Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26586 del 12/12/2011
Cassazione civile sez. VI, 12/12/2011, (ud. 11/11/2011, dep. 12/12/2011), n.26586
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –
Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –
Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –
Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –
Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 16688/2010 proposto da:
O.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMAr VIA G. ZANARDELLI 36, presso lo studio dell’avvocato ROMEO
GIUSEPPE GIULIO, rappresentato e difeso dall’avvocato FIRRIOLO
Francesco giusta mandato in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
ENEL DISTRIBUZIONE SPA (OMISSIS), società con socio unico
soggetta a direzione e coordinamento di Enel Spa, in persona del suo
Procuratore speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO
CESARE 14, presso lo studio dell’avvocato PAFUNDI GABRIELE,
rappresentata e difesa dall’avvocato FIORINI Luigi giusta procura
speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1330/2009 della CORTE D’APPELLO di TORINO del
17/12/10, depositata l’11/01/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
dell’11/11/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO IANNIELLO;
è presente il P.G. in persona del Dott. IGNAZIO PATRONE.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
La causa è stata chiamata alla adunanza in camera di consiglio del 7 aprile 2011 ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 c.p.c.:
“Con ricorso notificato in data 11 giugno 2010, O.M., dipendente ENEL Distribuzione s.p.a. inquadrato nella cat. BIS, chiede, con un unico motivo, relativo alla violazione dell’art. 21, punto 9 del C.C.N.L. dipendenti elettrici relativo alla classificazione del personale nonchè dell’art. 2103 c.c., la cassazione della sentenza depositata l’11 gennaio 2010, con la quale la Corte d’appello di Torino aveva respinto le sue domande di inquadramento nella superiore cat. BSS e di condanna della datrice di lavoro alle conseguenti differenze retributive.
Resiste alle domande la società con rituale controricorso.
Il procedimento è regolato dall’art. 360 c.p.c., e segg., con le modifiche e integrazioni apportate dalla L. 18 giugno 2009, n. 69.
Il ricorso è in parte improcedibile o comunque manifestamente infondato e va pertanto trattato in camera di consiglio per essere respinto.
A norma del combinato disposto dell’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6 e art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, il ricorrente, oltre alla specifica indicazione degli atti e documenti sui quali si fonda, deve altresì produrli specificatamente nel giudizio di cassazione o indicare in quale atto del processo, tra quelli prodotti, essi siano stati ritualmente acquisiti. Ove poi si tratti di contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro, oggetto di possibile censura ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, la produzione deve essere relativa all’intero atto e non limitata alla singola clausola dello stesso oggetto di interpretazione (cfr. in proposito Cass. S.U. nn. 7161/10 e 20075/10).
Poichè nel caso in esame la parte ricorrente ha omesso di indicare se ed in quale contesto ha prodotto in questa sede l’intero testo del C.C.N.L. invocato e sul quale fonda il ricorso (il richiamo all’art. 2103 c.c., non è autonomo, ma è operato in collegamento con quello al contratto collettivo), le censure che investono effettivamente l’interpretazione della norma contrattuale collettiva invocata, alla stregua dei canoni legali di interpretazione contrattuale, sono improcedibili.
Nonostante l’esplicita intestazione delle censure del ricorso sub specie di violazione della norma contrattuale collettiva e dell’art. 2103 c.c., parte delle argomentazioni svolte nel corpo dello stesso appaiono peraltro riconducibili ad un preteso vizio di motivazione nella valutazione delle prove (compresi gli elementi indiziari rappresentati dall’avere il ricorrente istruito nella mansione altro dipendente di categoria BSS) relativamente alla consistenza e rilevanza delle mansioni svolte, in particolare quanto alla elevata autonomia e al livello professionale delle stesse.
Ferma pertanto l’interpretazione data dalla Corte territoriale alla declaratoria contrattuale relativa alla cat. BSS e procedendo all’esame di tale censura inerente la valutazione delle prove e quindi ad un vizio di motivazione in fatto della sentenza, devesi ribadire che una tale deduzione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì unicamente quello del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva di individuare le fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, scegliendo tra di esse quelle ritenute idonee a sostenerlo all’interno di un quadro valutativo complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano logico, nel suo interno tessuto ricostruttivo della vicenda (cfr., per tutte, Cass. S.U. 11 giugno 1998 n. 5802 e, più recentemente, ex ceteris, Cass., nn. 27162/09, 26825/09 e 15604/07).
Nè appare sufficiente, sul piano considerato, a contrastare le valutazioni del giudice di merito il fatto che alcuni elementi emergenti nel processo e invocati dal ricorrente siano in contrasto con alcuni accertamenti e valutazioni del giudice o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti.
Ogni giudizio implica infatti l’analisi di una più o meno ampia mole di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra di loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, compete al giudice nei due gradi di merito in cui si articola la giurisdizione.
Occorre quindi che i fatti della controversia dedotti per invalidare la motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante o determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (in proposito, cfr., ad es. Cass. nn. 24744/06 e 14973/06).
Nel caso in esame la sentenza impugnata ha dato adeguato conto, sulla base del materiale istruttorio acquisito, della propria valutazione della attività principale del ricorrente – di istallazione e manutenzione di determinate apparecchiature (c.d. telecontrollo) – come connotata da una certa dose di autonomia, comunque non ampia e da un livello professionale coerente con la declaratoria della categoria attribuitagli.
Tale valutazione fonda sulla considerazione del tipo di intervento richiesto, dell’ambito territoriale in cui veniva svolto, sulla soggezione del ricorrente al potere di impulso, di coordinamento e di controllo di superiori gerarchici e sull’attribuzione allo stesso di poteri di coordinamento meramente operativo nei confronti di altro personale in sede di istallazione degli impianti, mentre è stato motivatamente ritenuto elemento meramente indiziario, insufficiente ad orientare in maniera diversa il convincimento dei giudici, il fatto che per un periodo il ricorrente avesse istruito nella mansione altro dipendente proveniente da diverso reparto, già inquadrato in cat. BSS e svolgente successivamente le medesime mansioni dell’ O..
A tale articolata motivazione, il ricorrente contrappone in realtà proprie diverse valutazioni relativamente al medesimo materiale istruttorio, così chiedendo sostanzialmente al questa Corte un nuovo giudizio di merito in proposito, inammissibile in questa sede”.
Sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in camera di consiglio.
Il Collegio condivide il contenuto della relazione, rigettando pertanto il ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente a rimborsare alla società le spese di questo giudizio, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare all’Enel Distribuzione s.p.a. 1 spese di questo giudizio, di cui Euro 30,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per onorari, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 11 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2011