rapporti (simulati) di collaborazione, molti dei quali, proprio in quanto in sospetto di abuso, in fase di contenzioso giudiziale (percorso poi completato dal D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 54).

7.4. Quanto ai presupposti di operatività, la norma richiede una sequenza di offerte da parte del datore di lavoro.

Questi (id est: il datore di lavoro) deve avere offerto al collaboratore, entro il 30 settembre del 2008, la stabilizzazione del rapporto di lavoro secondo la procedura di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 1202 e ss., articolata in tre fasi: a) la stipulazione di un accordo aziendale o territoriale volto a promuovere la trasformazione del rapporto di collaborazione in un rapporto di lavoro subordinato di durata non inferiore a 24 mesi; b) la sottoscrizione da parte dei lavoratori di atti di conciliazione individuali ai sensi e per gli effetti degli artt. 410 e 411 c.p.c., con riferimento ai diritti di natura retributiva, contributiva e risarcitoria per il periodo pregresso; c) il pagamento da parte del solo datore di lavoro di un contributo straordinario integrativo per ciascun lavoratore interessato alla trasformazione del rapporto di lavoro.

La prima offerta è, dunque, garantita dalla stessa procedimentalizzazione disegnata dal Legislatore del 2006 e filtrata dalle intese raggiunte dalle parti sociali.

Il datore di lavoro deve, poi, aver rinnovato l’offerta dopo l’entrata in vigore della medesima L. n. 183 del 2010. A tale riguardo, il dato letterale non pone dubbi interpretativi: la nuova proposta si aggiunge all’offerta di stabilizzazione compiuta entro il 30 settembre 2008, come reso palese dall’utilizzo dell’avverbio “ulteriormente” che rafforza il senso, già inequivoco, della congiunzione “nonchè”.

L’oggetto del contratto di lavoro subordinato di cui alla seconda offerta è predeterminato dal Legislatore; le mansioni di lavoro devono essere equivalenti a quelle del contratto in corso o cessato. Nulla è detto, invece, in ordine all’orario di lavoro e ciò è pienamente giustificabile in ragione della estrema variabilità dell’impegno lavorativo che può avere, in concreto, connotato ogni singolo rapporto.

7.5. La valutazione di conformità delle offerte datoriali ai parametri legali, che costituisce condizione essenziale per l’operatività, in sede giudiziale, del meccanismo di cui sopra si è detto, in quanto necessariamente mediata dalle risultanze processuali, è attività riservata al giudice di merito.

In presenza degli inviti datoriali, positivamente valutati dal giudice del fatto, rifiutati dal lavoratore (come risulta evidente ove si consideri che altrimenti non sussisterebbe neppure la possibilità di azionare alcun giudizio per effetto dell’avvenuta sottoscrizione degli atti di conciliazione individuali), gli effetti derivanti dall’accertamento giudiziale della natura subordinata di una collaborazione coordinata e continuativa, sono quelli indicati dal predetto art. 50 ed il datore di lavoro “è tenuto unicamente a indennizzare il prestatore di lavoro con un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità di retribuzione, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8”.

7.6. Il contrasto interpretativo verte, in particolare, sull’interpretazione dell’espressione “è tenuto unicamente a indennizzare”.

Trattasi, effettivamente, di una non felice soluzione espressiva, come del resto già evidenziato dal Presidente della Repubblica che, in occasione del messaggio, ex art. 74 Cost., in data 31 marzo 2010, ebbe ad osservare come la disposizione, insieme ad altre della L. n. 183 del 2010, potesse prestarsi “a seri dubbi interpretativi e a potenziali contenziosi”.

7.7. Due sono, infatti, le possibili letture dell’art. 50 in punto di conseguenze connesse al rifiuto del prestatore di accettare le offerte datoriali, in caso di accertamento giudiziale della natura subordinata del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.

Da una parte, ritenere che l’indennità rappresenti l'”unica” misura sanzionatoria a carico del datore di lavoro, sostitutiva cioè di tutte le conseguenze normalmente ricollegabili ad un tale accertamento (ovvero la conversione in rapporto a tempo indeterminato ed il risarcimento), dall’altra, ritenere che la norma abbia inteso “unicamente” incidere sulla misura del danno e non anche direttamente sulla disciplina futura del rapporto di lavoro.

7.8. Stima il Collegio che, tra le due indicate opzioni interpretative, debba preferirsi la seconda che rende il dato letterale (pur in sè non univoco) coerente con quello sistematico.

7.9. La norma va interpretata nel senso che l’indennità economica si sostituisce esclusivamente alle normali conseguenze risarcitorie che derivano dall’accertamento della natura subordinata del rapporto, assicurando al lavoratore un indennizzo che copre, in via forfetaria, non diversamente dalla medesima L. n. 183 del 2010, art. 32, i danni derivanti dalla ingiustificata estromissione, fermo, tuttavia, il diritto del prestatore al ripristino della funzionalità del rapporto di lavoro ovvero alla “conversione”, in esecuzione della sentenza (oltre che naturalmente alle retribuzioni da tali momenti in poi ed a quelle eventualmente maturate in ragione del reale atteggiarsi del rapporto intercorso e non derivanti, ex se, dalla diversa qualificazione del rapporto).

L’avverbio “unicamente” è, infatti, riferito solo al riconoscimento di un minor ristoro economico, giustificato dal rifiuto delle proposte di stabilizzazione, secondo (“esegesi sostenuta dalla Corte di appello di Roma.

7.10. L’indennità, dunque, definisce i rapporti tra lavoratore e datore di lavoro, regolando la misura del risarcimento in relazione al periodo intercorrente tra la cessazione della collaborazione e la sentenza che ne accerta la natura subordinata (e, se del caso, anche al periodo non lavorato tra una collaborazione e l’altra, in caso di riconoscimento di un unico rapporto).

7.11. Conforta siffatta interpretazione l’esame dei lavori preparatori ed, in particolare, delle schede di lettura della Camera dei Deputati relativi agli articoli contenuti nella L. n. 183 del 2010.

In relazione all’art. 50 si dà atto che “l’articolo (…) determina la misura del risarcimento nei casi in cui sia stata accertata la natura subordinata di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa”.

Il riferimento esclusivamente al “risarcimento” e l’assenza di una esplicita previsione della valenza sostitutiva di detta indennità, anche della ripresa del rapporto, è segno della scelta del Legislatore di preservare l’ordinaria e più pregnante tutela disposta dall’ordinamento e cioè il mantenimento dell’accertato rapporto di lavoro.

Quest’ultimo, infatti, non può considerarsi estinto in mancanza di una chiara previsione che colleghi tale rilevantissima conseguenza al rifiuto opposto dal lavoratore alle proposte datoriali.

7.12. Così interpretata, la disposizione consente di superare i dubbi di legittimità costituzionale e di violazione del diritto sovranazionale, essendo in linea con il principio di effettività ed adeguatezza delle sanzioni, con quello di parità di trattamento e con la clausola di non regresso delle tutele.

La novella in esame, limitandosi ad introdurre un criterio di liquidazione del danno di più agevole, certa ed omogenea applicazione, con salvezza del nucleo centrale della tutela sostanziale costituito dalla “conversione” ovvero dal ripristino del rapporto, garantisce il diritto di difesa ai sensi dell’art. 24 Cost., e, come tale, appare ragionevole, essendo destinata ad assicurare una parificazione di trattamento di situazioni eguali a prescindere dalla data di introduzione del giudizio, con il solo limite delle sentenze passate in giudicato.

Inoltre, restando fermo il diritto alle eventuali differenze di retribuzione maturate in relazione ai periodi lavorati, non si pongono profili di incostituzionalità per violazione dell’art. 36 Cost. (e conseguentemente dell’art. 38 Cost.); peraltro, anche nel caso dell’art. 50, come già accennato, a partire dalla sentenza con cui il giudice accerta la natura subordinata del rapporto ed ordina il ripristino del rapporto, il datore di lavoro è indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riattivazione effettiva del rapporto.

In definitiva, la normativa esaminata risulta, nell’insieme, adeguata a realizzare un equilibrato componimento degli opposti interessi attraverso l’analitica disciplina, in quello che è stato definito un “delicato gioco di pesi e contrappesi”, dei parametri – modalità temporali e oggetto delle offerte – che devono essere rispettati dal datore di lavoro per poter beneficiare del regime speciale di cui all’art. 50. Al lavoratore che abbia rifiutato ben due proposte di assunzione (e nonostante tale rifiuto) è comunque garantita l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato (che va a sostituire il “ricorso ai contratti di lavoro subordinato” e il “corretto utilizzo dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto” di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1202) unitamente ad un’indennità, predeterminata tra un minimo ed un massimo, che ridimensiona le pretese risarcitorie, in misura della metà del massimo dell’indennità stabilita dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, non diversamente dalla previsione del comma 6 del medesimo art. 32 (“In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà”), in funzione premiale della condotta datoriale.

Il tutto nell’ambito dell’illustrato e più ampio contesto normativo di deflazione e definizione di un consistente contenzioso, sedimentatosi in alcuni settori produttivi, nel quale si inscrive la vicenda in questione, che rende la norma in oggetto non solo ragionevole ma anche coerente con i criteri ispiratori della disciplina legislativa precedente.

7.13. Quanto ai possibili profili di violazione dei diritti sanciti dall’art. 6, paragrafo 1, CEDU, giudica il Collegio che, nello specifico, non vi sia stata alcuna ingiustificata intromissione del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, tale da influire sulla decisione di singole controversie o su un gruppo di esse, bensì interventi che per quanto già sopra evidenziato, rispondono a “ragioni imperative di interesse generale” (v., ad esempio, tra le pronunce in questa materia della Corte Europea dei diritti dell’uomo relative a controversie tra privati: Arras c. Italia, 14.2.2012, p. 42; Ducret c. Francia, 12.6.2007 p. 32 ss.; Vezon c. Francia, 18.4.2006, par. 28 ss.) analoghe a quelle già riscontrate dal Giudice delle leggi in occasione della valutazione di legittimità costituzionale dell’art. 32 (v. Corte Costituzionale n. 303 del 2011, spec. p. 4.2), escludendosi così ogni violazione degli artt. 111 e 117 Cost., e tanto più evidenti nella fattispecie ove il Legislatore ha completato il percorso di transizione verso un corretto utilizzo dei contratti di collaborazione e di promozione dell’impiego dei lavoratori con contratti di lavoro subordinato supportando il prodotto dell’autonomia privata collettiva promosso dalla L. n. 296 del 2006.

Quanto sopra evidenziato esclude altresì che l’intervento legislativo (come detto inserito in un complessivo programma di riforme) di cui trattasi abbia mutato le conseguenze della violazione delle previgenti regole limitatamente ad un gruppo di fattispecie selezionate in base alla circostanza, del tutto accidentale, della pendenza di una lite giudiziaria tra le parti del rapporto di lavoro.

8. Alla luce delle considerazioni svolte ai punti da 7.1. a 7.13. che precedono sono infondati sia il quarto motivo del ricorso principale sia l’unico motivo del ricorso incidentale essendo corretta la decisione della Corte territoriale laddove ha ritenuto che la riconosciuta indennità economica fosse sostitutiva di tutte le normali conseguenze derivanti dall’accertamento della natura subordinata del rapporto, ferma restando la conversione dello stesso e laddove, con valutazione di merito incensurabile in sede di legittimità, ha valutato congrue le offerte di stabilizzazione dell’azienda.

9. Conclusivamente sia il ricorso principale sia il ricorso incidentale vanno respinti.

10. L’esito dei ricorsi e la novità delle questioni trattate consentono di compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

11. Va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, poichè l’obbligo del pagamento dell’ulteriore contributo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (cosi Cass., Sez., Un. 22035/2014).

P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi; compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2019

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