Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26579 del 23/11/2020

Cassazione civile sez. I, 23/11/2020, (ud. 09/10/2020, dep. 23/11/2020), n.26579

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15026/2019 proposto da:

O.O., elettivamente domiciliato in Roma Via Della

Giuliana, 32, presso lo studio dell’avvocato Gregorace Antonio, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno Commissione Territoriale Riconoscimento

Protezione Internazionale Roma;

– intimato –

avverso il decreto n. 7031/2019 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

02/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/10/2020 da Dott. CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

O.O. impugna il decreto Tribunale di Ancona indicato in epigrafe che ha rigettato il suo ricorso avverso il provvedimento con cui la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma, a sua volta, aveva respinto la domanda quanto a status di rifugiato, protezione sussidiaria e permesso umanitario;

Il tribunale ha ritenuto: a) non attendibili le dichiarazioni rese dal richiedente asilo per le discordanze emerse su un elemento essenziale della vicenda narrata riguardante un punto fondamentale del suo vissuto; b) insussistente il rischio di persecuzione o anche di danno grave; c) quanto alla situazione nel Paese di origine, che i territori posti a sud della Nigeria (tra cui l’Edo State) non siano interessati da conflitto armato con un grado di violenza per i civili circa il concreto rischio della vita; d) la mancanza di prova di una elevata vulnerabilità all’esito del rimpatrio, così come di un serio percorso di integrazione lavorativa e sociale in Italia;

il ricorso è su quattro motivi.

L’intimato non si è costituito.

Con il primo motivo si censura la violazione la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla Direttiva 2004/83/CE per avere il Tribunale omesso di svolgere un ruolo attivo nell’istruttoria della domanda.

Con il secondo motivo si critica il primo giudice ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l’omesso esame delle dichiarazioni rese dal richiedente alla Commissione territoriale ed al Tribunale in relazione alla zona di provenienza.

Con il terzo motivo si contesta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il provvedimento impugnato per l’omesso esame delle per l’omesso esame delle dichiarazioni rese dal richiedente alla Commissione territoriale ed al Tribunale in relazione alle condizioni del Paese di origine.

Con il quarto motivo si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione alla mancata concessione della protezione sussidiaria.

Il primo motivo è inammissibile.

Il Tribunale ha espresso il giudizio di non credibilità della vicenda personale narrata dal ricorrente, rimarcando in dettaglio plurime incongruenze e contraddizioni nel racconto del ricorrente, così effettuando, nel rispetto degli indici legali, un accertamento di merito insindacabile, se non sotto il profilo dell’anomalia motivazione o dell’omessa valutazione di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. ord. 3340/2019) qui non dedotto.

Si deve altresì rilevare che neppure viene censurata la ratio esposta dal provvedimento impugnato, limitandosi il ricorrente a sviluppare una critica astratta, denunziando un inesistente omesso rispetto dell’istituto della collaborazione istruttoria: e, al riguardo, questa Corte ha ormai chiarito che “In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona; qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. 27 giugno 2018, n. 16925; v. pure Cass., ord. 5 febbraio 2019, n. 3340);

il ricorrente poi contesta con i motivi secondo e terzo e quarto che il tribunale abbia scambiato l’originario Stato di provenienza del ricorrente riferendosi allo Edo State in luogo del Delta State nel cui territorio sussisterebbe una grave situazione di pericolo.

Le doglianze sono inammissibili, perchè l’impugnazione omette di riportare con precisione in quale atto e con quale tempestività d’introduzione nel processo la circostanza sia stata dedotta, così peccando il ricorso di specificità.

La censura (quinto motivo) sul diniego di protezione umanitaria è inammissibile, avendo il tribunale motivatamente escluso sia l’elevata vulnerabilità all’esito di eventuale rimpatrio sia la serietà di un percorso d’integrazione in Italia e dunque dovendosi ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; si tratta di principio ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo qui difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente e potendosi aggiungere che l’odierna censura è inammissibile anche per genericità e perchè si risolve in un dedotto vizio di motivazione, oltre il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Circa la doglianza che riguarda l’omesso esame dei documenti (attestanti la frequenza scolastica l’attività lavorativa e di volontariato) il ricorrente non ne riporta, in ricorso, il preciso contenuto, sicchè non è possibile stabilire “se il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa” (Cass. n. 16812/2018).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Nessuna determinazione in punto spese per la mancata costituzione dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; nulla spese;

dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2020

 

 

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