Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26611 del 21/12/2016

Cassazione civile, sez. II, 21/12/2016, (ud. 11/10/2016, dep.21/12/2016),  n. 26611

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19285-2012 proposto da:

IMMOBILIARE DANIELE SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI, 142,

presso lo studio dell’avvocato SILVIA CAPPELLI, rappresentato e

difeso dagli avvocati ORFEO PALMACCI, UGO CARDOSI;

– ricorrente –

contro

B.F., + ALTRI OMESSI

– intimati –

avverso la sentenza n. 2900/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/10/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito l’Avvocato TORTORELLA Marco, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato CARDOSI Ugo, difensore del ricorrente che si riporta

agli atti depositati, deposita n. 2 cartoline ricevimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 403/05 il Tribunale di Velletri rigettò la domanda con la quale B.F. aveva chiesto la revisione delle tabelle millesimali del Condominio (OMISSIS). Proposto appello, l’attore, la Corte di Roma, con sentenza depositata l’1/7/2011, in riforma della sentenza di primo grado determinò le nuove tabelle millesimali adottando il progetto predisposto dal CTU. La Immobiliare Daniele s.r.l. ricorre per cassazione avverso quest’ultima statuizione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente deduce omessa o insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo, nonchè violazione dell’art. 1123 c.c. e dell’art. 5 del regolamento condominiale. Assume la B. che a dispetto dell’affermata mancanza di contestazione delle risultanze della CTU, essa aveva specificato in sede di costituzione e di conclusioni che l’unico criterio di riparto equo per le spese generali consisteva nel dividere a metà fra i due edifici le stesse. Inoltre, la Corte di merito era venuta meno al proprio dovere di rendere motivazione, limitandosi ad accogliere le conclusioni del CTU, le quali, a loro volta, erano prive di sostegno argomentativo.

Con il secondo motivo, denunziante insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo, nonchè violazione dell’art. 1123 c.c., dell’art. 5 del regolamento condominiale e dell’art. 69 disp. att. c.c., ancora una volta si censura l’assenza di motivazione della Corte d’appello e l’inadeguata giustificazione resa dal consulente, nonostante le riscontrate incongruenze (ad un portico trasformato in appartamento erano stai assegnati 111,446 millesimi, costituente misura di partecipazione maggiore rispetto agli appartamenti posti ai piani superiori, aventi valore di mercato superiori).

Con il terzo motivo la società ricorrente censura l’omessa o insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo, nonchè la violazione dell’art. 69 cit., assumendo che la revisione tabellare non avrebbe dovuto essere comunque disposta, non essendo stata dimostrata la rilevante innovazione delle nuove tabelle.

Tutti i motivi, scrutinati unitariamente in quanto intimamente connessi, non meritano di essere accolti.

Occorre premettere, come di recente riaffermato in questa sede, che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 prima dell’ulteriore modifica di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile “ratione temporis”), il quale implica che la motivazione della “quaestio facti” sia affetta non da una mera contraddittorietà, insufficienza o mancata considerazione, ma che si presentasse tale da determinarne la logica insostenibilità (cfr., Sez. 3, n. 17037 del 20/8/2015, Rv. 636317). Con l’ulteriore corollario che il controllo di legittimità del giudizio di fatto non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Con la conseguenza che risulta del tutto estranea all’àmbito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (cfr. Sez. 6, ord. n. 5024 del 28/3/2012, Rv. 622001). Da qui la necessità che il ricorrente specifichi il contenuto di ciascuna delle risultanze probatorie (mediante la loro sintetica, ma esauriente esposizione e, all’occorrenza integrale trascrizione nel ricorso) evidenziando, in relazione a tale contenuto, il vizio omissivo o logico nel quale sia incorso il giudice del merito e la diversa soluzione cui, in difetto di esso, sarebbe stato possibile pervenire sulla questione decisa (cfr. Sez. 5, n. 1170 del 23/1/2004, Rv. 569607).

Quanto poi all’apporto di sapere proveniente dalla CTU va ribadito che se, per un verso, il giudice del merito, ove dia mostra di aver conosciuto e apprezzato le conclusioni del consulente, non è tenuto a fornire alcuna ulteriore motivazione, è altrettanto evidente che il ricorrente non può limitarsi a dissentire dalle predette conclusioni in sede di legittimità, ricadendo su di lui l’onere di puntualmente controdedurre, riportando i singoli passaggi della relazione e le specifiche ragioni poste a suo tempo in contrapposizione. In altri termini, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice “a quo”, e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità. La parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione (cfr., Sez. 1, n. 11482 del 03/06/2016,Rv. 639844; Sez. 1, n. 16368 del 17/07/2014, Rv. 632050; Sez. 1, n. 3224 del 12/02/2014, Rv. 630385). Peraltro, la Corte di merito aveva chiarito perchè il riparto a metà non poteva considerarsi congruo (i due fabbricati avevano consistenza diversa). Nel resto, trattasi di doglianze, oltre che generiche, miranti a riconsiderare profili di merito, il cui vaglio è precluso in questa sede. L’epilogo impone condanna della ricorrente al pagamento delle spese legali in favore dei resistenti, spese che si liquidano, tenuto conto della natura e valore della causa, siccome in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese legali in favore dei resistenti, che si liquidano nella complessiva somma di Euro 3.200, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2016

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