Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26607 del 12/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 12/12/2011, (ud. 23/11/2011, dep. 12/12/2011), n.26607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Presidente –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ARCHIMEDE 97,

presso lo studio dell’avvocato DE’ MEDICI LEOPOLDO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ASCOLI CALCIO 1898 S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BRITANNIA 36, presso

lo studio dell’avvocato TREZZA GAETANO, rappresentata e difesa dagli

avvocati VALORI GIULIO, VALLESI GIUSEPPE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 55/2008 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 18/03/2008 R.G.N. 927/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato DE MEDICI LEOPOLDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario che ha concluso per inammissibilità o in subordine

rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Ancona confermava la sentenza di primo grado con la quale, pronunciando sulla domanda di A.L. proposta nei confronti della società Ascoli Calcio 1898 e su quella riconvenzionale avanzata da quest’ultima società avente ad oggetto rispettivamente, quella dell’ A. la condanna di controparte al pagamento di differenze retributive (retribuzioni non erogate, indennità ferie non godute, indennità trasferta e TFR) concernenti la svolta attività di direttore sportivo -tecnico di cui ai contratti stipulati in data 26 giugno 1992, e quella riconvenzionale della società azionata per indebito oggettivo, accolto quest’ultima nella misura di Euro 9.233,76.

La Corte del merito, innanzitutto, accertava, sulla base delle dichiarazioni dell’ A. e di quelle rese dai testi,che le parti avevano realmente voluto il primo dei contratti sottoscritti in data 26 giugno 1992 prevedente un compenso annuale al netto dei soli oneri previdenziali ed assistenziali e non il secondo che stabiliva un compenso annuo al netto, altresì, degli oneri fiscali.

Riteneva poi, la Corte territoriale che con la stipula del predetto contratto le parti avevano innovato il precedente rapporto di lavoro subordinato – nel corso del quale l’ A. aveva svolto attività di segretario generale, ma ciononostante, avuto riguardo anche agli elementi sussidiar caratterizzanti la subordinazione, il nuovo rapporto doveva qualificarsi di natura subordinata.

Tanto specificato la Corte del merito affermava la correttezza della sentenza impugnata in ordine alle retribuzioni dovute, alla indennità per ferie, al TFR ed alla trasferte.

Avverso questa sentenza l’ A. ricorre in cassazione articolando tre censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso la società intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione dell’art. 1362 c.c., pone il seguente quesito: “se sia ammissibile la ricerca della reale volontà delle parti contraenti e una diversa interpretazione del contratto allorquando il senso letterale del contratto stesso riveli con chiarezza e univocità, attraverso le espressioni utilizzate, la comune volontà dei contraenti”.

Il motivo non è scrutinabile.

Invero trattandosi d’interpretazione di atti dell’autonomia privata – quale è il contratto di cui si discute- del quale il ricorrente contesta l’esegesi fornita dal giudice del merito, il ricorrente per investire correttamente questa Corte della violazione del denunciato criterio di ermeneutica contrattuale avrebbe dovuto, in osservanza al principio di autosufficienza, trascrivere nel ricorso il testo di siffatto contratto. In difetto di tale adempimento, poichè è precluso al giudice di legittimità l’esame diretto degli atti per verificare la rilevanza e la fondatezza della censura, quest’ultima non può essere esaminata (Cass. 6 febbraio 2007, n. 2560, cui adde, Cass. 18 novembre 2005 n. 24461).

Peraltro, e vale la pena di sottolinearlo, non risulta specificata, secondo la prescrizione sancita, a pena d’inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., n. 6 la sede processuale dove è rinvenibile il contratto di cui trattasi, nè quest’ultimo, a mente dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, risulta, depositato insieme al ricorso (Cass. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547, Cass. 23 settembre 2009 n. 20535 e Cass. S.U. 25 marzo 2010 n. 7161, nonchè Cass. 24 febbraio 2011 n. 4530).

Con la seconda censura il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 112 e 2722 c.c., articola i seguenti quesiti: “a) se una sentenza che, a fronte di una eccezione di disconoscimento di una scrittura privata sollevata dalla parte che ne contesta l’applicazione, accerti la natura simulata del contratto – o l’esistenza di un vizio di volontà- violi il divieto di ultrapetizione sancito dall’art. 112 c.p.c., in quanto l’eccezione di simulazione – o di annullamento per vizio della volontà – non può essere considerata neppure implicitamente ricompressa in quella di disconoscimento della scrittura privata; b) se una sentenza che accerti la natura simulata – o l’esistenza di un vizio della volontà – di un contratto sulla base delle dichiarazioni testimoniali raccolte in corso di causa violi i divieti sanciti in materia di prove dall’art. 2722 c.c. nella parte in cui non ammette la prova per testi quando ha ad oggetto patti contrari al contenuto del documento”.

Anche questa censura non è esaminabile.

Rileva la Corte, quanto al primo quesito, che il ricorrente denuncia,non l’omesso esame di una domanda, bensì l’erronea interpretazione fornita dal giudice del merito della domanda di controparte.

Orbene in sede di giudizio di legittimità, secondo conforme giurisprudenza di questa Corte, va tenuta distinta l’ipotesi un cui si lamenta l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censura l’interpretazione data alla domanda stessa, ritenendosi in essa compresi o esclusi alcuni aspetti della controversia in base ad una valutazione non condivisa dalla parte. Nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. e si pone un problema di natura tipicamente processuale, per risolvere il quale la Corte di Cassazione ha il potere dovere di procedere al diretto esame degli atti e di acquisire gli elementi di giudizio necessari alla richiesta pronunzia. Nel secondo caso, poichè l’interpretazione della domanda e l’apprezzamento della sua ampiezza e del suo contenuto costituiscono un tipico accertamento di fatto, come tale attribuito dalla legge al giudice del merito, alla Corte di legittimità è solo riservato il controllo della motivazione che sorregge sul punto la pronunzia impugnata (V. pre tutte Cass. 19 settembre 1997 n. 9314 e Cass. 18 agosto 2000 n. 10950).

Poichè, nella specie, non è dedotto un vizio di motivazione la relativa censura, per come articolata, non è valutabile.

Relativamente al secondo quesito osserva il Collegio che lo stesso non è in sintonia con la ratio decidendi della sentenza impugnata in quanto non vi è alcun accertamento, nella richiamata sentenza, circa “la natura simulata – o l’esistenza di un vizio della volontà- di un contratto”, bensì l’interpretazione di una clausola contrattuale attraverso la individuazione della comune volontà delle parti.

Con la terza critica il ricorrente, prospettando vizio di motivazione e violazione degli artt. 2733-2735 c.c., allegati i fatti decisivi, formula i seguenti quesiti:”a) se una sentenza che pronuncia sulla volontà delle parti di un contratto sulla base delle dichiarazioni di un testimone che nulla sapeva in merito a tale contratto sia affetta da vizio logico di motivazione; b) se una sentenza che affermi che al fine di individuare quale fosse la reale volontà delle parti non deve essere valutato il comportamento del datore di lavoro nella persona dell’amministratore delegato di una persona giuridica sia affetta da vizio logico di motivazione; c) se una sentenza nel ricercare la reale volontà delle parti ignori completamente il comportamento tenuto dalle parti nel corso dello svolgimento del rapporto ( pagamento della retribuzione ecc.) sia affetta da vizio logico di motivazione; d) se una sentenza nel valutare le prove a sostegno delle tesi contrapposte delle parti in causa ignori il contenuto di una confessione stragiudiziale violi gli artt. 2733 e 2735 c.c.”.

Premesso che la censura, alla stregua dei formulati quesiti si sostanzia nella sola denuncia di un vizio di motivazione per erronea valutazione delle risultanze istruttorie, sottolinea il Collegio, che non essendo tali risultanze riprodotte, in violazione del principio di autosufficienza, nel ricorso è impedito qualsiasi sindacato di legittimità al riguardo.

E’ infatti ius reception nella giurisprudenza di questa Corte nel caso in cui, con il ricorso per Cassazione, venga dedotta l’incongruità o l’illogicità della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di risultanze processuali, è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi, mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso, la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di Cassazione, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti, di delibare la decisività della medesima, dovendosi escludere che la precisazione possa consistere in meri commenti, deduzioni o interpretazioni delle parti (per tutte Cass. 19 maggio 2006 n. 11886).

Del resto, e vale la pena di sottolinearlo, il motivo di ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; in caso contrario, questo motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (Cass. 20 aprile 2006 n. 9233).

Sulla base di tali principi non possono trovare ingresso in questa sede le critiche in esame che, a fronte di una valutazione delle risultanze istruttorie sorretta da congrua motivazione, la quale da conto del percorso logico seguito dai giudici di appello per addivenire alla conclusione che le parti, nel prevedere il compenso annuo dovuto al ricorrente, avevano voluto escludere dal quantum stabilito solo gli oneri previdenziali ed assistenziali e non anche quelli fiscali, mirano sostanzialmente a meramente contestare, e la scelta del giudice del merito, tra le complessive risultanze del processo, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, e la concludenza delle emergenze valutate. Le critiche, quindi, si risolvono, nella prospettazione di una diversa e più favorevole lettura delle prove che in quanto tali non sono ammissibili in sede di legittimità.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 50,00 per esborsi oltre Euro 3000,00 per onorario ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2011

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