Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2660 del 05/02/2020

Cassazione civile sez. II, 05/02/2020, (ud. 03/10/2018, dep. 05/02/2020), n.2660

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7324-2014 proposto da:

Z.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE VASCO DE GAMA

58, presso lo studio dell’avvocato LUIGI ROSARIO PERONE, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, V.DEI PONTEFICI

3, presso lo studio dell’avvocato MARCO GIULIANI, che lo rappresenta

e difende;

– controricorrente –

e contro

I.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1169/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/10/2018 dal Consigliere RAFFAELE SABATO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con atto di citazione notificato in data 30.03.2000 i coniugi Z.P. e I.C. hanno convenuto in giudizio dinanzi al tribunale di Roma C.F., chiedendo declaratoria di nullità del contratto di compravendita immobiliare stipulato in data 31.10.1986 inter partes per violazione degli artt. 1343 e 1418 c.c. e il conseguente riconoscimento del diritto di proprietà sul bene, con ulteriore richiesta di condanna alla restituzione delle somme corrisposte al convenuto a titolo di canone di locazione a partire dal novembre del medesimo anno.

Hanno evidenziato, a sostegno della pretesa, che la vendita dell’immobile era stata frutto di un’azione estorsiva intrapresa da C.O., padre dell’acquirente, il quale aveva costretto gli attori alla suddetta cessione attraverso ripetute minacce e percosse, oltre che mediante la posizione conseguita a seguito di concessione di piccoli prestiti a interessi usurari, così come accertato in sede penale nel procedimento n. 3749/1996 conclusosi con sentenza di condanna per estorsione. Hanno altresì precisato che a seguito della cessione essi avevano continuato a risiedere nel suddetto immobile, corrispondendo al signor C. una somma periodica a titolo di canone di locazione.

2. C.F. si è costituito in giudizio contestando integralmente la fondatezza delle domande.

3. Con sentenza depositata in data 21.07.2006 il tribunale di Roma, previa riunione del procedimento con altro instaurato dal signor C. contro i medesimi coniugi Z. al fine di ottenere il rilascio dell’immobile per morosità, ha respinto le istanze dei coniugi Z., dichiarando risolto il contratto di locazione e intimando il rilascio dell’immobile, oltre al pagamento dei restanti canoni di locazione.

4. Avverso la predetta decisione hanno proposto appello i coniugi Z. chiedendo l’accertamento della nullità del contratto con conseguente riforma della sentenza impugnata. Si è costituita la parte appellata chiedendo il rigetto del gravame.

5. Con sentenza depositata in data 21.02.2014 la corte d’appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado, sul presupposto che parte attrice avrebbe dovuto formulare la domanda originaria come di annullamento del contratto per vizio della volontà e non come tesa alla declaratoria di nullità, dal momento che le condotte minatorie e le azioni violente poste in essere dal signor C. nei loro confronti dovevano considerarsi come vis compulsiva e non come vis absoluta. La mancata proposizione dell’azione di annullamento aveva – secondo la corte – determinato il decorso del termine quinquennale di prescrizione della stessa ai sensi dell’art. 1442 c.c..

6. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Z.P., sulla base di un motivo, nei confronti di I.C. che non ha svolto difese, non essendo per altro verso notificato il ricorso a C.F. (cfr. avviso di ricezione).

7. Con ordinanza n. 1028 in data 17.1.2018 è stata disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di C.F., il quale ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. C.F. con il controricorso, oltre a dedurre il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, ha “in via pregiudiziale” eccepito che, a seguito dell’ordinanza emessa da questa corte con cui è stata disposta integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, la parte ricorrente avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 371-bis c.p.c., “a pena di improcedibilità” depositare entro venti giorni dalla scadenza del termine per la notifica depositare in cancelleria l’atto di integrazione notificato. La parte ricorrente – ha notato il controricorrente – non ha depositato l’atto nè entro il termine dei venti giorni successivi ai sessanta assegnati per l’integrazione decorrenti dal 17.01.2018, data di comunicazione dell’ordinanza al difensore della parte ricorrente, nè entro il termine di venti giorni successivi all’effettivo perfezionamento della notifica in data 5.4.2018.

2. L’eccezione è fondata, per cui va dichiarata l’improcedibilità del ricorso.

2.1. In tal senso, va data continuità alla giurisprudenza di questa corte (cfr. Cass. sez. U n. 3820 del 24/02/2005 e altre) per la quale, qualora la corte di cassazione abbia ordinato l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 371-bis c.p.c., il deposito dell’atto oltre il termine di venti giorni dalla scadenza del termine per provvedere alla disposta integrazione comporta l’improcedibilità, rilevabile d’ufficio, del ricorso in cassazione, restando del tutto irrilevante un tardivo deposito dell’atto stesso.

2.2. L’improcedibilità non è esclusa neppure dall’eventuale costituzione – quale avvenuta nel caso di specie – della controparte intimata, posto che il principio – sancito dall’art. 156 c.p.c. di non rilevabilità della nullità di un atto per avvenuto raggiungimento dello scopo attiene esclusivamente alle ipotesi di inosservanza di forme in senso stretto e non di termini perentori, per i quali siano state dettate apposite o separate disposizioni (cfr. Cass. sez. U n. 11003 del 12/05/2006 e altre).

3. Pur a fronte della dichiarazione di improcedibilità a rendersi, alla luce del testo dell’art. 92 c.p.c. ratione temporis applicabile (anteriore rispetto a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263) che consente al giudice di tenere conto di “giusti motivi” di compensazione delle spese – formula che denota il potersi valutare discrezionalmente la fattispecie concreta nel suo complesso (cfr. ad es. Cass. sez. U n. 20598 del 30/07/2008 nonchè Cass. n. 20457 del 06/10/2011 e n. 1997 del 04/02/2015) – deve essere disposta la compensazione stessa, considerandosi il sussistere di accertamento favorevole in sede penale e le ragioni cui sono riconducibili i diversi esiti processuali in sede civile. Non vanno disposte declaratorie ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater per essere il ricorrente ammesso al gratuito patrocinio.

P.Q.M.

la corte dichiara improcedibile il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, il 3 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2020

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