Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2661 del 01/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 01/02/2017, (ud. 01/12/2016, dep.01/02/2017),  n. 2661

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5278-2015 proposto da:

POSTE ITALIANE Spa, in persona del Presidente del Consiglio di

Amministrazione e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio

dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la rappresenta e difende, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che la rappresenta e

difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 150/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/12/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA PAGETTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza n. 12939/2012 questa Corte accoglieva il ricorso di P.R. avverso la sentenza di appello che aveva confermato la statuizione di primo grado con la quale era stata respinta la domanda della lavoratrice intesa alla declaratoria della illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato fra le parti e protrattosi dal 13 maggio 1999 al 31 maggio 1999.

La Corte di appello di Roma, quale giudice del rinvio, adita con ricorso in riassunzione proposto dalla lavoratrice, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma, ha dichiarato la nullità del termine e la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; ha condannato la società Poste al pagamento in favore della ricorrente della indennità risarcitoria L. n. 183 del 2010, ex art. 32 nella misura di tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, pari a Euro 1.366,95 mensili, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data di scadenza del contratto (31 maggio 1999).

Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Poste Italiane s.p.a. sulla base di tre motivi. P.R. ha resistito con tempestivo controricorso.

Il Consigliere relatore ha formulato proposta di rigetto dei primi due motivi e di accoglimento, con decisione nel merito, del terzo motivo. Il Collegio condivide tale proposta.

Si premette quanto ai primi due motivi di ricorso che la questione posta dagli stessi investe la valutazione di illegittimità e quindi la dichiarazione di nullità del termine: in proposito la ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe, con la sua immotivata decisione, violato la L. n. 56 del 1987, art. 23, art. 8 CCNL 1994 nonchè gli accordi sindacali 25.9.97, 16.1.98, 27.4.98, 2.7.98, 24.5.99 e 18.1.2001, in connessione con gli artt. 1362 e ss. c.c.. Deduce, inoltre l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in ordine alla fonte di individuazione della volontà delle parti collettive di fissare il termine finale di efficacia dell’accordo integrativo del 25.9.1997.

I motivi, come evidenziato nella Relazione, sono manifestamente infondati alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cfr., per tutte, Cass. n. 2886 del 2004, n. 6913 del 2009), formatasi in ordine all’esame di fattispecie analoghe alla presente, coinvolgenti l’interpretazione delle norme contrattuali collettive indicate, la quale ha ripetutamente confermato le decisioni dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto dopo il 30 aprile 1998 a contratti di lavoro stipulati, in base alla previsione delle “esigenze eccezionali” di cui all’accordo integrativo del 25 settembre 1997, ritenendo che i contraenti collettivi, esercitando i poteri loro attribuiti dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 abbiano convenuto di limitare il riconoscimento della sussistenza della situazione indicata per far fronte alla quale l’impresa poteva legittimamente procedere ad assunzioni di personale con contratto a tempo determinato unicamente fino al 30 aprile 1998, con la conseguente illegittimità dei contratti stipulati successivamente a tale data.

Da tali conclusioni della giurisprudenza non vi è ora ragione di discostarsi, in quanto le opposte valutazioni sviluppate nel ricorso sono sorrette da argomenti ripetutamente scrutinati da questa Corte nelle molteplici occasioni ricordate e non appaiono comunque talmente evidenti e gravi da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti, sul quale si fonda per larga parte l’assolvimento della funzione ad essa affidata di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge.

E’ invece manifestamente fondato il terzo motivo di ricorso con il quale si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 32 L n. 183 del 2010 e dell’art. 429 cod. proc. civ., censurandosi la decisione per avere fatto decorrere interessi legali e rivalutazione monetaria sulla somma liquidata a titolo di indennità ex art. 32 cit. dalla data di scadenza del contratto anzichè dalla data della sentenza dichiarativa della illegittimità del termine e della conseguente conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato.

Preliminarmente deve essere disattesa la eccezione di inammissibilità del motivo in esame argomentata dalla parte controricorrente sulla base di un duplice profilo: la denunzia di violazione dell’art. 429 cod. proc. civ. doveva essere effettuata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 anzichè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3; la inidoneità delle censure articolate a porsi in conflitto con la parte motiva della decisione.

Quanto al primo profilo, appare corretta la denunzia di violazione e falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 formulata in ricorso in quanto parte ricorrente deduce che l’errore del giudice di appello è scaturito dalla errata configurazione giuridica della somma attribuita ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32 e, quindi, dalla violazione di una norma sostanziale; quanto al secondo profilo è sufficiente evidenziare che l’ampiezza della censura articolata con il terzo motivo, intesa a contestare tout-court la decorrenza degli accessori, non rendeva necessaria anche la puntuale contestazione di tutte le argomentazioni del giudice di appello a sostegno del decisum sul punto.

Nel merito si rileva che l’indennità in esame deve essere annoverata fra i crediti di lavoro ex art. 429 cod. proc. civ., comma 3, giacchè, come più volte affermato dal giudice di legittimità tale ampia accezione si riferisce a tutti i crediti connessi al rapporto di lavoro e non soltanto a quelli aventi natura strettamente retributiva (cfr., ad esempio, per i crediti liquidati L. n. 300 del 1970, ex art. 18, Cass. n. 1000 del 2003, n. 19159 del 2006; per l’indennità L. n. 604 del 1966, ex art. 8 Cass. n. 1579 del 1985;per le somme liquidate a titolo di risarcimento del danno ex art. 2087 c.c., Cass. n. 5024 del 2002).

Questa Corte, sulla premessa che le somme spettanti a titolo di risarcimento del danno per la violazione di obblighi datoriali hanno natura retributiva solo quando derivino da un inadempimento che, pur non riguardando direttamente l’obbligazione retributiva, incida immediatamente su di essa determinando la mancata corresponsione di compensi dovuti al dipendente (v., per tutte, Cass. n. 7987de1 2012, n. 26088 del 2007, n. 11148 del 1999), ha affermato che l’indennità di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5 spettante al lavoratore a titolo di risarcimento del danno per l’illegittima apposizione del termine al rapporto di lavoro non ha natura retributiva ma risarcitoria attesa la sua funzione di ristoro (sia pure forfetizzato e onnicomprensivo)dei danni conseguenti alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, relativamente al periodo che va dalla scadenza del termine alla data della sentenza di conversione del rapporto. Dalla natura di liquidazione forfettaria e onnicomprensiva del danno relativo al detto periodo consegue che gli accessori ex art. 429 cod. proc. civ., comma 3, sono dovuti soltanto a decorrere dalla data della sentenza che, appunto, delimita temporalmente la liquidazione stessa. (Cass. n. 3027 1212014).

A tanto consegue la cassazione in parte qua della sentenza impugnata e la sua decisione nel merito non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto.

Atteso l’esito complessivo della controversia si ritiene di confermare la statuizione sulle spese del giudizio di merito e di compensare per un quinto quelle del giudizio di legittimità, liquidate per l’intero in Euro 4.000,00 a titolo di compensi professionali, ponendo il residuo a carico di Poste Italiane s.p.a..

PQM

La Corte rigetta i primi due motivi e accoglie il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna Poste Italiane s.p.a. al pagamento di interessi legali e rivalutazione monetaria sulla somma liquidata a titolo di indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5 con decorrenza dalla data della sentenza che ha accertato la illegittimità del termine. Conferma la statuizione sulle spese relativa al giudizio di merito. Compensa per 1/5 le spese del giudizio di legittimità, liquidate per l’intero in Euro 4.000,00 a titolo di compensi professionali. Condanna l’oste Italiane s.p.a. alla rifusione del residuo a titolo di compensi professionali, oltre 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie determinate nella misura del 15%, oltre accessori di legge. Con distrazione in favore dell’Avv. Roberto Rizzo, antistatario.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2017

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