Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26587 del 18/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/10/2019, (ud. 24/01/2019, dep. 18/10/2019), n.26587

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10395-2017 proposto da:

PROMIN SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI AMMIRAGLI N. 114,

presso lo studio dell’avvocato RICCIARDELLI FRANCESCA, rappresentata

e difesa dall’avvocato RICCIARDELLI LUIGI RICCI;

– ricorrente –

contro

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO

DENZA 50-A, presso lo studio dell’avvocato LAURENTI NICOLA,

rappresentato e difeso da se stesso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3414/2016 del TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA

VETERE, depositata il 18/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FALASCHI

MILENA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Giudice di pace di Caserta, con sentenza n. 2736 del 2014, rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla PRO.M.IN. s.r.1 avverso l’ingiunzione notificata per la somma di Euro 3.739,36 emessa in favore di C.R. a titolo di compenso professionale e, per l’effetto, confermava il decreto ingiuntivo opposto.

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza n. 3414 del 2016, dichiarava inammissibile l’appello proposto dalla medesima PRO.M.IN. ai sensi dell’art. 342 c.p.c..

Avverso la sentenza della Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, la PRO.M.IN. s.r.l. propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi, cui resiste il Corridore con controricorso.

Ritenuto che del ricorso potesse essere accolto il secondo motivo, assorbito il primo, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente notificata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Atteso che:

con il primo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonchè la violazione degli artt. 112,115,221 e 222 c.p.c. per avere il Tribunale di merito omesso di pronunciarsi sul fatto che il C., a seguito di querela di falso proposta dalla PRO.M.IN avrebbe rinunciato ad avvalersi delle tre procure alle liti poste a fondamento del suo credito.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. per avere il giudice di merito erroneamente dichiarato inammissibile l’atto di appello, ex art. 342 c.p.c.. A detta della ricorrente, infatti, l’atto di appello proposto sarebbe stato rispettoso del principio di specificità, avendo l’appellante, da un lato, contestato la decisione del giudice di primo grado sul punto della necessaria proposizione della querela di falso al fine di contestare la veridicità delle sottoscrizioni apposte alle procure e, dall’altro, contestato nel merito lo stesso conferimento dell’incarico che pertanto non poteva ritenersi provato sulla base delle sole procure. In subordine, aveva proposto la querela di falso avverso le sottoscrizioni stesse.

I due motivi sono suscettibili di trattazione unitaria, in quanto entrambi involgono questioni processuali tra loro collegate. Essi si rivelano fondati per quanto di seguito si dirà.

Come recentemente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte (v. sentenza n. 27199 del 2017), gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.

Ciò posto, l’atto di appello della PRO.M.IN. s.r.l., esaminabile in questa sede stante la natura del vizio dedotto, indica in modo non equivoco le doglianze proposte. A pag. 3 e 4, infatti, la PRO.M.IN. s.r.l. lamentava di non aver mai incaricato il C. dello svolgimento delle attività giudiziarie asseritamente poste in essere, per non avere il legale rappresentante mai sottoscritto le relative procure; denunciava, altresì, l’erroneità della statuizione del giudice di primo grado che aveva ritenuto necessaria la proposizione della querela di falso avverso le suddette sottoscrizioni. Secondo l’appellante, infatti, non sussistendo a monte il contratto professionale tra la società e il C., non sarebbe stata necessaria la proposizione della querela di falso. A pag. 4 e 5 del medesimo atto di appello, poi, proponeva, solo in via subordinata, querela di falso al fine di contestare la veridicità delle sottoscrizioni apposte alle procure. Fondate o infondate che fossero tali doglianze, esse erano chiare e su esse il Tribunale avrebbe dovuto pronunciare nel merito, mentre ha limitato la propria statuizione ad una dichiarazione di inammissibilità.

D’altro canto le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 26242 del 2014), sia pure in materia diversa da quella dell’ammissibilità dell’appello, hanno statuito il superamento “dell’assunto della inossidabile primazia del rito rispetto al merito”, soggiungendo che tra più ragioni di rigetto della domanda, il giudice dovrebbe optare per quella che assicura il risultato più stabile: sicchè tra un rigetto per motivi di rito e uno per ragioni afferenti al merito, il giudice dovrebbe scegliere il secondo.

Rispetto a tale quadro decisorio risulta condivisibile anche la censura ex art. 112 c.p.c. che mira nello stesso senso ad una errata inammissibilità dell’appello per difetto di specificità, risolvendosi in una mancata corrispondenza fra chiesto e pronunciato, resa palese dalla mancata pronuncia sulla querela di falso incidentale proposta con riferimento alle tre procure alle liti del 4.6.2012, poste dal professionista a base del ricorso monitorio.

In conclusione, il ricorso va accolto e cassato il provvedimento impugnato, con rinvio al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in persona di diverso magistrato, a cui viene rimessa anche la liquidazione delle spese di legittimità. Stante l’accoglimento del ricorso, va dato atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte accoglie il ricorso;

cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 24 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2019

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