Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26601 del 21/12/2016

Cassazione civile, sez. VI, 21/12/2016, (ud. 08/11/2016, dep.21/12/2016),  n. 26601

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11630-2015 proposto da:

V.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ATANASIO

KIRCHER 7, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA IASONNA,

rappresentata e difesa dagli avvocati ERNESTO PROCACCINI e FABRIZIO

FORTE giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO

18, presso lo studio dell’avvocato AMALIA RIZZO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato NUNZIO RIZZO giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 828/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

28/01/2014, depositata il 29/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’08/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio dell’8 novembre 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.: “In sede di rinvio da Cass. n. 18927/2012 la Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 29 aprile 2014, confermava la decisione del Tribunale in sede di rigetto della domanda proposta da V.L. nei confronti di C.A. – quale titolare della farmacia “(OMISSIS)” – intesa ad ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito una serie di comportamenti vessatori asseritamente integranti “mobbing” posti in essere dal convenuto e da dipendenti di quest’ultimo – tutti impiegati nella farmacia – nel periodo compreso tra il 1998 ed il 1999.

La Corte territoriale, in applicazione del principio di diritto affermato nella sentenza n. 18927/2012 (secondo cui “Nella ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità plico-fisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente vessatoria, il giudice del merito, pur nella accertata insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti dall’interessato e quindi della configurabilità di una condotta di “mobbing”, è tenuto a valutare se alcuni dei comportamenti denunciati – esaminati singolarmente, ma sempre in sequenza causale – pur non essendo accomunati dal medesimo fine persecutorio, possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili a responsabilità del datore di lavoro, che possa essere chiamato a risponderne, nei limiti dei danni a lui imputabili.”) rilevava – dopo una accurata valutazione del materiale probatorio raccolto che nessuno dei comportamenti denunciati come vessatori dalla V. era tale ed idoneo a generare una responsabilità per il datore di lavoro. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la V. affidato ad un unico motivo.

Il C. resiste con controricorso.

Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 41 Cost., art. 2087 c.c., della L. n. 300 del 1970, del D.Lgs. n. 626 del 1994, dell’art. 115 c.p.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ed omesso esame di un punto decisivo (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Si assume che la Corte di merito, facendo una non corretta applicazione delle affermazioni contenute nella decisione rescindente, pur in presenza di chiari elementi di fatto idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti e comportamenti discriminatori non aveva onerato il C. di provare la insussistenza della “discriminazione”.

Il motivo è inammissibile in quanto non tiene conto della motivazione dell’impugnata sentenza che – proprio in applicazione del principio di diritto affermato in Cass. n. 18927/2012 – ha escluso la sussistenza di comportamenti vessatori nei confronti della V. dopo un’accurata valutazione dei singoli episodi denunciati operata attraverso la disamina della emergenze istruttorie.

Peraltro il motivo, nonostante il formale richiamo contenuto nell’intestazione a plurime violazioni di norme di legge, si risolve nella denuncia di una errata o omessa valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti alfine di ottenere una rivisitazione del merito della controversia non ammissibile in questa sede. Invero, è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di legittimità che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, e plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003).

Per tutto quanto sopra considerato, si propone la declaratoria di inammissibilità del ricorso con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5.”.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Il C. ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Il Collegio condivide pienamente il contenuto della sopra riportata relazione e, pertanto, dichiara inammmissibile il ricorso.

Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico della ricorrente e vengono liquidate nella misura di cui al dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, sent n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 100,000 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2016

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