Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26608 del 12/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 12/12/2011, (ud. 23/11/2011, dep. 12/12/2011), n.26608

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Presidente –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DONIZETTI 20, presso lo studio dell’avvocato MANDORLO ANNA,

rappresentato e difeso dagli avvocati CENTOLA ANGELO, ROBERTO

CENTOLA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

NU0VA SO.DI.CA S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona dei legali

rappresentanti, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI

22, presso lo studio dell’avvocato MARESCA ARTURO, che la rappresenta

e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1493/2007 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 30/01/2008 R.G.N. 1585/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato MANDORLO ANNA per delega CENTOLA ANGELO;

udito l’Avvocato FRANCO RAIMONDO BOCCIA per delega MARESCA ARTURO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello dell’Aquila, confermando la sentenza di primo grado, respingeva la domanda di D.P.R., proposta nei confronti della società Nuova SO.DI.CA., avente ad oggetto il pagamento di differenze retributive concernenti l’attività dallo stesso espletata in qualità di addetto alle vendita di auto nuove ed usate dal 1984 al 1992.

La predetta Corte premetteva che il rapporto era stato configurato dalle parti come contratto atipico denominato di procacciatore d’affari e che la società, nel contestare la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato, eccepiva, altresì, e la carenza di legittimazione passiva per gli ultimi due anni del rapporto per essere lo stesso intercorso con altra società succeduta nel 1988 nell’attività di concessionaria d’auto,e la prescrizione dei crediti vantati da controparte.

Tanto precisato la Corte del merito, rilevato che il D.P. non contestava la dedotta successione delle società nell’attività commerciale e il decorso del quinquennio prima della messa in mora, poneva a base del decisum la considerazione fondamentale secondo la quale non era stata fornita la prova di una successione tra le aziende, ai sensi dell’art. 2112 c.c., ovvero della prosecuzione della attività alle dipendenza della società convenuta nonostante il subentro nell’attività commerciale di una nuova società.

Avverso questa sentenza il D.P. ricorre in cassazione sulla base di tre censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso la parte intimata che deduce, tra l’altro, l’inammissibilità dell’impugnazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, deducendo nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, pone il seguente quesito: “se sussiste la nullità della sentenza emessa dalla Corte di Appello dell’Aquila e qui impugnata, avendo la detta Corte omesso d’illustrare in maniera completa ed adeguata lo svolgimento del processo, omettendo altresì la trascrizione delle conclusioni delle parti ed avendo redatto la sentenza nella sostanza priva dei requisiti minimi indispensabili per la comprensione dell’iter decisionale e della ratio decidendi”.

Allega, inoltre, il ricorrente difetto di motivazione in ordine ai motivi di appello quali la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato. Il motivo è infondato.

Occorre premettere che, nel caso di specie, la concisa esposizione, nella sentenza impugnata, dello svolgimento del processo e della motivazione consente di individuare i fatti rilevanti della causa ed i presupposti della decisione. Questi, infatti, sono rappresentati, nella decisione di appello, per un verso, dalla deduzione in giudizio da parte del D.P. di un rapporto di lavoro subordinato – si controverte, è precisato nella sentenza della Corte territoriale, della sussistenza o meno di un rapporto di lavoro subordinato – contestato dalla controparte che eccepisce anche il subingresso nell’attività commerciale di un’altra società e la prescrizione, e dall’altro dal duplice rilievo dell’essere pacifico tra le parti la configurazione del rapporto come di procacciatore d’affari e della mancata dimostrazione di una successione tra le aziende ai sensi dell’art. 2112 c.c., ovvero della prosecuzione della attività alle dipendenza della società convenuta nonostante il subentro nell’attività commerciale di una nuova società. In fattispecie del genere, ove appunto la sentenza è, nell’esposizione del fatto e dei motivi della decisione, particolarmente concisa, non vi è nullità se, nonostante la sinteticità, è possibile, come nel caso di cui trattasi, individuare i fatti rilevanti della lite ed i motivi fondanti della decisione (V. in tal senso per tutte Cass.19 marzo 2009 n. 6683). Difettando per le anzidette ragioni un motivo di nullità della sentenza in esame è consequenziale l’irrilevanza della mancata trascrizione, in detta sentenza, delle conclusioni delle parti, la quale rileva se ed in quanto abbia inciso sul processo decisionale del giudice (V. per tutte Cass. 23 febbraio 2007 n. 4208) che, in quello in esame, deve escludersi. Infatti il ricorrente pur denunciando – sia pure impropriamente attraverso la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 e non di quello ex art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c. – il difetto di motivazione in ordine ad uno specifico motivo di appello – concernente la subordinazione -, omette di riportare, in violazione del principio di autosufficienza, nel ricorso gli esatti termini in cui il motivo è stato dedotto.

E’, invero, principio acquisito alla giurisprudenza di questa Corte che affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (Cass. S.U. 28 luglio 2005, n. 15781).

Con la seconda censura il d.P., denunciando violazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione agli artt. 1344, 1417 e 2094 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, pone i seguenti quesiti: “se nella sentenza impugnata sussista l’omessa o, comunque, insufficiente valutazione delle prove assunte nel processo da parte della Corte di Appello dell’Aquila in ordine alla sussistenza nel caso di specie dei requisiti per l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato in essere tra il ricorrente e la società resistente dal 10/10/1984 fino al febbraio 1992, quali l’inserimento ed assoggettamento al potere direttivo ed organizzativo del datore di lavoro, la continuità della prestazione data ininterrottamente dal 1984 al 1992, l’osservanza dell’orario di lavoro e la localizzazione della prestazione, l’inesistenza del benchè minimo rischio da parte del ricorrente nello svolgimento della prestazione, le ferie e la retribuzione”; “se nella sentenza impugnata la Corte di Appello dell’Aquila abbia, nel caso di specie, omesso di verificare ed accertare la sussistenza di una situazione di simulazione relativa, o comunque, di frode alla legge con riferimento al contratto atipico di procacciatore d’affari intercorso tra il ricorrente e la società resistente prodotti in atti, sulla scorta delle risultanze istruttorie emerse nel corso del processo che hanno invece confermato l’esistenza di un contratto di lavoro subordinato”. La censura è infondata.

Questa, invero, muove dal presupposto secondo il quale la Corte del merito, omettendo di pronunciarsi sul motivo di appello relativo alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, ha consequenzialmente omesso di motivare in ordine agli elementi caratterizzanti il lavoro subordinato e la configurabilità di una simulazione relativa o comunque in frode alla legge con riferimento al contratto atipico di procacciatore d’affari.

Tuttavia, come già rilevato, il ricorrente omettendo di riportare nel ricorso per cassazione gli esatti termini in cui il motivo di appello sulla questione della subordinazione è stato articolato vi è infatti solo un mero riferimento alla questione e non è dato comprendere se l’argomentazione sviluppata al riguardo è quella del motivo di appello o della censura in cassazione- impedisce qualsiasi controllo di legittimità al riguardo, richiedendo, tra l’altro a questo giudice di legittimità un accertamento di fatto – in ordine alla valutazione delle risultanze istruttorie – che esula dalla sua funzione.

Costituisce, difatti, principio del tutto pacifico (ex plurimis:

Cass., sez. un., n. 13045/97) che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) (in tal senso Cass. 12 febbraio 2008 n. 3267 e Cass. 27 luglio 2008 n. 2049).

Con l’ultima critica il ricorrente, prospettando vizio di motivazione e violazione della L. n. 1369 del 1960 e degli artt. 2094, 2112, 2948 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., pone i seguenti quesiti: “se va cassata la sentenza impugnata emessa dalla Corte di Appello dell’Aquila in quanto non ha accertato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato unico e continuativo espletata dal ricorrente in favore della società resistente dal 1984 al 1992, omettendo di esaminare le risultanze istruttorie nonchè i documenti prodotti in relazione alla sussistenza del rapporto di lavoro subordinato ed alla sua unicità e continuità dal 1984 al 1992”; “se va cassata la sentenza impugnata emessa dalla Corte di Appello dell’Aquila in quanto ha omesso di accertare la sussistenza di un collegamento economico funzionale, nonchè direttivo tra la società resistente e quella subentrante, onde ravvisare un unico centro del rapporto di lavoro subordinato in essere con il ricorrente dal 1984 al 1992”; “se va cassata la sentenza impugnata emessa dalla Corte di Appello dell’Aquila in quanto ha omesso di accertare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della L. n. 1369 del 1960 trattandosi di un rapporto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro subordinato in essere dal 1984 al 1992, perpetrata dalla società resistente nei confronti del ricorrente; “se va cassata la sentenza impugnata emessa dalla Corte di Appello dell’Aquila per aver ritenuto sussistente la prescrizione del diritto del ricorrente quale lavoratore subordinato, pur in presenza di un rapporto di lavoro unico e continuativo intercorso con la società resistente dal 1984 al 1992 e nonostante la lettera interruttiva A/R del 1995 in atti, di richiesta di pagamento”. La critica non è infondata.

Al riguardo mette conto sottolineare, quanto alla dedotta sussistenza di un unico e continuativo rapporto di lavoro – di cui al primo quesito, il lamentato omesso accertamento di un collegamento economico funzionale – di cui al secondo quesito – che la Corte del merito ha escluso la unicità ed il collegamento per difetto della relativa prova.

Orbene il ricorrente ancorchè richiami risultanze istruttorie e documenti che proverebbero il contrario omette di trascrivere nel ricorso, in violazione del richiamato principio di autosufficienza, le dichiarazioni dei testi ed il contenuto dei documenti.

Relativamente poi all’omesso accertamento della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della L. n. 1369 del 1960 – di cui terzo quesito – mette conto osservare che la relativa questione non risulta trattata in alcun modo nella sentenza impugnata ed il ricorrente, in violazione del richiamato principio di autosufficienza del ricorso, non ha indicato in quale atto del giudizio precedente ha dedotto siffatta questione sicchè la relativa censura è inammissibile. Secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, invero, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto- non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 2 aprile 2004 n. 6542, Cass. Cass. 21 febbraio 2006 n. 3664 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20518). La critica di cui all’ultimo quesito rimane assorbita presupponendo la stessa risolta, in senso favorevole la censura riguardante l’omessa pronuncia concernente il motivo di appello relativo alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 50,00 per esborsi oltre Euro 3000,00 per onorario ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2011

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