Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26578 del 23/11/2020

Cassazione civile sez. I, 23/11/2020, (ud. 09/10/2020, dep. 23/11/2020), n.26578

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14396/2019 proposto da:

I.L., elettivamente domiciliato in Roma Viale G. Mazzini, 6,

presso lo studio dell’avvocato Agnitelli Manuela, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 26/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/10/2020 da Dott. CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che:

Con il decreto impugnato, il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso proposto da I.L., cittadino (OMISSIS) proveniente (OMISSIS), avverso il provvedimento reiettivo della domanda di protezione internazionale nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria emesso dalla competente Commissione Territoriale.

A ragione della decisione, il Tribunale ha argomentato: quanto al diniego del riconoscimentodello status di rifugiato ovvero della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), che il racconto del richiedente, in riferimento al pericolo di essere vittima di persecuzioni nel proprio Paese di origine oltre a non aver fatto emergere alcuna correlazione fra l’espatrio e le possibili persecuzioni personali legate a motivazioni politiche o religiose o ad altri aspetti previsti dalla Convenzione di Ginevra – era inverosimile; quanto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251, ex art. 14, lett. c), ha rilevato che, secondo le più aggiornate e qualificate fonti di informazione compulsate, nell’Edo State, regione di provenienza dell’istante, non era presente una situazione di conflitto armato interno, suscettibile di generare un clima di violenza generalizzata, tale da esporre ad un danno grave la vita di chiunque vi si fosse trovato; con riguardo alla misura residuale della protezione umanitaria, infine, nulla era stato allegato dal richiedente in ordine ad una sua specifica situazione di vulnerabilità ovvero ad una sua effettiva integrazione in Italia (non potendosi dare rilievo all’attività di addetto alle pulizie iniziata qualche giorno prima dell’udienza), in funzione di una revisione del diniego della protezione umanitaria.

Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di I.L. è affidato a quattro motivi, di seguito dettagliatamente illustrati.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita.

Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 11, lett. e) ed f).

Si lamenta che il primo giudice con una apparente motivazione non avrebbe realmente spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto non credibile il racconto del ricorrente limitandosi a far leva su opinioni soggettive e non oggettive dimostrando in tal modo di non conoscere il contesto in cui deve essere collocata la vicenda.

Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c e art. 3, comma 3, lett. a), per avere il Tribunale fatto erronea applicazione della norma indicata in riferimento ai parametri interpretativi della stessa.

Si lamenta che il primo giudice avrebbe escluso la protezione sussidiarià ritenendo non configurabile nella zona di provenienza del richiedente una situazione di violenza generalizzata senza attivare i poteri officiosi.

Con il terzo motivo si duole della violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 3, art. 3, lett. a) e b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Si critica la decisione del Tribunale il quale non avrebbe esaminato la situazione del Paese d’origine dove, secondo quanto emerge dal sito della Farnesina, si sconsiglia i viaggi in tutto il Paese per una forma generalizzata di violenza e si contesta complessivamente, la carenza motivazionale sul punto.

Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sul rilievo che il Tribunale non avrebbe operato il collegamento tra la situazione personale del richiedente e la situazione del Paese di origine.

Il primo motivo è inammissibile.

Le argomentazioni cui esso è affidato sono generiche, perchè non aggrediscono la ratio decidendi posta a sostegno del diniego della reclamata protezione internazionale, nelle forme del rifugio politico, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b): cioè l’inverosimiglianza e la genericità dei fatti narrati non ricostruiti specie per quello che riguarda la vicenda penale con sufficiente precisione nonostante i contatti che sostiene di avere avuto con il fratello rimasto in patria.

A fronte di tali motivate argomentazioni, le censure in esame si traducono, in concreto, in una richiesta di rivisitazione del merito della vicenda, improponibile in questa sede (Cass., 04/04/2017, n. 8758; Sez. 1, n. 21142 del 07/08/2019; Rv. 654674; Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549) qui non ricorrenti.

Il secondo e terzo motivo che vanno esaminati congiuntamente involgendo la medesima questione sono infondati.

Il Tribunale, citate le molteplici ed aggiornate fonti qualificate compulsate, riguardanti la situazione dell’Edo State, ricompreso nella regione del Delta State, e la zona di provenienza del medesimo ricorrente ((OMISSIS)) ha evidenziato come queste non dessero conto di veri e propri conflitti in atto, come tali non in grado di esporre a pericolo la generalità della popolazione della regione e, comunque, non la vita o l’incolumità del richiedente, che nulla di specifico aveva allegato salvo generiche considerazioni riguardanti l’intero territorio nigeriano.

I primi giudici hanno, quindi, compiuto un accertamento in fatto, non più censurabile in sede di legittimità, in esito al quale hanno ritenuto inattendibile la narrazione del richiedente, elemento questo di fondamentale importanza, poichè secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione “In materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

Il quarto motivo è inammissibile esaurendosi in una serie di considerazioni generiche perchè articolate attraverso la formulazione di copiosi riferimenti giurisprudenziali, senza la benchè minima, precisa, indicazione di specifici e concreti profili di vulnerabilità individuale e senza nessuna allegazione in ordine al decisivo profilo dell’integrazione socio-lavorativa effettivamente conseguita in Italia, così da consentire la necessaria comparazione tra la condizione di vita del richiedente nel Paese di origine e quella raggiunta nel Paese ospitante, come richiesto dal diritto vivente ai fini della valutazione da compiersi in funzione della concessione del permesso per ragioni umanitarie (Sez. U., n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062-02).

Il Tribunale, attenendosi all’indicazione nomofilattica – che oggi ha ricevuto l’autorevole avallo delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U., n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062-02) – secondo la quale, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298), ha evidenziato come non fossero state offerte dall’istante specifiche allegazioni in ordine ad una condizione di vulnerabilità personale, tanto non consentendo di procedere alla richiesta comparazione tra le sue condizioni nel nostro paese con quelle del paese di provenienza. Si tratta di affermazione, per quanto osservato, corretta in diritto, con la quale i rilievi censori non si sono affatto confrontati.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Nessuna determinazione in punto spese stante la mancata costituzione della parte intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese; Il doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dovrà essere versato ove ne ricorrano i presupposti.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2020

 

 

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