Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26598 del 12/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 12/12/2011, (ud. 10/11/2011, dep. 12/12/2011), n.26598

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio

legale TRIFIRO’ & PARTNERS, rappresentata e difesa

dall’Avvocato

CORNA ANNA MARIA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

R.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI

BETTOLO 4, presso lo studio dell’avvocato BROCHIERO MAGRONE FABRIZIO,

che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 835/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/11/2006 R.G.N. 647/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega CORNA ANNA MARIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO E DIRITTO

La Corte, premesso che il Collegio ha disposto, all’esito dell’odierna udienza, la redazione motivazione della presente sentenza in forma semplificata;

rilevato che:

il giudice di appello di Milano, confermando la sentenza di prime cure, ha dichiarato la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato fra il lavoratore in epigrafe da una parte, e Poste Italiane s.p.a. dall’altra;

per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società Poste Italiane affidato a tre motivi, illustrati da memoria; il lavoratore ha resistito con controricorso;

la Corte territoriale con riferimento al contratto a termine stipulato in data 5 giugno 2002 “per esigenze tecniche organizzative e produttive, anche di carattere straordinario, conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi comprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio 2002, 13 febbraio 2002 e 17 aprile 2002”, ha, sulla premessa dell’applicabilità del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, confermato, ritenendo generica l’indicazione in contratto delle esigenze e non provata la effettiva sussistenza dei presupposti del contratto a termine nel caso concreto, la sentenza di primo grado in punto di declaratoria della nullità del termine apposto a detto contratto e di condanna della società a pagare le retribuzioni omesse a far tempo dalla messa in mora la suddetta impostazione è stata censurata dalla società che assume la erroneità della sentenza impugnata, con i primi due motivi, in punto di ritenuta necessità di prova delle esigenze in relazione al caso concreto nonchè, con il terzo motivo, in ordine alla spettanza delle retribuzioni in assenza di controprestazione e di messa in mora; i primi due motivi sono infondati;

questa Corte ha infatti, condivisibilmente, sancito, che in tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore, richiedendo l’indicazione da parte del datore di lavoro delle “specificate ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, ha inteso stabilire, in consonanza con la direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia (cfr. sentenza del 23 aprile 2000, in causa C-378/07 ed altre; sentenza del 22 novembre 2005, in causa C-144/04), un onere di specificazione a carico del datore di lavoro – e quindi di prova – delle ragioni oggettive del termine finale, vale a dire di indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contenuto, che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e più in generale circostanziale, perseguendo in tal modo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificablità delle stesse nel corso del rapporto (per tutte Cass. 1 febbraio 2010 n. 2279);

conseguentemente il richiamo agli accordi collettivi non può costituire assolvimento all’onere di specificazione così come richiesto dalla norma;

il terzo motivo relativo alle conseguenze economiche derivanti dalla accertata invalidità dell’apposizione del termine che si conclude con il seguente quesito:”se per il principio della corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui all’art. 126 e segg. cod. civ.” è inammissibile per genericità del quesito;

invero tale quesito prescinde del tutto dalla ratio decidendi posta a base della sentenza impugnata e si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia e come tale non è idoneo ad assolvere alla sua funzione;

questa Corte ha affermato, infatti, che, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, (Cass. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420); ovvero quando, essendo la formulazione generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, è inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del corrispondente motivo, mentre la norma impone al ricorrente di indicare nel quesito l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759);

d’altro canto non vi è per il dedotto vizio di motivazione l’indicazione, in una sintesi riassuntiva simile al quesito di diritto, delle ragioni che rendono, in caso d’insufficienza, inidonea la motivazione a giustificare la decisione, in caso di omissione, decisivo il difetto di motivazione e in caso di contraddittorietà, non coerente la motivazione (cfr. Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556, Cass. S.U. 18 giugno 2008 n. 16528 e Cass. S.U. 1 ottobre 2007 n. 2063);

il ricorso, in conclusione, va respinto;

per la ritenuta inammissibilità dei motivi afferenti le conseguenze economiche, vi è spazio per l’operatività dello ius superveniens di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi da 5 a 7, trovando, detto ius superveniens, applicazione con il limite invalicabile della cosa giudicata (Cfr. Corte Cost. n. 3003 del 2011 che ha ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento agli artt. 3, 4, 11, 24, 101, 102, 111 Cost. e art. 117 Cost., comma 1); le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 40,00 per esborsi oltre Euro 2.500,00 per onorario ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2011

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