Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26597 del 09/11/2017

Civile Ord. Sez. L Num. 26597 Anno 2017
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: NEGRI DELLA TORRE PAOLO

ORDINANZA
sul ricorso 5795-2012 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.E. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2017

A.A.

2460

intimato

Nonché da:
A.A. presso lo

Data pubblicazione: 09/11/2017

studio

dell’avvocato

MASSIMO

MARTORIELLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNA COGO;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585;

avverso la sentenza n. 297/2011 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 24/02/2011 R.G.N. 11539/08;

– intimata –

R.G. 5795/2012

Premesso che con sentenza n. 297/2011, depositata il 24 febbraio 2011, la Corte di
appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato, con le pronunce
conseguenti, la nullità del termine apposto al contratto stipulato da A.A. e dalla
S.p.A. Poste Italiane, relativamente al periodo dal 2/4/2003 al 30/6/2003, “ai sensi dell’art.
1 del d.lgs. n. 368/2001, per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza

servizio di recapito presso la Regione Sud 1 assente con diritto alla conservazione del posto
di lavoro”, condannando la società al pagamento delle retribuzioni maturate dal 9/1/2006,
data della costituzione in mora, al 30/6/2006, data di scadenza del termine di tre anni
computato a decorrere dalla cessazione del rapporto, e disponendo la compensazione delle
spese di entrambi i gradi di giudizio;
– che a sostegno della propria decisione la Corte ha rilevato come la causale del termine
non potesse considerarsi sufficientemente specifica e come, d’altra parte, neppure vi fosse
prova, alla stregua della documentazione prodotta da Poste Italiane, della reale sussistenza
delle richiamate esigenze sostitutive;
– che nei confronti di detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società con tre
motivi;
– che il lavoratore ha resistito con controricorso, con il quale ha proposto ricorso incidentale,
affidato a due motivi;

rilevato che con il primo motivo del ricorso principale Poste Italiane censura la sentenza
impugnata, deducendo violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art.
1 d.lgs. n. 368/2001 e agli artt. 1362 ss. c.c., nonché contraddittoria e omessa pronuncia
in ordine ad un punto decisivo della controversia, per avere la Corte di appello ritenuto la
causale generica, nonostante i plurimi elementi di segno diverso contenuti nella lettera di
assunzione; con il secondo motivo, deducendo vizio di motivazione, censura la sentenza,
nella parte relativa alla ritenuta insussistenza di collegamento causale tra l’assunzione e le
ragioni sostitutive specificate nel contratto, per avere la Corte omesso di valutare la prova
testimoniale effettuata in primo grado e per avere altresì ritenuto generici i documenti
prodotti, senza peraltro disporre l’integrazione del quadro probatorio mediante l’esercizio
dei propri poteri istruttori; con il terzo, censura la sentenza, deducendo violazione o falsa
applicazione dell’art. 32 I. n. 183/2010 e vizio di motivazione, per avere la Corte ritenuto
inapplicabile la disciplina sopravvenuta sul risarcimento del danno, in caso di conversione
di contratto a tempo determinato, ai giudizi di secondo grado;

osservato che il secondo motivo del ricorso principale è infondato;
– che, infatti, “il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità

ex art. 360 n. 5 c.p.c., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta
1

di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato nell’Area Operativa e addetto al

dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della
htroversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in
» enso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla
Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello
di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la
valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del
proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la
concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare ì

– che, inoltre, il motivo è infondato, là dove denuncia la mancata attivazione dei poteri
istruttori di ufficio in tema di prova, posto che “la facoltà del giudice di chiedere chiarimenti
e precisazioni ex art. 253 c.p.c., di natura esclusivamente integrativa, non può tradursi in
un’inammissibile sanatoria della genericita e delle deficienze dell’articolazione probatoria”
(Cass. 3280/2008); dovendosi poi rilevare che la società ricorrente non ha specificato se
avesse tempestivamente invocato l’esercizio di detti poteri, con la necessaria indicazione
dell’oggetto possibile degli stessi (Cass. n. 22534/2014; Cass. n. 6023/2009) e ciò anche
in violazione del principio di autosufficienza del ricorso (Cass. n. 10376/2016);
– che l’infondatezza del secondo motivo si riflette sul primo, posto che “qualora la pronuncia
impugnata sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle
quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rigetto
delle doglianze relative ad una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse,
l’esame relativo alle altre, pure se tutte tempestivamente sollevate, in quanto il ricorrente
non ha più ragione di avanzare censure che investono una ulteriore

ratio decidendi,

giacché, ancorché esse fossero fondate, non potrebbero produrre in nessun caso
l’annullamento della decisione anzidetta” (Cass. n. 18240/2004);
– che risulta invece fondato, e deve essere accolto, il terzo motivo del ricorso principale,
essendo la I. n. 183/2010 “applicabile a tutti i giudizi in corso, tanto nel merito, quanto in
sede di legittimità” (Corte cost., sentenza n. 303/2011);
ritenuto, pertanto, che, in accoglimento di tale ultimo motivo del ricorso principale,
l’impugnata sentenza n. 297/2011 della Corte di appello di Roma deve essere cassata e la
causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio, alla medesima Corte in diversa
composizione, la quale provvederà a determinare l’indennità prevista dall’art. 32, comma
5, I. n. 183/2010, secondo i criteri indicati dalla norma, accertando l’esistenza di eventuali
contratti o accordi collettivi ai sensi del co. 6 e facendo applicazione, ove necessario, delle
disposizioni di natura processuale fissate nel co. 7 della stessa legge;
– che restano di conseguenza assorbiti i motivi del ricorso incidentale, relativi, il primo, al
disposto contenimento dell’ammontare risarcitorio spettante al lavoratore nella misura
delle retribuzioni maturate nel periodo dal 9/1/2006 (data della costituzione in mora) al
30/6/2006 (data di scadenza del periodo di tre anni dalla cessazione dei rapporto); e, il
2

fatti in discussione” (Cass. n. 6288/2011);

secondo, al regolamento, con la compensazione integrale, delle spese di lite di entrambi i
gradi

p.q.m.

La Corte accoglie il motivo relativo all’applicazione dell’art. 32 I. n. 183/2010, rigettate le
restanti censure e assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione

composizione.

Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 25 maggio 2017.

Il Presidente
(dott. Antonio Manna)

IL CAN tzWERE

Maria iwGiacoia

al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa

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