Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26593 del 23/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 23/11/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 23/11/2020), n.26593

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7855-2017 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCO

MICHELINI TOCCI n. 50, presso lo studio degli avvocati MARCO

VISCONTI, e CARLO VISCONTI, che la rappresentano e difendono

unitamente agli avvocati MARIO JACCHIA, e GREGORIO DESCOVICH

MARCATO;

– ricorrente principale –

contro

BANCA DI BOLOGNA CREDITO COOPERATIVO SOCIETA’ COOPERATIVA, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA L.G. FARAVELLI N. 22, presso lo studio dell’avvocato

ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

LUIGI MONTUSCHI;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

contro

M.L.;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 819/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 23/12/2016 R.G.N. 990/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte di Appello di Bologna, con sentenza pubblicata in data 23 dicembre 2016, ha confermato, sebbene con diversa motivazione, la pronuncia del locale Tribunale nella parte in cui aveva disatteso la domanda azionata da M.L. nei confronti della Banca di Bologna Società Cooperativa volta ad accertare che, sebbene inquadrata come funzionaria di terzo livello, aveva svolto mansioni di dirigente ovvero, in subordine, di Quadro direttivo di quarto livello, in base al CCNL per i dipendenti delle Banche di Credito Cooperativo, dall’assunzione fino al 15 febbraio 2010, in quanto aveva avuto la “responsabilità della gestione della Pomodoro Viaggi Srl (società del gruppo Banca di Bologna) con la qualifica di Amministratore”;

2. la Corte territoriale, premessa l’ammissibilità “in linea teorica del conseguimento del diritto al superiore inquadramento nell’ipotesi di distacco” e scrutinate le declaratorie degli inquadramenti superiori rivendicati secondo la contrattazione collettiva di settore, ha tuttavia escluso – per quanto qui ancora interessa – che “il contenuto concreto delle mansioni” di fatto espletate dalla M. quale Amministratore Delegato della Pomodoro Viaggi Srl fossero riconducibili “a qualsiasi declaratoria contrattuale del CCNL Banche di Credito Cooperativo” così come richiesta; la Corte, avendo ritenuto che “il contenuto dell’attività che di fatto la lavoratrice avrebbe svolto era stata definita dalle parti già al momento della stipula del contratto di lavoro”, di modo che le stesse avevano “convenzionalmente individuato il livello di inquadramento sulla base dei rispettivi interessi”, ha respinto il mezzo di gravame articolato dall’appellante; dichiarato assorbito ogni altro motivo dell’appello incidentale formulato dalla Banca, ha accolto quello relativo alle spese compensate in primo grado, liquidando quelle dell’intero giudizio a carico della soccombente;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso M.L. con 4 motivi; ha resistito l’intimata con controricorso, proponendo contestualmente ricorso incidentale condizionato; a quest’ultimo ha resistito la lavoratrice con controricorso;

entrambe le parti hanno comunicato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di “inammissibilità del controricorso” avverso formulata dalla difesa della M. nella memoria ex art. 380 bis c.p.c.;

invero la pretesa violazione delle regole per la redazione degli atti in cassazione, contenute nel protocollo siglato il 17 dicembre 2015 dalla Corte di cassazione e dal Consiglio nazionale forense a mezzo dei loro presidenti, non può in alcun modo dare luogo ad inammissibilità, come chiaramente affermato anche da Cass. n. 10112 del 2018 citata dalla ricorrente principale, che lascia salvo il diverso caso della violazione – non già, ovviamente, del Protocollo in sè, bensì – del dato normativo di riferimento nell’interpretazione recepita nello stesso, requisito normativo previsto a pena di inammissibilità del controricorso che nella specie neanche l’eccipiente riesce ad individuare;

2. con il primo motivo di ricorso principale si denuncia “violazione o, quanto meno, falsa applicazione dell’art. 2070, nonchè degli artt. 1321 e 1322 e art. 1362 c.c.”, per avere “la sentenza impugnata ritenuto contraddittoriamente che non fosse applicabile alla fattispecie il CCNL dei dipendenti delle Banche di Credito Cooperativo e, quindi, neppure le declaratorie relative alle mansioni espletate; e questo nonostante le parti avessero espressamente pattuito l’applicazione del CCNL suddetto al rapporto de quo”; con il secondo si lamenta “violazione o, quanto meno, falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 2070 c.c. e dell’art. 36 Cost.”, sostenendo che, “ammesso e non concesso che non sia applicabile nella fattispecie il CCNL dei dipendenti delle Banche di Credito Cooperativo” in via diretta per l’espressa pattuizione delle parti, il medesimo contratto collettivo sarebbe comunque applicabile in via parametrica a mente dell’art. 36 Cost. quale riferimento per una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato;

3. i motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto affetti dal medesimo vizio che pregiudica la possibilità di un loro accoglimento;

invero essi muovono dal presupposto, chiaramente errato, che la Corte territoriale avrebbe ritenuto inapplicabile al rapporto in controversia il contratto collettivo dei dipendenti delle Banche di Credito Cooperativo; invece la Corte ha solo escluso che, in relazione all’attività in concreto svolta dalla M., la stessa fosse riconducibile ad una delle declaratorie di inquadramento superiore come rivendicate dall’attrice;

costituisce infatti condiviso principio giurisprudenziale quello per il quale il lavoratore che agisce in giudizio per ottenere l’inquadramento in una qualifica superiore ha l’onere di allegare e di provare gli elementi posti a base della domanda e, in particolare, è tenuto ad indicare esplicitamente quali siano i profili caratterizzanti le mansioni di detta qualifica, raffrontandoli altresì espressamente con quelli concernenti le mansioni che egli deduce di avere concretamente svolto (cfr. Cass. n. 8025 del 2003; Cass. n. 26742 del 2014);

la Corte bolognese ha così specificato, quanto alla figura del Direttore, che “l’attività di fatto posta in essere dalla Dott.ssa M. non risulta in alcun modo comparabile con quella della declaratoria contrattuale dalla stessa invocata in quanto il contenuto di quest’ultima ha riguardo a responsabilità, iniziativa, organizzazione e coordinamento da realizzare nell’area del credito bancario”; analoghe considerazioni i giudici d’appello hanno speso con riferimento al preteso inquadramento tra i Quadri direttivi, atteso che “il contenuto delle declaratorie è riferito all’attività bancaria e non all’espletamento delle funzioni gestorie di un’azienda turistica controllata di fatto svolte dalla Dott.ssa M.”;

la Corte, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, ha quindi esplicitamente riconosciuto che “il contenuto dell’attività che di fatto la lavoratrice avrebbe svolto era stata definita dalle parti già al momento della stipula del contratto di lavoro”, per cui era stato “convenzionalmente individuato il livello di inquadramento sulla base dei rispettivi interessi” proprio con riferimento alla contrattazione collettiva delle Banche di Credito Cooperativo e proprio avuto riguardo a tale contrattazione ha operato l’accertamento in ordine al rivendicato superiore inquadramento;

entrambi i motivi non censurano, quindi, l’effettiva ratio decidendi della pronuncia nè si misurano adeguatamente con essa e quindi vanno dichiarati inammissibili, giacchè nel giudizio di cassazione la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi, richiesta dall’art. 366 c.p.c., n. 4, e determina l’inammissibilità, in tutto o in parte del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (cfr. fra le tante Cass. n. 20910 del 2017, Cass. n. 17125 del 2007, Cass. SS.UU. n. 14385 del 2007);

3. il terzo motivo denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione o, quanto meno, falsa applicazione degli artt. 2095 e 2103 c.c., degli artt. 10 e 11 del CCNL per i dirigenti delle Banche di Credito Cooperativo ovvero degli artt. 95 e 96 del CCNL per i dipendenti delle Banche di Credito Cooperativo ovvero dell’art. 45 del CCNL per i dipendenti delle Aziende del Settore Turistico”;

4. il motivo è inammissibile non solo perchè ancora parte dall’errato presupposto che la sentenza impugnata avrebbe soltanto affermato “sic et simpliciter che non era applicabile alla fattispecie il CCNL per i dipendenti delle Banche di Credito Cooperativo”, ma anche perchè non specifica con chiarezza se i diversi contratti collettivi nazionali invocati a fondamento della censura (uno di essi per la prima volta nel giudizio di cassazione) siano stati prodotti integralmente (cfr. Cass. SS.UU. n. 20075 del 2010) e l’avvenuta loro produzione e la sede in cui tali documenti integrali siano rinvenibili (Cass. SS.UU. n. 25038 del 2013; Cass., SS. UU. n. 7161 del 2010; conformi: Cass. nn. 17602 del 2011 e n. 124 del 2013), risultando piuttosto dall’elenco dei documenti in calce al ricorso che è stato prodotto solo uno “stralcio” degli stessi;

5. quanto alla pretesa violazione dell’art. 36 Cost., contenuta sia nel secondo che nel terzo motivo del ricorso principale, ferma la loro già rilevata inammissibilità, va aggiunto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte qui condivisa, “la non conformità al precetto costituzionale del trattamento economico previsto nel contratto applicato” deve essere dedotta da chi vi abbia interesse (v. Cass. n. 26742 del 2014 proprio in un caso in cui veniva rivendicata una retribuzione maggiore per l’asserito espletamento di mansioni superiori; conf. Cass. n. 12608 del 1999; Cass. n. 8565 del 2004; Cass. n. 16340 del 2009; Cass. n. 24160 del 2015); nella specie la M. non indica come e quando abbia sottoposto ai giudici del merito la questione che la retribuzione pattuita non fosse proporzionata alla quantità e qualità del lavoro che era stato convenuto al momento dell’assunzione e che, in ogni caso, non fosse sufficiente ad assicurare a lei ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa, senza specificare, neanche in questa sede, gli elementi fattuali acquisiti al giudizio e portati a sostegno della dedotta violazione che implica, come noto, una valutazione globale e non parcellizzata della retribuzione, affidata all’apprezzamento del giudice del merito (per tutte: Cass. n. 1415 del 2012);

6. con il quarto mezzo si denuncia: “violazione o, quanto meno, falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.” lamentando che la Corte bolognese non avrebbe operato la compensazione delle spese nonostante in appello vi fosse stata “soccombenza reciproca”;

7. la censura non è meritevole di accoglimento;

giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, in tema di spese processuali il sindacato della Corte Suprema è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione circa l’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (v. Cass. n. 24502 del 2017; Cass. n. 15317 del 2013; Cass. n. 5386 del 2003; Cass. n. 8889 del 2000; Cass. n. 4944 del 1979);

in particolare solo la compensazione deve essere sorretta da motivazione, e non già l’applicazione della regola della soccombenza cui il giudice si sia uniformato, atteso che il vizio motivazionale, ove ipotizzato, sarebbe relativo a circostanze discrezionalmente valutabili e, perciò, non costituenti punti decisivi idonei a determinare una decisione diversa da quella assunta (Cass. n. 2730 del 2012);

non è configurabile, pertanto, l’errore di diritto prospettato da parte ricorrente, atteso poi che – nella specie – la stessa ha visto comunque confermata la sentenza impugnata in appello, sebbene con una diversa motivazione, e, anzi, è stato accolto l’appello incidentale della controparte, per cui non può dubitarsi della soccombenza della M. sia in primo che in secondo grado;

8. conclusivamente il ricorso principale deve essere respinto, con assorbimento del ricorso incidentale della società espressamente dichiarato condizionato; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della sola ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale, e condanna M.L. al pagamento delle spese liquidate in Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2020

 

 

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