Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2661 del 28/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 28/01/2022, (ud. 26/10/2021, dep. 28/01/2022), n.2661

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24637-2020 proposto da:

INTESA SANPAOLO SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELA CONCILIAZIONE

10, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RICCARDO MARIA

RAIMONDI;

– ricorrente –

contro

C.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato CALCEDONIO PORZIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1886/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 21/07/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIO

AMENDOLA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. la Corte di Appello di Napoli, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado con cui Intesa San Paolo Spa era stata condannata al pagamento della somma di Euro 85.996,68, oltre accessori, in favore di C.M.;

2. la Corte, dopo aver ricordato che, con sentenza n. 6437 del 2008 passata in cosa giudicata, Intesa San Paolo Spa era stata condannata al risarcimento del danno per la mancata assunzione del C. dal 14 ottobre 1998 sino al deposito di detta sentenza, da quantificarsi in separato giudizio, ha ritenuto, concordando con il primo giudice, che questi correttamente avesse agito con un nuovo ricorso “per ottenere la condanna della SPA Intesa Sanpaolo per il periodo dal 28/2/2008 al 28/2/2011, periodo nel quale si era protratto l’inadempimento all’obbligo di assunzione, sulla base del diritto sancito dalla sentenza passata in giudicato”; ha aggiunto che la società per detto periodo non aveva provato alcun fatto estintivo dell’obbligo;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società con unico articolato motivo; ha resistito con controricorso il C.;

4. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. l’unico motivo di ricorso denuncia: “violazione o falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c., in relazione all’art. 2043,1218 e 1223 c.c., il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”; si sostiene che “la sentenza sull’an debeatur ha espressamente circoscritto il periodo per il risarcimento, affermando con chiarezza estrema che, allorché l’obbligo del datore di lavoro rimanga inadempiuto, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno per le utilità perdute “dalla data della manifestata disponibilità all’assunzione, che coincide con la data di licenziamento, ad oggi”, laddove per oggi si intende la data di deposito del provvedimento giudiziale”; secondo parte ricorrente la Corte territoriale non avrebbe interpretato correttamente l’effettiva portata della pronuncia del giudice sull’an debeatur in relazione alla sola domanda che era stata accolta, diversa da quella di costituzione del rapporto di lavoro;

2. il motivo non può trovare accoglimento;

esso infatti non censura adeguatamente la ratio decidendi della sentenza impugnata che, come riportato nello storico della lite, si fonda sull’assunto che il credito del C. originasse dal protrarsi dell’inadempimento dell’obbligo di assunzione anche successivamente al deposito della sentenza del febbraio 2008, tanto che la motivazione impugnata argomenta pure sulla inammissibilità delle azioni di condanna in futuro, sicché il creditore, stante il protrarsi degli effetti dell’inadempimento, non aveva altra strada che proporre una nuova azione giudiziale;

l’assunto, non venendo qui in discussione la natura dell’azione esercitata, è coerente con il carattere eccezionale delle condanne in futuro sancito dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 10970 del 2004; Cass. n. 12997 del 2007; Cass. n. 8405 del 2014), né parte ricorrente riporta adeguatamente i contenuti della sentenza sull’an dai quali poter evincere che nell’occasione il decidente si fosse pronunciato per escludere il risarcimento del danno per il periodo successivo al deposito della sentenza;

3. conclusivamente il ricorso va respinto, con le spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo, con attribuzione all’Avv. C. Porzio, dichiaratosi antistatario;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15A, con attribuzione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2022

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