Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26602 del //

Cassazione civile, sez. VI, 21/12/2016, (ud. 08/11/2016, dep.21/12/2016),  n. 26602

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18751-2015 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BOEZIO 19,

presso lo studio dell’avvocato GILBERTO CERUTTI, che lo rappresenta

e difende giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIETRO COSSA

41, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO PORCELLI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIULIANO FERARA giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 797/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

30/01/2015, depositata il 13/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’08/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio dell’8 novembre 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.: “Con sentenza del 13 febbraio 2015, la Corte di Appello di Roma confermava la decisione del Tribunale in sede di rigetto della domanda proposta da M.A. nei confronti di C.A. ed intesa all’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze del C. con mansioni di barista -banconiere, alla declaratoria di inefficacia del licenziamento orale intimato al M. il giorno 28.19.2010 ed alla condanna del convenuto al pagamento delle differenze retributive oltre accessori. La Corte territoriale rilevava che – come correttamente ritenuto dal primo giudice – dalle risultanze istruttorie non era emersa la prova della ricorrenza di alcuno degli elementi tipici della subordinazione aggiungendo che non occorreva, ai fini del rigetto della domanda, la prova dell’esistenza del diverso rapporto dedotto dalla controparte (nella specie, di lavoro cd. intermittente), dovendosi escludere che il mancato accertamento di quest’ultimo potesse equivalere alla dimostrazione dell’esistenza della subordinazione. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il M. affidato a due motivi.

Il C. resiste con controricorso. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2697 c.c. nonchè art. 116 c.p.c. in quanto la Corte di appello non aveva tenuto conto delle deduzioni difensive del C. nè delle risultanze della prova testimoniale.

Con il secondo motivo viene denunciata violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 33, 34 e 35 assumendosi che il richiamo operato dal giudice del gravame al lavoro intermittente era errato in quanto tale figura contrattuale, oltre a richiedere la forma scritta, era da escludere quando la prestazione era sostanzialmente continuativa o risultava fissa o predeterminata nei tempi (come nel caso in questione).

Il primo motivo è inammissibile in quanto, nonostante il formale richiamo a violazione di norme di legge in esso contenuto nell’intestazione, le censure prospettate si risolvono nella denuncia di una errata o omessa valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti al fine di ottenere una rivisitazione del merito della controversia non ammissibile in questa sede.

Invero, è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di legittimità che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, e plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003).

Del pari inammissibile è secondo motivo.

Vale ricordare che in sede di legittimità sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte “ad abundantiam” o costituenti “obiter dicta”, poichè esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione (tra le varie, cfr. Cass. n. 22380 del 22/10/2014; Cass. n. 23635 del 22/11/2010).

Orbene, nel caso in esame, la “ratio decidendi” dell’impugnata sentenza è la mancanza di prova in ordine a tutti gli indici della subordinazione e le argomentazioni in ordine al cd. “lavoro intermittente” risultano addotte solo “ad abundantiam”. Per tutto quanto sopra considerato, si propone la declaratoria di inammissibilità del ricorso con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5.”.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Il Collegio condivide pienamente la sopra riportata relazione conforme ai precedenti di questa Corte e, quindi, dichiara inammissibile il ricorso.

Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico del ricorrente e vengono liquidate nella misura di cui al dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, seni n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 100,000 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2016

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