Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26609 del 23/11/2020

Cassazione civile sez. II, 23/11/2020, (ud. 07/10/2020, dep. 23/11/2020), n.26609

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22401-2019 proposto da:

B.I., rappresentato e difeso dall’Avvocato MAURO CECI, presso

il cui studio a L’Aquila, via Enrico De Nicola 1/A, elettivamente

domicilia, per procura speciale in calce al ricorso del 11/7/2019;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei

Portoghesi 12, domicilia per legge;

– resistente –

avverso il DECRETO n. 1550/2019 del TRIBUNALE DI L’AQUILA, depositato

il 12/6/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 7/10/2020 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il tribunale di L’Aquila, con il decreto in epigrafe, comunicato in pari data, ha respinto l’impugnazione che B.I., nato in (OMISSIS) il (OMISSIS), aveva proposto avverso il provvedimento con il quale la commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale da lui presentata.

B.I., con ricorso notificato in data 12/7/2019, ha chiesto, per due motivi, la cassazione del decreto.

Il ministero dell’interno ha depositato atto di costituzione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, intitolato “violazione o falsa applicazione di norme di diritto” ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 35 del 2008, art. 10, commi 4 e 5, la nullità del provvedimento impugnato e degli atti presupposti e conseguenti per omessa traduzione degli stessi in una lingua conosciuta allo straniero, la nullità del provvedimento impugnato per violazione della L. n. 15 del 1968, art. 14 come modificato dal D.P.R. n. 445 del 2000, art. 18 e s.m.i. e per violazione dell’art. 137 c.p.c., ed, infine, la nullità del provvedimento per mancanza di sottoscrizione ed omessa valutazione, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale, rigettando le eccezioni proposte sul punto, non ha considerato che la comunicazione della decisione negativa della commissione territoriale deve essere resa nella lingua indicata dal richiedente o, se non è possibile, in una delle lingue veicolari, e che la traduzione non integrale del provvedimento comporta un’evidente compromissione del diritto di difesa, con violazione dell’art. 111 Cost.

1.2. L’atto notificato al richiedente, ha proseguito il ricorrente, è, inoltre, una mera copia del provvedimento di diniego della protezione internazionale, privo dell’obbligatoria attestazione di conformità all’originale ed è, pertanto, nullo per difetto della sua necessaria formalità comunicatoria.

1.3. L’atto impugnato, infine, ha concluso il ricorrente, è carente tanto della sottoscrizione in originale, quanto della coccarda e della stringa che devono comparire su ciascuna delle pagine firmate digitalmente in modo da garantire l’identificabilità del suo autore.

2.1. Il motivo è infondato in tutte le censure in cui risulta articolato.

2.2. Intanto, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 5, non può essere interpretato nel senso di prevedere fra le misure di garanzia a favore del richiedente anche la traduzione nella lingua nota del provvedimento giurisdizionale decisorio che definisce le singole fasi del giudizio, in quanto la norma prevede la garanzia linguistica solo nell’ambito endo-procedimentale. Il richiedente, inoltre, partecipa al giudizio con il ministero e l’assistenza tecnica di un difensore abilitato, in grado di comprendere e spiegargli la portata e le conseguenze delle pronunce giurisdizionali che lo riguardano (Cass. n. 23760 del 2019; Cass. n. 8367 del 2020).

2.3. Per il resto non può che ribadirsi il principio per cui, in tema d’immigrazione, la nullità del provvedimento amministrativo di diniego della protezione internazionale, reso dalla commissione territoriale, non ha autonoma rilevanza nel giudizio introdotto dal ricorso al tribunale avverso il predetto provvedimento poichè tale procedimento ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata, sicchè deve pervenire alla decisione sulla spettanza, o meno, del diritto stesso e non può, dunque, limitarsi, pur a fronte di un vizio che comporti – in ipotesi – la sua nullità quale provvedimento amministrativo, al mero annullamento dello stesso (cfr., di recente, Cass. n. 17318 del 2019).

3.1. Con il secondo motivo, intitolato “violazione o falsa applicazione di norme di diritto” ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, lamentando la mancata applicazione degli artt. 1 e 2 della Convenzione di Ginevra, la violazione di legge per il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e per la mancata applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, nonchè la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale, senza fornire alcuna motivazione in ordine alla dichiarata mancanza dei relativi presupposti, ha respinto tanto la domanda di protezione internazionale, quanto la domanda di protezione umanitaria che lo stesso aveva proposto.

3.2. Così facendo, in effetti, ha osservato il ricorrente, il tribunale, a seguito di un’erronea interpretazione dei fatti, delle dichiarazioni rese dal richiedente e dei documenti allegati, dei quali ha omesso ogni valutazione, non ha considerato che la storia personale del richiedente è logicamente coerente e credibile e si situa in un contesto socio-economico ben delineato, e che ciò attribuisce piena coerenza e credibilità alle dichiarazioni rese dallo stesso il quale, del resto, ha fornito, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione presentata.

3.3. Sussiste, quindi, ha proseguito il ricorrente, il pericolo, in caso di rientro in (OMISSIS), del danno grave tanto nel senso indicato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) quanto nel senso previsto dallo stesso D.Lgs. n. 251, art. 14, lett. c). Il (OMISSIS), in effetti, come emerge da fonti internazionali attendibili, non può essere considerato uno Stato sicuro per la diffusione di episodi di violenza indiscriminata da parte di privati o di gruppi di persone e per la presenza in ampie zone del paese di scontri armati tra forze di sicurezza (OMISSIS) e ribelli.

3.4. Sussistono, inoltre, ha aggiunto il ricorrente, i seri motivi per la concessione del permesso di soggiorno previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, che il tribunale, senza alcuna reale motivazione, ha negato nonostante che il richiedente, nel corso dell’audizione personale, avesse ben descritto la sua precaria e vulnerabile situazione personale e sociale. Il richiedente, del resto, è ben inserito nel contesto sociale in cui risiede, dove svolge anche attività di volontariato, e frequenta con profitto i corsi di lingua italiana.

2.1. Il motivo è infondato in tutte le censure in cui è stato articolato.

2.2. Il ricorrente, intanto, non si confronta realmente con il decreto che ha impugnato: il quale, in effetti, ha respinto la domanda di protezione sussidiaria proposta rilevando la scarsa attendibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente. Ed è noto come, in tema di protezione internazionale, l’accertamento del giudice del merito deve avere, anzitutto, ad oggetto la credibilità soggettiva del richiedente il quale, infatti, ha l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a) essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (cfr. Cass. n. 27503 del 2018). Il richiedente, invero, è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, ed, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora lo stesso, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (Cass. n. 8367 del 2020, in motiv.; Cass. n. 15794 del 2019; conf., Cass. n. 19197 del 2015).

La valutazione d’inattendibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente costituisce, peraltro, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. n. 27503 del 2018) che, in quanto tale, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e cioè per omesso esame di una o più di circostanze, dedotte in giudizio, la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una differente ricostruzione dei fatti idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata: ciò che, nel caso di specie, non è accaduto. Il ricorrente, infatti, non ha specificamente indicato i fatti, principali ovvero secondari, il cui esame, pur se dedotti in giudizio, sia stato del tutto omesso dal giudice di merito, nè, infine, la loro decisività ai fini di una diversa pronuncia, sul punto, a lui favorevole.

Peraltro, l’inattendibilità del racconto del richiedente, così come (oramai incontestabilmente) accertata dai giudici di merito, costituisce motivo sufficiente per negare tanto il riconoscimento dello status di rifugiato, quanto la concessione della protezione sussidiaria dallo stesso invocata ai sensi del D.Lgs. n. 251 cit., art. 14, lett. a) e b).

Non risulta, d’altra parte, che il richiedente avesse espressamente domandato la concessione della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 cit., art. 14, lett. c), nè, del resto, lo stesso ha ritenuto di denunciare l’omessa pronuncia su tale domanda da parte del tribunale.

2.3. La protezione umanitaria, infine, è una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 5358 del 2019; Cass. n. 23604 del 2017). I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. n. 113 del 2018, erano accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018).

Nel caso di specie, il tribunale ha rigettato la domanda di protezione umanitaria proposta dal ricorrente rilevando, in sostanza, che il richiedente non presenta una situazione di effettiva vulnerabilità personale che potesse giustificare la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari ed, in ogni caso, che non risulta dimostrato un significativo percorso d’integrazione in Italia.

Si tratta, com’è evidente, di un accertamento in fatto che, in quanto tale, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e cioè per omesso esame di una o più di circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata.

Nel caso di specie, però, ciò non è accaduto: il ricorrente, infatti, pur avendone l’onere (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), non ha specificamente indicato i fatti, principali ovvero secondari, il cui esame, ancorchè dedotti in giudizio, sia stato del tutto omesso dal giudice di merito, nè, infine, la loro decisività ai fini di una differente pronuncia a lui favorevole.

D’altra parte, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (applicabile ratione temporis: cfr. Cass. SU n. 29459 del 2019), al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. n. 4455 del 2018).

Tale comparazione presuppone, pertanto, un livello d’integrazione sociale nel Paese di accoglienza che, nel caso di specie, il tribunale – con accertamento in fatto non censurato per l’omesso esame di fatti decisivi specificamente dedotti – ha correttamente escluso, in difetto di qualsiasi altro elemento di valutazione, che il ricorrente non dimostra di aver dedotto nel giudizio di merito (Cass. n. 8367 del 2020).

3. I motivi articolati in ricorso si rivelano, quindi, del tutto infondati. Peraltro, poichè il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

4. Nulla per le spese di lite, in mancanza di una effettiva attività difensiva da parte del ministero.

5. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2020

 

 

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