Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26594 del 23/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 23/11/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 23/11/2020), n.26594

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12164-2017 proposto da:

S.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RICCARDO

GRAZIOLI LANTE n. 7, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO

MOROSINI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CO.TRA.L. COMPAGNIA TRASPORTI LAZIALE S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

POMPEO MAGNO n. 23/A, presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO

PROIA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 524/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/02/2017 R.G.N. 4983/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte di Appello di Roma, con sentenza pubblicata in data 13 febbraio 2017, ha confermato la pronuncia del locale Tribunale nella parte in cui, preso atto della rinuncia in prima udienza della domanda di S.D. volta al riconoscimento, nei confronti della Compagnia Trasporti Laziali Spa, della superiore qualifica dirigenziale rispetto a quella posseduta di Quadro, aveva respinto l’ulteriore domanda di pagamento delle differenze retributive per “mancanza di prova circa lo svolgimento delle mansioni superiori”;

2. la Corte, condividendo l’assunto del primo giudice, ha escluso che “lo S. svolgesse attività dirigenziali”, rilevando che dalla prova testimoniale era emerso piuttosto che le mansioni espletate “rientravano pienamente nel parametro 250, attribuito appunto ai responsabili di unità complessa” e che, invece, non risultavano “quei requisiti ulteriori richiesti per la qualifica dirigenziale”, in quanto l’appellante, “oltre a non avere la facoltà di comminare sanzioni disciplinari, non poteva disporre di somme oltre il budget assegnato e in caso di spostamento del budget aveva un mero potere di segnalazione e non poteva provvedere al riallineamento”; infine “non impartiva linee generali di strategia e non era responsabile del raggiungimento di obiettivi”;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso S.D. con 3 motivi cui ha resistito la società con controricorso, illustrato anche da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere “la Corte di Appello disatteso di esaminare l’unica domanda residuata all’esito della sentenza di primo grado ovvero il diritto del ricorrente a percepire il trattamento economico corrispondente alle mansioni superiori”, in quanto l’originario capo di domanda inerente al conseguimento della promozione automatica “era già stato rinunciato in primo grado”;

2. il motivo è privo di fondamento perchè, in disparte il profilo di inammissibilità derivante dall’aver denunciato come vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 ciò che sarebbe un error in procedendo, senza dedurre la nullità della sentenza o del procedimento a mente dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (v. Cass. n. 1196 del 2007; Cass. n. 22759 del 2014; Cass. n. 10862 del 2018), non si confronta con l’effettiva motivazione della sentenza impugnata;

la Corte di Appello, infatti, dopo aver esplicitamente ricordato nello svolgimento del processo che lo S. aveva rinunciato, in prima udienza, alla domanda volta “al riconoscimento della superiore qualifica dirigenziale”, ha preliminarmente sottolineato che “il petitum (scilicet del giudizio di appello) è limitato alle differenze retributive conseguenti alle asserite funzioni dirigenziali che lo S. sostiene di aver svolto, invece di quelle di Quadro ex par. 250 CCNL assegnate dall’azienda”;

la Corte poi, sulla scorta dell’istruttoria espletata, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto tale domanda per mancanza di prova circa le superiori mansioni rivendicate, per cui alcuna omissione di pronuncia è ravvisabile;

3. il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2095,2013 c.c., CCNL autoferrotranvieri e CCNL dirigenti”, lamentando che “il giudice di merito in sede di gravame risulta aver, da un lato, erroneamente giudicato in base ad una nozione restrittiva della qualifica dirigenziale, dall’altro aver valutato talune circostanze (risultanze documentali e testimoniali) in astratto decisive, incorrendo nell’errore decisivo e determinate di non aver saputo contemperare il profilo del materiale probatorio offerto con la normativa di riferimento”;

4. il motivo, per come formulato, è inammissibile;

la doglianza circa l’errata valutazione di “risultanze documentali e testimoniali” conclama che il motivo, lungi dall’individuare un effettivo errore di diritto, nella sostanza invoca una diversa lettura delle emergenze probatorie, difforme da quella rappresentata dai giudici a cui è affidato il dominio del merito, invocando così un sindacato chiaramente precluso a questa Corte di legittimità;

5. con il terzo mezzo si denuncia: “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che stato oggetto di discussione tra le parti – alterazione della ritualità processuale – omessa valutazione delle prove e/o dei documenti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”;

6. la censura è inammissibile;

essa trascura di considerare che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per i giudizi di appello instaurati dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, non può essere evocato, rispetto ad un appello promosso dopo la data sopra indicata (richiamato D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2), con ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter c.p.c., u.c., in base al quale il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; v. Cass. n. 23021 del 2014);

7. conclusivamente il ricorso va respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2020

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