Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26599 del 22/10/2018

Cassazione civile sez. II, 22/10/2018, (ud. 24/01/2018, dep. 22/10/2018), n.26599

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15486-2014 proposto da:

F.G., rappresentato e difeso dall’Avvocato RITA LAZZARA;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA DELLO STATO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– resistente con procura –

e contro

ASSESSORATO ALLAMBIENTE DELLA REGIONE SICILIANA, in persona

dell’Assessore pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 574/2013 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 16/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/01/2018 dal Consigliere ANTONELLO COSENTINO.

Fatto

RILEVATO

che il sig. F.G. ricorre nei confronti dell’Amministrazione finanziaria dello Stato e dell’Assessorato al territorio ed all’ambiente della Regione Sicilia per la cassazione della sentenza della corte d’appello di Messina n. 574/2013 del 16 luglio 2013 che, confermando la sentenza del tribunale di Messina, ha dichiarato abusiva la sua occupazione di mq. 1.800 di terreno demaniale marittimo in (OMISSIS) e, per l’effetto, lo ha condannato all’immediato rilascio della stessa, previa riduzione in pristino e risarcimento dei danni, liquidati in Euro 157.309.20 oltre interessi, nonchè al pagamento delle spese processuali;

che in particolare la corte di appello rilevava, per un verso, che, ai sensi dell’art. 651 c.p., la sussistenza del fatto addebitato al sig. F., ossia l’abusiva occupazione di terreno demaniale, non poteva formare oggetto di contestazione, in quanto accertato in sede penale, con sentenza di condanna per la contravvenzione di cui all’art. 1161 c.n. emessa dal pretore Sant’Agata Militello il 20 marzo 1979 e confermata dal tribunale di Patti con sentenza del 15 febbraio 1980, divenuta irrevocabile per mancata impugnazione; per altro verso, che alla successiva sentenza n. 103/2005 del 7 marzo 2005 – con cui il medesimo tribunale di Patti aveva assolto il sig. F. dal reato di occupazione di terreni pubblici ai sensi degli artt. 633 e 639 bis c.p., sul rilievo che i terreni da costui occupati erano in proprietà di privati – non poteva attribuirsi l’efficacia di cui all’art. 652 c.p.p., difettando la prova che nel processo definito con tale sentenza l’Amministrazione finanziaria dello stato e l’Assessorato regionale al territorio si fossero costituiti parte civile o fossero stati posti in condizione di farlo;

che, in ordine a tale ultimo profilo, la corte messinese sottolineava, per un verso, come non risultasse provato che il decreto di citazione a giudizio del sig. F. in sede penale fosse stato notificato alle suddette Amministrazioni e, per altro verso, che la sentenza penale del 2005 assolveva il sig. F. da un’imputazione concernente l’occupazione di terreno demaniale per 420 metri quadri, vale a dire un’area largamente inferiore a quella di cui alla imputazione per la quale il medesimo sig. F. era stato condannato con la sentenza penale del 1979;

che, da ultimo, la corte distrettuale rilevava che la quantificazione del danno subito dalle Amministrazioni attrici operata dal giudice di prime cure non era stata specificamente contestata nell’ appello dal sig. F.;

che il ricorso si articola su quattro motivi;

che l’Amministrazione finanziaria dello Stato si è costituita in questa sede solo con comparsa, ai fini della eventuale partecipazione alla discussione, mentre l’Assessorato regionale non ha svolto alcuna attività difensiva;

che la causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2018 per la quale non sono stata depositate memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo – riferito alla violazione e falsa applicazione dell’art. 651 c.p.p. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – il ricorrente propone quattro censure eterogenee, che è necessario esaminare partitamente;

che con la prima censura (lett. A, punto 1 del motivo) si lamenta che la sentenza gravata non abbia considerato che, in ragione della natura permanente del reato di cui all’art. 1161 c.n., il giudicato derivante dalla sentenza del tribunale di Patti del 15 febbraio 1980 avrebbe coperto la sussistenza della occupazione abusiva solo fino alla data della sentenza di primo grado (20 marzo 1979), con conseguente necessità, per le controparti, di provare l’occupazione abusiva per il periodo successivo a quest’ultima data; detta censura va disattesa, perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza gravata, la quale ha valorizzato il giudicato penale del 1980 non ai fini dell’accertamento del fatto storico dell’occupazione dei terreni da parte del sig. F. (che non risulta essere stata contestata in sede di merito) ma ai fini dell’accertamento della natura demaniale di tali terreni;

che con la seconda censura (lett. A, punto 2 del motivo) si deduce che la sentenza del tribunale di Patti non conteneva alcun accertamento sulla natura demaniale dei terreni in questione, avendo esplicitamente argomentato che la contravvenzione prevista dall’art. 1161 c.n. “sussisterebbe anche ove in ipotesi il terreno fosse di proprietà privata”; che detta censura va giudicata inammissibile, perchè attinge l’interpretazione offerta la corte distrettuale sul contenuto del giudicato formatosi con la sentenza del tribunale di Patti del 15.2.80 senza riportare con la necessaria specificità il testo di tale sentenza; lo stralcio di trascrizione che si legge a pag. 6 del ricorso risulta infatti riferito ad una “sentenza penale n. 51/79 emessa dal tribunale di Patti”, che non è dato capire se sia la sentenza del pretore del 1979 o la sentenza del tribunale del 1980;

che la terza censura (lett. B del motivo) deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la corte territoriale accogliendo le domande delle Amministrazioni attrici di rilascio del terreno per cui è causa e di pagamento di un’indennità per la relativa occupazione nonostante che le stesse non avessero provato di essere proprietarie del medesimo; che detta censura non può trovare accoglimento perchè risulta non pertinente alla ratio decidendi, la quale si fonda sull’autorità del giudicato esterno recato dalla sentenza del 1980 del tribunale di patti;

che la quarta censura (lett. C del motivo) deduce la insufficienza e la contraddittorietà delle motivazioni addotte dalla corte d’appello in punto di demanialità del terreno in questione; che la censura è inammissibile perchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con la L. n. 134 del 2012, applicabile nella fattispecie perchè la sentenza impugnata è stata depositata nel 2013 – i vizi di insufficienze e contraddittorietà della motivazione non sono censurabili in sede di legittimità se non quando – e non è il caso della sentenza qui gravata – la contraddittorietà della motivazione renda la stessa completamente inidonea a dare conto delle ragioni della decisione e quindi, in definitiva, meramente apparente;

che il secondo motivo, riferito alla dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., impugna la statuizione di condanna dell’odierno ricorrente al risarcimento del danno, argomentando che la sentenza di primo grado era viziata da ultrapetizione poichè il tribunale di Messina si era pronunciato anche sull’indennizzo per il periodo antecedente il 20 marzo 1979, per il quale le amministrazioni avevano già proceduto alla esecuzione forzata del credito risarcitorio di Euro 1.000.000 liquidato in sede penale;

che il motivo è inammissibile perchè censura un vizio di ultrapetizione della sentenza di primo grado senza che in ricorso si deduca che tale vizio abbia formato oggetto di specifico motivo di appello (Cass. n. 10172/15: “in materia di ricorso per cassazione, il motivo con cui il ricorrente lamenti che la sentenza di appello sia incorsa nel medesimo vizio di ultrapetizione dal quale sarebbe stata già affetta la sentenza di primo grado è inammissibile, allorchè la deduzione di quel vizio non abbia costituito oggetto, in precedenza, di uno specifico motivo di gravame”); il ricorrente, al contrario, non attinge l’argomentazione che si legge alla pagina 5, penultimo capoverso della motivazione, della sentenza gravata, secondo la quale la quantificazione dei danni operata dal primo giudice non aveva formato oggetto di contestazione in appello;

che col terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del principio del ne bis in idem – artt. 74, 324, 328 e 538 c.p.p., art. 2909 c.c., artt. 651 e 652 c.p.c. – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 in quanto, per il periodo che va dal 1977 al 1980, l’azione civile per il risarcimento del danno da abusiva occupazione del terreno era stata esercitata in sede penale ed in questa sede definita integralmente con efficacia di giudicato, donde l’inammissibilità della relativa riproposizione nel presente giudizio;

che il motivo è inammissibile perchè la presunta violazione del bis in idem si risolve in una eccezione di giudicato esterno dedotta senza il rispetto dell’onere di trascrizione del giudicato stesso (cfr. Cass. n. 2617/15: “Nel giudizio di legittimità, il principio della rilevabilità del giudicato esterno deve essere coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso, per cui la parte ricorrente che deduca il suddetto giudicato deve, a pena d’inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico della stessa”; conf. Cass. n. 15737/17);

che col quarto motivo di appello il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 948 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè il vizio di contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, sostenendo che la corte di appello avrebbe errato nell’accogliere la domanda delle Amministrazioni attrici, ancorchè le stesse non avessero provato di essere proprietarie del terreno in questione;

che il motivo è inammissibile perchè, la censura relativa al vizio di violazione di legge non è pertinente alla ratio decidendi, che si fonda, come già rilevato con riferimento alla terza censura del primo motivo, sull’autorità del giudicato esterno e non sulla dimostrazione del diritto dominicale delle Amministrazioni attrici nell’ambito di questo giudizio; quanto al riferimento svolto nel corpo del motivo (pag. 12 del ricorso) all’errore in cui la corte territoriale sarebbe incorsa nel ritenere che le Amministrazioni attrici non fossero state messe in grado di partecipare al giudizio penale definito con la sentenza 103/05, è sufficiente rilevare che tale riferimento non è dedotto come specifico mezzo di impugnazione (essendo preceduto dall’espressione “a parte”) e, comunque, risulta formulato senza il rispetto del canone dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, in quanto il richiamo al “decreto di citazione a giudizio del procedimento penale iscritto alla NRG 2249/97” non è accompagnato dalla precisazione della fase del giudizio di merito in cui tale decreto sarebbe stato prodotto e del luogo degli atti depositati con il ricorso per cassazione in cui il medesimo sarebbe reperibile per poter essere esaminata da questa Corte; quanto, infine, alla censura concernente l’interpretazione del giudicato penale posto dalla corte messinese a fondamento della propria decisione, è sufficiente rilevare che tale doglianza riproduce la seconda censura svolta nel primo motivo di ricorso (lett. A, punto 2 del primo motivo) e non può che seguirne la sorte.

che quindi in definitiva il ricorso va rigettato in relazione a tutti i motivi in cui esso si articola;

che non vi è luogo a regolazione di spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva;

che deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018

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